ʼNA SANTARELLA: L’ADATTAMENTO DI CLAUDIO DI PALMA FRA TRADIZIONE E TRADIMENTO

di Simone SORMANI

È una messa in scena dinamicissima, travolgente e moderna quella di ʼNa Santarella, diretta da Claudio Di Palma, che ha debuttato il 2 febbraio al Teatro Augusteo di Napoli. Ancora un testo di Eduardo Scarpetta per Di Palma, dopo il successo della scorsa stagione de Il medico dei pazzi, grazie anche all’impegno dei produttori Ente Teatro Cronaca, Sgat Napoli e Teatro Augusteo che permettono di tenere acceso un faro sulla tradizione artistica partenopea.

La commediaripresa da Eduardo De Filippo, anche in una celebre edizione per la prosa Rai nel 1975, e poi da Mario Scarpetta – è una riduzione del 1889 di un vaudeville francese, Mam’zelle Nitouche,di Meilhac e Millaud. Con centodieci repliche consecutive a Napoli e circa mille in tutta Italia e numerosi tentativi di imitazioni (Na seconda Santarella, Santarella mmaretata, Santarellina, Na santarella chiù Santarella de l’aute Santarelle), come racconta l’autore nella sua autobiografia Cinquant’anni di palcoscenico (Pagano, 2002), il successo fu enorme. E pure gli incassi lo furono, ed è noto che con essi Don Eduardo potette costruirsi sulla collina del Vomero la monumentale palazzina in stile liberty, denominata appunto Villa Santarella, sulla cui facciata fece scrivere il celebre motto «Qui rido io». Del resto, ridere è la regola aurea del teatro di Scarpetta. Triturare con la forza demolitrice della risata ogni aspetto dell’esistenza: l’amore, le infedeltà coniugali, gli appetiti sessuali, la lotta contro la miseria e le aspirazioni alla ricchezza. Smascherare ambiguità e ipocrisie del nascente ceto borghese della Napoli post-unitaria; ridicolizzarne insoddisfazioni, frustrazioni, la scarsa sofisticatezza intellettuale, la spasmodica ricerca di apparire ciò che non si è, fino a trasformarle in veri e propri dualismi comportamentali, da cui nascono esilaranti equivoci e doppie vite. Non a caso, nel mutato contesto sociale, Scarpetta guardava alla Francia, paese con una consolidata borghesia, e al repertorio delle pochades, che riduceva per il pubblico napoletano, superando gli schemi ritenuti ormai logori della Commedia dell’Arte.

Sul filo di questa dissociazione dei personaggi ha giocato ancora una volta Claudio Di Palma, con un agile adattamento che snellisce il ridondante numero degli attori dell’originale scarpettiano e ne alleggerisce il funzionamento delle meccaniche teatrali, rendendone il ritmo decisamente più incalzante. «La parola tradizione ha a che fare con la parola tradimento. Senza tradimento non c’è tradizione, e solo con il tradimento c’è la continuità» dice Di Palma. E partendo da questa riflessione il regista, come ne Il medico dei pazzi, diverte e si diverte nel riproporre un congegno comico ben rodato, arricchendolo di nuove suggestioni e di dialoghi surreali, modernizzandone caratteri, linguaggio e spazio scenico.

