Guida Galattica per i Lettori | Aprile

Si inaugura un nuovo spazio GUIDA GALATTICA PER I LETTORI.
Ogni mese (la data è il 30) pubblicheremo recensioni/interventi a cura di Ariele d’Ambrosio (Poesia), Federica Caiazzo e Carmen Lucia (Romanzo), Emanuela Ferrauto (Teatro).



AMICO ROMANZO

Dalle parole di Giovanni Pozzi: “Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace”.
A cura di Federica Caiazzo e Carmen Lucia

Nino Haratischwili e l’arte di raccontare vite


Nino Haratischwili, L’Ottava vita (per Brilka), Venezia, Marsilio Editori, 2020

Leggere L’Ottava vita è come fare una profonda immersione trattenendo il respiro: via via che si scende in profondità i suoni si attutiscono, il corpo si abitua al liquido che lo circonda e ci si sente parte di un nuovo microcosmo a tal punto che riemergere può essere addirittura doloroso. Una ricetta segreta, sette donne, un secolo di storia sono i tre elementi costitutivi del romanzo così come dichiara la copertina. La ricetta segreta, tramandata a voce di generazione in generazione, è quella di una cioccolata calda speciale, dal sapore sublime e dalle conseguenze funeste per chiunque la assapori. Le sette donne sono personaggi fuori dall’ordinario, infelici, coraggiose, fragili, misteriose, imprevedibili, le loro vite sono strettamente collegate l’una all’altra e, procedendo cronologicamente, conducono il lettore attraverso le complicate vicende della piccola Georgia all’ombra della grande URSS; in questo modo la Storia, a sua volta perfettamente integrata con le singole microstorie, diventa protagonista ingombrante, affascinante e imprescindibile e condiziona le vicende e le scelte individuali in maniera irreversibile.
Opera della giovane e brillante scrittrice Nino Haratischwili, nata a Tbilisi ma residente a Berlino, ed edito da Marsilio Editori, L’Ottava vita è un romanzo imponente di oltre mille pagine. La voce narrante è Niza Jashi, zia di Brilka alla quale racconta in prima persona la storia della loro famiglia nel tentativo di cercare nel passato un significato da dare al presente, di rispondere ai segni e ai gesti che continuano a tormentare le loro anime inquiete, di dipanare un groviglio di dolori che tragicamente ricadono di madre in figlia seguendo l’odore inebriante della cioccolata calda.
Dopo il prologo, ambientato ai giorni nostri, e dopo un prezioso albero genealogico, l’autrice, con un lungo salto temporale, ci proietta agli inizi del Novecento e nella vita di Stasia, testimone e custode dell’intero secolo, donna-radice, madre e nonna, dal cuore danzante di eterna bambina. È da lei che prende avvio il racconto della famiglia Jashi, dalla sua adolescenza segnata dalla passione per la danza e per i cavalli e dal matrimonio con Simon, un tenente gentile di cui si innamora ma da cui viene subito allontanata a causa della guerra. Siamo nel 1917 e Stasia con incoscienza e audacia, compiendo un viaggio pericoloso e desolante, da un piccolo e innominato paese della Georgia vicino Tblisi arriva a San Pietroburgo, nella speranza di ricongiungersi al marito. Da questa unione nasceranno due figli: Kostja e Kitty Jashi, altri due preziosi capitoli della saga familiare che ci guidano negli anni bui della Guerra Fredda, dell’attrazione verso l’Occidente, dell’operato dei Servizi Segreti, della violenta repressione contro ogni forma di dissenso. Insieme a loro Christine, Elene, Daria, Niza e, infine, Brilka.
E così, di capitolo in capitolo, di vita in vita, attraverso peripezie di epica memoria e amori infelici, attraverso la musica, la rivoluzione, il tentativo di riscatto, si percorrono cento anni di Storia. Brilka è già nata e nel guardarsi indietro trova troppi silenzi e reticenze. Perciò si mette in viaggio, proprio come un secolo prima aveva fatto Stasia, alla ricerca delle sue radici e della sua storia, nella speranza di spezzare la catena di dolori e rinunce che l’hanno preceduta. La sua vita è, nel romanzo, un insieme di pagine bianche ancora tutte da scrivere, che lasciano il lettore commosso, incredulo, incompleto: «Cercando te stessa e al tempo stesso rifiutando di diventare te stessa – temendo di non poterti scrollare di dosso tutti i fantasmi che ci seguono mentre inseguiamo un nuovo inizio per la tua storia, destinata a diventare anche parte della mia» (p. 467).
La bellissima traduzione in italiano, limpida e lineare, la complessità dei personaggi, vividi e a tutto tondo, la scelta di un punto di vista originale, nuovo da cui guardare la Storia del Novecento, fanno di questo romanzo un capolavoro letterario: nessuna pagina risulta superflua, nessuna vicenda un vano orpello. Ogni tassello è essenziale per rinsaldare il tacito patto tra autrice e lettore: che sia verità o finzione narrativa poco importa, quel che importa è l’apnea, l’immersione nelle vite degli altri, prezioso nutrimento, oggi più che mai, della sapiente arte del racconto che è incanto e rito, escatologia e prodigio, illusoria promessa di eternità.

