Il femmineo infantile nelle “Baccanti” di Laura Sicignano

Il femmineo infantile nelle Baccanti di Laura Sicignano

a cura di Emanuela FERRAUTO

Durante la forzata chiusura che ci ha costretti a desiderare il teatro in presenza, nel 2020, questo spettacolo era già nato, pronto ad esplodere così come erano pronti i suoi protagonisti. Il Teatro Stabile di Catania, diretto fino al 2021 da Laura Sicignano, regista dello spettacolo in questione, propose la proiezione video on line di questo prodotto, all’interno di un arco di tempo ben definito, poche ore in verità, scelta che permise a pochi fortunati di “sbirciare” e di entusiasmarsi davanti a questo spettacolo, aspettando fiduciosi una visione dal vivo. Una forma di resistenza e di reazione alla condizione improvvisa in cui si è ritrovato il mondo intero, esternata da una compagnia che ha riconquistato fortunatamente le scene e che non si è arresa davanti alla pandemia. Il Covid ha minato continuamente questo spettacolo e i suoi attori, ma questo prodotto sembra avere una forza viscerale che lo ha condotto a numerose rinascite avvenute sui palcoscenici italiani, attraverso una lunga tournée che ha suscitato applausi e stimolato giudizi critici favorevoli. Il lungo viaggio di queste Baccanti si è concluso a Napoli, presso lo storico Teatro Sannazaro (dall’11 al 13 marzo).

L’adattamento e la traduzione, elemento quest’ultimo non trascurabile, sono firmati dalla stessa Laura Sicignano e da Alessandra Vannucci, per la regia della Sicignano e l’aiuto di Nicola Alberto Orofino.

Uno spettacolo costruito da donne, un prodotto scenico che ripresenta all’interno personaggi femminili attraverso la scelta di un Dioniso donna, già osservata anche in altre occasioni e in altre produzioni, personaggio interpretato in maniera encomiabile dall’attrice siciliana Manuela Ventura, accompagnata dalle formidabili Baccanti Egle Doria, Lydia Giordano, Silvia Napoletano, Alessandra Fazzino, quest’ultima indimenticabile protagonista de Le sorelle Macaluso di Emma Dante e qui interprete dello splendido personaggio Agave, dalle poche parole, ma dalle movenze potenti.
L’elemento femmineo sembra emergere continuamente, come se il palcoscenico ne fosse intriso. Nonostante i personaggi maschili siano originariamente fortemente mascolini, qui sono “contagiati” da un’aurea femminea che fa emergere la loro debolezza.

La tragedia euripidea era anticamente collocata in un contesto politico e culturale molto importante: l’uomo cercava di reagire all’oppressivo potere divino, si ribellava, cercava di imporsi facendo emergere una sorta di libero arbitrio che poteva essere imposto unicamente attraverso il potere politico, ma che falliva davanti alla volontà divina, rigenerandosi e modificandosi.

Lo scontro tra ciò che deve essere fatto e ciò che non si deve assolutamente fare è il cardine di un discorso antico attualizzatosi nella contemporaneità e pertanto da considerarsi universale.

La lotta tra poteri conduce lo spettatore a cercare di comprendere quale sia quello giusto: quello di Penteo, sovrano di Tebe che vuole imporre l’ordine e scacciare “Lo straniero” che ha sobillato e stregato le donne della città, o quello di Dioniso che dimostra all’umanità la sua fragilità?

Questa tragedia, una delle più intense dell’antichità greca, è stata interpretata, adattata, sviscerata ripetutamente e, sebbene gli orientamenti “ortodossi” preferiscano una tendenza al purismo classico, rifiutando categoricamente la contemporaneizzazione del testo antico, questa volta la scelta sembra mettere d’accordo le due fazioni. L’ambientazione, infatti, sembra catapultarci negli anni venti-trenta del Novecento, sebbene non appaiano divise fasciste o riferimenti storici simili. L’unità di luogo, che la tragedia greca pretende, sembra a volte “sfondare” le pareti di un palazzo oscuro che, però, purtroppo, non appare in scena, a differenza della proiezione in video o di altre repliche, a causa di un problema di incompatibilità tra la scenografia prevista e le misure del palcoscenico del teatro. Pertanto, questa discrepanza emerge nel momento in cui appaiono elementi di arredamento, come una scrivania, delle sedie, un armadio- teca, collegati unicamente con l’abbigliamento, ma sganciati semanticamente dall’azione scenica; è evidente, inoltre, ad un occhio attento, che alcuni momenti collegati ad azioni inserite all’interno di una scenografia ben strutturata, siano stati modificati per adattare la narrazione alla nuova condizione scenica.

Nonostante, dunque, l’ambientazione sia inserita in interni, mentre Euripide prevedeva l’inizio  della tragedia davanti alla reggia di Penteo, il racconto sembra, in alcuni momenti, spingere esternamente attraverso fessure drammaturgiche che conducono lo spettatore ad immaginare gli esterni e a trasportare i personaggi in ambientazioni altre: anche Euripide prevedeva lo stesso meccanismo, accentuato dalla regia della Sicignano attraverso la riproduzione e amplificazione dei suoni della natura e attraverso le proiezioni video sui fondali, curati da Luca Serra, che, in effetti, spostano Dioniso e le sue Baccanti sul monte Citerone.

