Il teatro in televisione o l’evoluzione di un nuovo genere di spettacolo

di Gius GARGIULO

«Il teatro è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto! ».
Così si esprimeva il grande Eduardo De Filippo nell’ultimo discorso pubblico pronunciato a Taormina nel 1984. Questa nozione di gelo possiamo interpretarla come sguardo attento e quindi freddo sulla realtà nella sua trasposizione nel verosimile teatrale fin nei minimi dettagli. Il « gelo » potrebbe essere interpretato anche come un gelo semiotico che permette al teatro di arrivare al pubblico con tutta la sua forza emotiva e comunicativa di significati in empatia attraverso la rappresentazione-interpretazione dei personaggi sotto lo sguardo freddo del drammaturgo-capocomico. Effettivamente Eduardo, oltre ad essere il sommo drammaturgo e attore che tutti conosciamo, ha una nozione molto pertinente del testo teatrale che, una volta fuori dalla sala, trasposto al cinema o in televisione, richiede un cambio di codici come avviene quando diventa sceneggiatore e regista delle sue opere teatrali sul grande schermo dirigendosi come attore. Penso ad esempio al film Napoli milionaria del 1950, o a Filumena Marturano del 1951, dove l’artista inserisce in un contesto filmico neorealista la struttura teatrale estranea a qualsiasi influenza documentaristica. Eduardo ha una sorprenente conoscenza dei codici televisivi quando le sue commedie passano sul primo canale RAI negli anni Cinquanta e poi a colori negli anni Ottanta. Egli attua una attenta cronotipia (il significato della durata dei tempi scenici sul piccolo schermo) con un campo lungo fisso sulla scena e sul sipario che si leva e poi a mano a mano che la rappresentazione teatrale dipana il suo intreccio  con i dialoghi dei personaggi, muove la telecamera da destra a sinistra con rari campi e controcampi lentissimi con zoomate quasi invisibili, fino a cristallizzarsi su di un piano ravvicinato dell’attore o dell’attrice che pronunciano una lunga battuta con una rigorosissima quasi fredda e maniacale attenzione all’importanza delle espressioni facciali e del corpo degli attori, spesso ripresi  in campo all’americana o campo medio, tutti riassorbiti nello spazio prossemico della scena e nella tensione del racconto scenico. La padronanza del medium televisivo permette ad Eduardo di passare con estrema disinvoltura ai tempi e ai modi di una vera e propria fiction televisiva nella serie Peppino Girella del 1963. Queste riflessioni ci permettono di comprendere le successive evoluzioni televisive di Eduardo stesso e poi dei registi e degli attori che si sono succeduti nel rappresentare le sue commedie pur mantenendo la struttura teatrale di prosa nel passaggio alla dimensione televisiva. Gli atti di comunicazione compiuti dall’autore e recepiti dallo spettatore televisivo (la presenza scenica a teatro implica un altro tipo di empatia), non sono equivalenti ma complementari. L’autore è responsabile della produzione del testo e della costruzione del mondo; il suo testo funziona come una sorta di partitura, in cui è inscritto il mondo finzionale. Lo sviluppo del testo messo in scena e la ricostruzione del mondo da parte dello spettatore, seguono le istruzioni della partitura. Certo, la costruzione del significato attraverso la pagina scritta dà al lettore molta più libertà interpretativa di quanta ne dia allo spettatore di un film o di una « pièce » dove l’immagine impedisce o riesce a inibire la costruzione di una catena di trasmissione interpretativa aperta e illimitata. Il teatro di Eduardo sembra fatto apposta per la televisione. Le sue commedie è come se si svolgessero nel salotto stesso in cui si trova l’apparecchio televisivo. Si configurano come una propaggine delle case del secolo scorso dove troneggiava la televisione catodica, prima di Internet e dello smartphone. Le famiglie napoletane sono rappresentate nella loro coralità vociante di origine greca dove i personaggi entrano ed escono dalla scena e dal piccolo schermo, con una naturale disinvoltura come si entra e di esce dalla stanza accanto, in un basso a contatto diretto con la realtà della strada. Abbiamo la camera da letto o meglio i letti in scena come protagonisti inanimati da cui emergono Luca Cupiello e il figlio nel minimalismo che sembra