Nino Haratischwili e l’arte di raccontare vite
di Federica Caiazzo



SIPARI APERTI

Il sipario aperto è un abbraccio simbolico e visivo che accoglie lo spettatore nella meravigliosa realtà irreale del teatro. Apriamo il sipario anche alla scrittura teatrale, sia drammaturgica che letteraria o saggistica, per godere profondamente di questo magico viaggio.
A cura di Emanuela Ferrauto

Le donne per le donne nella drammaturgia di Marta Cuscunà


Marta Cuscunà, R3sistenze femminili. Una trilogia, FORUM, Udine, 2020

Il volume pubblicato da FORUM, Editrice Universitaria Udinese, è stato finanziato dalla  Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ed è questo il punto di partenza importante per comprendere a fondo l’operazione e l’attenzione rivolte ai testi dell’autrice e artista teatrale Marta Cuscunà. Sebbene sia indicato l’anno 2019, il volume è apparso nelle librerie e soprattutto on line da giugno 2020. L’impatto visivo è stimolante, poiché le scelte grafiche sono accurate e ben mirate: la copertina, i titoli, alcuni grassetti, le citazioni, i numeri delle note, alcune foto, alcuni particolari delle foto, sono caratterizzati dal colore rosa-lampone, simile a quello degli evidenziatori, palese riferimento all’universo femminile. Insomma, il lettore deve necessariamente accorgersi di alcuni particolari, non può assolutamente attenersi ad una lettura superficiale o sorvolare su alcuni aspetti. La ricerca delle originali scelte grafiche appare anche nella veste del titolo, la cui parola “Resistenze” vede sostituita una delle vocali con il numero tre: il riferimento è evidente e si collega alla trilogia contenuta all’interno del volume. Parliamo di un’operazione elegante, fresca e stimolante dal punto di vista grafico e contenutistico, senza tralasciare l’obiettivo che è quello fortemente voluto dalla Consigliera di Parità, figura che vigila da trent’anni contro le discriminazioni di genere, promuovendo le pari opportunità e l’uguaglianza tra donne e uomini. Il motivo della scelta che ricade su un’artista che parla di particolari donne all’interno dei suoi spettacoli, è descritto dalla stessa Consigliera Roberta Nunin all’interno della prefazione, introducendo il volume, in poche pagine, con un linguaggio schietto e mirato. È ovvio, dunque, che questo è un volume voluto da donne, curato da donne che descrivono il lavoro di un’artista donna che racconta storie di donne.
Il teatro di Marta Cuscunà è soprattutto scena, apparentemente solitaria poiché si avvale del racconto orale, di travestimenti, di bambole e di marionette appositamente create dall’artista. Fortunatamente questo teatro è anche testo e i tre copioni in questione sono racchiusi in questo volume che rende giustizia alla scrittura di un’artista contemporanea e donna, grazie all’interesse derivato dal connubio università-mondo politico di una fortunata regione.
L’introduzione al volume approfondisce tutti gli aspetti di ogni copione, mettendo in luce la tipologia di donna descritta: Ondina Peteani, staffetta partigiana, ne È bello vivere liberi! (spettacolo con un’attrice, cinque burattini e un pupazzo); La semplicità ingannata, testo definito «satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne», con riferimento agli studi sulla monacazione forzata condotti e pubblicati da Giovanna Paolin e liberamente ispirato alle opere di Arcangela Tarabotti e alla vicenda delle clarisse di Udine; Sorry, boys, «dialoghi su un patto segreto per dodici teste mozze», ispirato ad un fatto di cronaca americano e rimodulato sulla storia di una comune femminile.
Pupazzi, burattini e teste mozze “collaborano” con l’attrice-narratrice-regista-ideatrice Marta Cuscunà, definita autrice e performer di teatro visuale, che sembra sparire dietro fantocci non più idealizzati e sottomessi, ma, paradossalmente, oggi portatori di verità storica. I riferimenti a varie epoche sono collegati attraverso “resistenze femminili” che sembrano confluire inevitabilmente nell’attualità attraverso storie ironiche, grottesche, quasi fiabesche.
Giorgia Gobbi firma l’introduzione: la dottoressa dell’Università di Bologna ha analizzato testi e spettacoli di Marta Cuscunà, approfondendo le tematiche e gli aspetti che caratterizzano le protagoniste di questi testi. Gobbi si sofferma sull’attenta descrizione dell’attività preparatoria e scenica della Cuscunà, sulle tecniche, sulla creazione degli strumenti e dei pupazzi, tutti elementi caratterizzanti l’allestimento dei suoi lavori. Anche queste pagine introduttive scorrono attraverso una scrittura volutamente poco articolata e pertanto fluida, mirata, accattivante, analitica, che permette di percepire al meglio non solo la testualità drammaturgica, ma consente di avvicinare allo spettacolo chi non ha mai visto dal vivo questi lavori e chi, invece, ha assistito alla performance e desidera approfondire.
Ogni copione è introdotto da una ricca pagina/scheda (anche questa color rosa-lampone!) che indica la data e il luogo della prima rappresentazione, i credits e i contributi finanziari, facendo emergere la forte presenza della Provincia Autonoma.
Il volume, che può essere considerato dal formato tascabile, nonostante le sue 199 pagine, e dal costo accessibile a tutti, non tralascia nessun aspetto, mostrandosi, dunque, nella sua ibrida connotazione saggistico/didascalica: si conclude, infatti, con i ringraziamenti della stessa Marta Cuscunà, seguiti da un elenco di riferimenti bibliografici, fonti documentaristiche e inchieste, quindi da un vero e proprio apparato bibliografico a corredo di ogni copione, ed infine con l’elenco di tutti i premi vinti dall’artista, oltre alla sua breve biografia che tiene conto anche della sitografia.