Massimo De Matteo è sempre più a suo agio nei panni di Felice Sciosciammocca, a cui conferisce i tratti di una “maschera senza maschera” umanissima e tragicomica, tra desideri repressi e ambizioni non soddisfatte. Di giorno fa l’organista e l’insegnante di musica sacra del Convento delle Rondinelle e di notte sotto falso nome scappa al Teatro del Fondo, per il quale compone operette immorali e dove ha una tresca con la prima donna Cesira Perelli, fidanzata di un Maggiore, fratello della superiora del convento Donna Rachele. Quando l’educanda Nannina Fiorelli, ’a Santarella, studiosa e timorata di Dio fuori, ma dentro piena di amore per la vita, per il canto e per innocenti trasgressioni, gli rivelerà di aver scoperto i suoi imbrogli e di aver imparato a memoria le sue poco edificanti composizioni, i due saranno costretti loro malgrado a diventare complici e la giovane a prendere il posto della prima attrice in occasione del debutto dell’opera del maestro. Dal rischio di un clamoroso scandalo al classico lieto fine è un attimo, e così tra un gloria in excelsis deo con accompagnamento di harmonium e canzoncine d’operetta, intrecci e tentativi di occultare piccole debolezze, si vola piacevolmente dal Convento delle Rondinelle al Teatro del Fondo. Lo spazio scenico delineato da Luigi Ferrigno, con gli attori che entrano ed escono da un sipario-istallazione nel primo e nel terzo atto e da quinte girevoli nel secondo, accompagna il turbinio di movenze della pièce ed è metafora del concretarsi nel teatro di fratture della personalità.

Rivivono appieno atmosfere da allegro vaudeville ottocentesco con tocchi di musical contemporaneo, probabilmente meno marcate nella riduzione che ne fece Scarpetta da Meilhac e Millaud, grazie alle musiche di Paolo Coletta e ai prodigi vocali e alla vivacità esplosiva della Santarella, candidamente angelica e simpaticamente demoniaca, interpretata da Angela De Matteo. Questo spettacolo è l’occasione per rivedere in scena una compagnia che si pone sempre in equilibrio tra esperienza ed apertura all’accoglienza dei giovani, perseguendo la linea di una comicità popolare ed esuberante, come evidenziano pure i costumi eccentrici e sgargianti, elaborati da Annamaria Morelli. Efficaci le caratterizzazioni dei personaggi, in alcuni casi costruite dagli interpreti e dalla regia in autonomia rispetto al testo originale:  Luciano Giugliano nel ruolo di Biase, tuttofare del convento, finto devoto e ossequioso delle regole della pia casa e incallito giocatore del lotto con la mania di ricavare numeri della cabala da ogni fatto che avviene lì dentro; Chiara Baffi, la madre superiora Donna Rachele che bacchetta tutti e di nascosto fuma la pipa; Valentina Martiniello e Sabrina Nastri, che si sdoppiano nei ruoli di suore e di leggere soubrette; Federico Siano, vulcanico ed esilarante impresario del Teatro del Fondo; e poi Antonio Allocca, il nevrotico militare irrefrenabile nella sua passione per la cantante Cesira, una Marika De Chiara perfettamente in parte; Carlo Di Maro, irresistibile macchietta del giovane e goffo marchesino Sparice; Peppe Miale, essenziale nei panni del conte Porretti.

Libero da incrostazioni di un secolo passato, il teatro di Scarpetta arriva a noi nell’adattamento firmato da Di Palma con la forza di un classico, capace di raccogliere e rendere vivi nel presente gli umori di una Napoli dove i vecchi valori del mondo borbonico sono in disfacimento e la città si apre ai sogni della Belle Époque. Forse potrà sembrare un po’ frivolo occuparsi di questa Santarella in tempi di guerre e altre tragedie che sconvolgono il pianeta, ma in effetti non siamo ancora guariti da vizi, smanie e dissonanze interiori tipici di quella middle class da cui, scriveva l’autore, la comicità “zampilla più limpida e copiosa”. Qui si ride ancora.

ʼNA SANTARELLA
di Eduardo Scarpetta
Teatro Augusteo Napoli
2-11 febbraio 2024 
adattamento e regia Claudio Di Palma
con (in o. a.) Luciano Giugliano, Valentina Martiniello, Sabrina Nastri, Massimo De Matteo, Chiara Baffi, Giovanni Allocca, Angela De Matteo, Peppe Miale, Federico Siano, Marika De Chiara, Carlo Di Maro
scene Luigi Ferrigno
costumi Annamaria Morelli
musiche Paolo Coletta
foto di scena Anna Abet
aiuto regia Manuel Di Martino