La condizione percettiva in cui si ritrova lo spettatore è quella di commistione tra sogno e realtà ed è evidente che l’aura shakespeariana tocchi profondamente alcuni momenti dello spettacolo, in particolare la presenza del vecchio padre Cadmo e del veggente cieco Tiresia. Il loro acconciarsi e travestirsi con l’edera e il tirso colora di una comicità infantile i due personaggi: gli ignari, i giullari, gli stolti sono in realtà coloro che comprendono la verità. I due personaggi, di memoria beckettiana come in Aspettando Godot, ma anche shakespeariana come in Sogno di una notte di mezza estate o pirandelliana come nella casa di Cotrone de I giganti della montagna, comprendono ciò che accadrà: pensiamo a Tiresia che prevede tutto nonostante la sua cecità o a Cadmo che riconosce le fattezze di Penteo morto e che fa comprendere alla figlia Agave, una delle più feroci baccanti, che ha ucciso e smembrato il figlio senza rendersene conto, offuscata dall’ebbrezza di Dioniso.

In un certo senso questo straniero fanciullesco, così appare Dioniso che gioca scagliando i dadi sul palcoscenico decidendo le sorti dell’umanità e che afferma che la condizione di barbaro non accettato è relativa e dipende, in effetti, da chi osserva e da chi è osservato, appare come personaggio ibrido. In questo spettacolo, infatti, il femmineo non è donna, ma mescolanza. Manuela Ventura utilizza una voce ibrida che ricorda l’adolescente dalla vocalità incerta, le Baccanti sembrano bambine che puntano il dito su ciò che vogliono, la stessa divinità sembra piagnucolare perché vuole ottenere ciò che desidera.

Non a caso, la morte di Penteo, riconosciuta e riconoscibile dagli spettatori anche qualora non conoscano l’intera vicenda, è anticipata da un oggetto, una trottola, il mondo che gira, si rompe, cade, un banale giocattolo da bambini che sembra la testa mozzata di un uomo.

Penteo sembra giocare al potere, si impone quasi ridicolizzandosi, adolescente che pretende di essere adulto, ma è affascinato e spaventato dal bambino Dioniso, a volte Cupido, a volte maligno femmineo, mentre il coro, qui invisibile rispetto alla tragedia greca perché il tutto è compresso e ridotto, i cui vuoti sono colmati dall’elegante sottofondo musicale e dalla musica dal vivo eseguita da Edmondo Romano, si insinua nelle parole dei personaggi, siano essi Baccanti o Cadmo o Tiresia. La riflessione affidata al corifeo e al coro originari qui si carica di una fortissima meta teatralità, poiché i personaggi si rivolgono volutamente e ripetutamente al pubblico (non a caso lo stesso Dioniso introduce la vicenda con un prologo che si conclude con la battuta «Che inizi lo spettacolo!»).

Il messaggero, interpretato da Silvio Laviano, si spoglia della veste funebre che assume nel testo originario e irrompe in scena con le fattezze da giullare, con il viso pittato, con abiti colorati e con l’atteggiamento fumettistico che ricorda il Joker di Batman dalle sfumature femminee; egli assume il ruolo di servitore delle Baccanti, esaltato dal gioco, felice di farne parte, pronto ad osservare la morte di Penteo e tutte le fasi della premeditazione. Il messaggero, dunque, non annuncia la morte avvenuta, come nel testo originario, ma si rende complice della subdola uccisione del re, il quale, attraverso una scelta originale e funzionale alla messa in scena in un teatro all’italiana, descrive attraverso una voce off le fasi e i particolari della sua violenta uccisione ad opera delle Baccanti, sostituendosi, quindi, al Coro originario.

Il potere dell’uomo fallisce, la divinità femminea vince, l’atto è compiuto attraverso il momento di tensione più alto, lo sparagmòs, in cui la danza riportata in scena, grazie al lavoro di Ilenia Romano, è necessaria al racconto dell’uccisione animalesca. Agave si allontana attraverso una bellissima immagine scenica, letteralmente inghiottita nel buio del suo abito che le copre la testa, mentre si accinge all’esilio nell’oscurità della scena.

La morte di Penteo e l’intero spettacolo sembrano passare attraverso il filtro dell’iconografia cristiana, in un continuo contrasto tra antico e moderno, tra sacro e profano: la tendenza alla verticalità assunta da Dioniso, interpretato da un’attrice minuta e piccolissima che in scena, nel momento in cui comanda sul mondo, si erge in alto su una scala, ma quando si camuffa tra gli uomini indossa un abito maschile con scarpe dal tacco altissimo e plateau, in ricordo degli antichi coturni, sfumatura ibrida tra femmineo e maschile.

Il corpo di Penteo è esposto all’interno dell’armadio-teca, prima nudo come sacra reliquia, poi coperto da un lenzuolo bianco come Sacra Sindone.

I nomi dei personaggi sono pronunciati mantenendo gli accenti alla greca, quindi Pentèo e non Pènteo, Semèle e non Sèmele, rispettando il testo originario.

La ricchezza di questo spettacolo spinge a rivederlo per godere della scenografia prevista, per percepire ed estrapolare i numerosi elementi contenuti all’interno di questa vincente operazione drammaturgica e scenica.

Foto Antonio Parrinello

BACCANTI

Napoli -Teatro Sannazaro 11-13 marzo 2022

di
Euripide
traduzione e adattamento
Laura Sicignano
Alessandra Vannucci
regia
Laura Sicignano
con
Aldo Ottobrino
Manuela Ventura
Egle Doria
Lydia Giordano
Silvia Napoletano
Alessandra Fazzino
Franco Mirabella
Silvio laviano

regista assistente
Nicola Alberto Orofino
musiche originali eseguite dal vivo
Edmondo Romano

scene e costumi
Guido Fiorato
movimenti di scena
Ilenia Romano
luci
Gaetano La Mela
video e suono
Luca Serra

produzione
Teatro Stabile di Catania