Le donne per le donne nella drammaturgia di Marta Cuscunà
di Emanuela Ferrauto



COME SUGHERI SULL’ACQUA

Da un verso della poesia Sera, in spagnolo Tarde, di Federico García Lorca. Sugheri sull’acqua le poesie ed i poeti che desidero presentare, distinti e visibili, sottratti alle tante cose amare che la risacca fa approdare sulle spiagge del mondo.
A cura di Ariele D’Ambrosio

D’oro ogni cicatrice

Floriana Coppola
 
la faglia del fuoco
Disegni di
Aniello Scotto
 
IL LABORATORIO / le edizioni 2019
pagine 96
euro 10,00
 
Info: vittorio.avella1@gmail.com

Ed è subito la copertina del bello e buon libro di Floriana Coppola che mi affascina. Il disegno introduttivo di Aniello Scotto m’inquieta e mi sorprende, perché accoglie poesie materiche e carnali tra scheletri lievi e leggeri, giocati con segni sottili in trasparenze di chiaroscuri. Teschi con cilindri le cui falde sono ali volanti, ma anche capelli scomposti dall’aria. I due scheletrini sembrano giocare su un’altalena di ramo spezzato, ramo di rosa con spine violente come lame, ma anche riunite come stelle nere cadute dal cielo. Bene, questo che ho descritto e che appare in diverse forme nei disegni di Aniello Scotto, e che figurano ad intervalli tra le pagine, diventano indicative delle poesie di Floriana Coppola che si succedono in una sorta di forma epistolare che richiama nella contemporaneità un assetto emotivo romantico ineludibile.
Poesie, come un ramo di rosa senza fiore, alla ricerca anche disperata dei suoi petali, poesie in un roseto che imbriglia il lettore tra i suoi rami difficili di storia e di storie, e questa volta a dispetto dei suoi piccoli scheletri gnomi, in un’aria espansa che oscilla tra il desiderio del sereno terso e una realtà nebulosa di contrasti sofferti ed anche subiti.
Il titolo: la faglia del fuoco, è incisivo, fondante, immediato, con tutta l’ambiguità che lo caratterizza e lo arricchisce di senso. Un fuoco che è faglia, frattura, ma anche distanziamento, difesa. Una faglia che vorrebbe arginarlo, ma che nell’attesa sul suo essere limite potrebbe spegnere l’energia di quel fuoco che può scaldare ma come sempre anche bruciare. Come non innamorarsi di questo titolo che ci lascia sul margine, anche in pericolo, ma per questo più attenti al femminile che denuncia il suo essere come vivente ed umano senza più distinzione di sesso.
Non ho mai amato la letteratura al femminile, attribuendo alla parola poeta il neutro, non il neutrale. Non c’è distinzione se non nel talento, nella capacità di trasmissione, nella professionalità.
Ritengo che Floriana Coppola si distingua in questo senso, scansando la trappola di una retorica egotica e melensa che spesso infiltra la poesia d’amore. Ci si stupisce invece di scoprire altre invenzioni in termini di seduttività e di eros, disvelati attraverso lo scavo profondo e l’intelligenza della mente e del cuore.
Trentotto poesie, ma anche, a mio avviso, trentotto monologhi teatrali che si dipanano in una contiguità di un unico lunghissimo respiro. Ma anche dialogo a tre voci di epistole ottocentesche e aristocratiche, di un dannunzianesimo virtuoso riletto e riscritto in chiave contemporanea, e lette in solitudine, in una penombra che le tiene unite sulla scena, unite con le sue voci umane.
Il lessico è alto, in punti anche basso, come si conviene oggi ad una totalità espressiva che non può e non deve fare distinzioni. La sintassi fluida.