azzerare la distanza finzionale della quarta parete teatrale in Natale in casa Cupiello. Questo effetto televisivo insito nel teatro di Eduardo è diverso dal cinema e dal teatro stesso in sala, anche se gli spettacoli teatrali, come i film, sono occasionalmente ritrasmessi in televisione. La RAI pedagogica degli anni Cinquanta-Sessanta aveva istituzionalizzato il teatro in televisione tutti i venerdì invernali, in prima serata, sotto la direzione di Sergio Pugliese, drammaturgo lui stesso, rigorosamente in diretta da studio. Le immagini cinematografiche e teatrali sono sempre viste come indizi del fatto che sono state messe in scena, in altre parole, si attua un processo strutturato di comunicazione codificata. In breve, sappiamo che ciò che stiamo vedendo è in realtà qualcos’altro perché siamo abituati a trattare le immagini fotografiche e cinematografiche come segni da interpretare. Le immagini televisive, hanno una definizione ridotta e una dimensione diversa da quella dell’oggetto o della scena, per abitudine e convenzione attribuiamo loro quasi il valore speculare di una trasmissione in diretta. Di qui nasce anche l’efficacia comunicativa della dimensione televisiva e «teatrale» del talk show codificata alla fine del secolo scorso, da Maurizio Costanzo, conduttore-presentatore che in origine era un drammaturgo e uomo di teatro, come lo è negli Stati Uniti dove hanno inventato questo format televisivo, Oprah Winfrey, conduttrice e produttrice televisiva e cinematografica statunitense, attrice, critica letteraria ed editrice di riviste. In Italia comunque la televisione ha creato il format inedito del romanzo sceneggiato, negli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, una via di mezzo tra cinema e teatro di prosa che avvicinava nel senso etimologico del verbo e appassionava grandi fasce di pubblico alla cultura alta senza timori reverenziali. Renzo e Lucia con Don Rodrigo e la bella monaca di Monza, Tom Jones, il Capitan Fracassa e il Conte di Montecristo Edmond Dantès, usciti da romanzi che quasi nessuno avrebbe letto, entravano nel salottino di tantissimi italiani dalle poltrone ancora nel cellophane per non sciuparle, con bambola o gondola veneziana sul televisore. Alberto Lupo, un attore di teatro di prosa fu il primo vero divo televisivo interpretando il dottor Manson nello sceneggiato La cittadella (The Citadel), dal romanzo di Cronin.  La concezione televisiva di Eduardo era quindi in sintonia con quanto sperimentava la RAI in quegli anni e la sua lezione è servita come guida per tutte le altre numerosissime rappresentazioni delle sue opere in televisione, disponibili su You Tube e da poco su RaiPlay e Canale 21 nel quarantennale della sua scomparsa. Recentemente nel corso della prima serata di lunedì 18 dicembre 2023, Rai1, in prima serata, ha trasmesso Napoli Milionaria, l’adattamento televisivo della commedia eduardiana, con protagonisti Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo nel ruolo di Amalia e Gennaro Jovine, seguito da 3.779.000 spettatori pari al 22% di share. Si è attestato, dunque, come programma più visto della serata. La «grande magia» di questo autore a distanza di quasi quarant’anni dalla scomparsa, si è ripetuta ancora una volta nel catturare il pubblico del piccolo schermo. Anche se questa versione di Napoli milionaria del 2023, diretta da Luca Miniero, viene classificata come film per la TV, come già avvenne per Filumena Marturano, adattamento televisivo del 2010, interpretato e adattato da Massimo Ranieri e da Gualtiero Pierce, con musiche di Ennio Morricone e con la regia televisiva di Franza Di Rosa, le cadenze di inquadratura e  dei tempi della telecamera sono quelli stabiliti da Eduardo con in più le riprese in esterni che vivacizzano la visione per lo spettatore del nuovo millennio. Il basso in cui vivono Amalia e Gennaro Jovine è ripreso anche dall’esterno in un vicolo stretto che rappresenta il prolungamento della scena teatrale, ma occorre dirlo, il prodotto finale va oltre quelle che sono le caratteristiche del teatro in televisione o di uno sceneggiato per diventare una ibridazione, un cine-tele-teatro, una nuova forma di spettacolo. Come direbbero Luca Cupiello e Gennaro Jovine: «Me piace stu presepe ma per il teatro ha da passà ‘a nuttata».