Sulle pagine di sinistra, quasi ad introdurre, a tematizzare le poesie, riflessioni emotive molto belle. A pagina12: «Tocchiamo e siamo toccati. La breccia è fatta di parole. Le parole portano lo slancio delle cose verso di noi e di noi verso le cose.». A pagina18: «La scena della metamorfosi descrive ogni differenza che si imprime una sull’altra e diventa maschera.». A pagina 36: «Quando si parla dell’amore si parla del desiderio e il desiderio vive dell’assenza, ha la sua luce nella mancanza».
Ora nasce il “problema” di come collocare la poetica di Floriana Coppola all’interno di una contemporaneità, notevolmente, anzi troppo parcellizzata e caratterizzata da una sorta di anarchismo che ha perduto l’utopia dell’anarchia. Nel nostro caso, invece, dove troppo spesso la “libertà di espressione” maschera un vuoto di forma e di senso, si connota uno stile preciso che individua un poeta.
La sua poesia può apparire di forma prosastica monologante, come dicevo, e tanti e assai importanti sono i poeti che si sono cimentati come caposcuola, ma si badi bene che all’interno di queste narrazioni contrappuntistiche, che quasi indicano un chiamare e un rispondere, c’è un’istintiva ma consapevole struttura “musicale” che la rende anche poesia del dire e non solo del leggere.
Faccio un esempio per tutti citando l’inizio a pagina 19 e provando a giocare sul testo per poi fare una piccolissima, minima analisi di questo frammento: «Posso scrivere la configurazione delle stelle nel cielo, saggio la costa frastagliata dei confini, l’attesa dei corpi, l’artiglio della sua assenza che graffia l’anima. …».
Posizioniamo questo frammento con gli slash degli accapo, come fosse una consueta poesia scritta in verticale: «Posso scrivere / la configurazione delle stelle / nel cielo, / saggio la costa frastagliata / dei confini, l’attesa / dei corpi, / l’artiglio / della sua assenza / che graffia l’anima. …».
Già di per sé è una poesia che ha la sua consistenza.
Mi perdoni il poeta per questa ingerenza. Dove il mio fare ludico è stato assolutamente discrezionale con gli accapo. Mi sono anche regalato qualche enjambement, ed ho cercato versi dispari impopolari e non pari, per rispettare i dettami danteschi e non rischiare cadenze che oggi potremmo definire pop, abbracciando l’ansia di molti nel mutarsi in popolari.
La successione dal 1° al 9° è di: un quinario, un endecasillabo, un trisillabo, un novenario, un settenario, un trisillabo, un altro trisillabo, un quinario, un quinario sdrucciolo.
Perché questo gioco? Per fare intendere bene quanto ci sia all’interno di questa struttura e di questa scelta di poetica che ben si definisce, che si mostra salda nei suoi codici e che attraverso la sua forma si colloca in maniera forte, decisa e riconoscibile nell’ambito della frantumata poesia contemporanea.
Tutto questo per me è un merito, un grande merito che sottolinea la faglia del fuoco come l’argine a questo “fuoco” poetante che rischia di incenerire ogni cosa.
Mi rimane questo frammento in memoria tra i frammenti; altra connotazione di questa buona e bella poesia: «… Vorrei sollevare il masso dal tuo petto, fare d’oro ogni cicatrice. …». (pagina 43). E qui come non ricordare il kintsugi giapponese, il suo gesto essenziale che ripara i frantumi, i frammenti con una colla d’oro, come solo può essere bella e calda la tinta del sole. Qui la speranza di amori infranti, qui le sue ferite ricucite, per una dimensione ed un’emozione resa lirica da parole che scolpiscono una vita che cerca, che accoglie, che ripara le sue sofferenze, le sue incertezze, le sue dicotomie.
Qui il valore emotivo più grande, dove la faglia è curata dal fuoco, ricucita dal fuoco, amata dal fuoco.

D’oro ogni cicatrice
di Ariele D’Ambrosio