La morte è la fine della parola, ma l’inizio della verità

a cura di Rossella PETROSINO
«Questo è uno spettacolo che passerà alla storia perché ha debuttato il giorno dell’elezione del Papa con un retroscena degno del film Conclave; in effetti il Papa doveva essere eletto il giorno prima ma giacché ho un amico cardinale, chist’ ha ditto guagliu’ tenimmo ’mmane, facimme debutta’ primme ’o San Ferdinando». Queste le parole con cui Benedetto Casillo accoglie il pubblico, accorso al San Ferdinando per assistere allo spettacolo L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA / FIORI DI PALCO, in scena dall’8 al 18 maggio 2025. Con una boutade e con le luci accese in sala, ha inizio la splendida performance di Casillo che offre spunti interessantissimi ed ha il merito di attirare l’attenzione del pubblico sino alla fine.
Lo spettacolo diretto da Pierpaolo Sepe è articolato in due parti, la cui distinzione è sancita da una pausa di una manciata di minuti, nonché intrecciate da un filo conduttore: la celebrazione della sacralità della vita e della morte.
Questa – spiega Casillo all’inizio dello spettacolo – è una esigenza personale e artistica che parte da un interrogativo: «Quand’è che l’essere umano è diventato accussì fetente, indifferente, cinico, spietato, criminale?».
Il concetto di sacralità della morte è un tema profondamente radicato nella storia dell’umanità e attraversa trasversalmente l’antropologia, la sociologia, la religione, l’arte, e ovviamente il teatro. La familiarità del popolo napoletano con la morte è uno degli aspetti più profondi e distintivi della sua cultura, ha origini antichissime, si pensi ad esempio al culto delle anime del Purgatorio sopravvissuto fino alla fine degli Anni ‘60. Ma nonostante questo qualcosa è cambiato. Dice Casillo «l’uomo napoletano è solito dire ll’acqua e ’a morte stanno areto â porta», proprio a significare la profonda consapevolezza che si ha di questo evento. D’altra parte, la città ha imparato a convivere con la morte attraverso pestilenze, eruzioni, carestie, povertà; ne ha fatto quasi una compagna di vita. Quella visione del mondo che abbraccia la morte come parte integrante della vita quotidiana sembra si stia sfilacciando sotto il peso dell’individualismo e dell’alienazione della società moderna. La morte, da tabù e da nemica da nascondere, deve tornare ad essere maestra di vita e da questo assunto ha inizio lo spettacolo.
Si apre il sipario e il primo atto si configura come un vivace mosaico di racconti brevi e letture, in un fluire dinamico di fattarielli, testimonianze orali e frammenti poetici. È un vero e proprio viaggio fatto di parole, ritmo e memoria condivisa, attraverso un avvicendarsi fluido di narrazioni popolari e interpretazioni di scritti poetici di tre grandi maestri del teatro e della cultura napoletana: Totò, Raffaele Viviani ed Enzo Moscato. Un tributo di Benedetto Casillo ai suoi modelli! Questa sezione assume il tono di un rituale laico, attraverso cui il pubblico viene coinvolto in una celebrazione della parola, indiscutibilmente intima, dell’aneddoto e della tradizione orale. La recitazione di Casillo si distingue per la naturalezza e l’immediatezza, così da rendere labili i confini tra l’aneddoto e la poesia. Succede così che si recupera l’essenza stessa del teatro, che va ricondotta a un’immagine archetipica e potentemente evocativa: quella di un uomo che racconta ad altri uomini. Questo rituale nel primo atto è affidato a un solo corpo in scena che, attraverso la riproduzione di futili momenti della vita, trasforma i “fattarielli mediocri” in un evento poetico, per virtù di immagini, di espressioni, di minime costatazioni. Il dialetto dal canto suo mette il pubblico a proprio agio, lo invita a un contegno libero, lo diverte; al punto che gli spettatori non attendono la fine dell’atto per applaudire. Della seconda parte – che ricordiamo essere l’adattamento dell’atto unico pirandelliano L’uomo dal fiore in bocca – si apprezza particolarmente la elegante regia di Sepe, la sua misura semplice e sobria, ma efficace e comunicativa. La scena dai toni freddi si apre con una splendida ed evocativa danza della ballerina Sara Lupoli, vestita di nero, che appare quasi come una allucinazione o come una allegoria della Morte che incombe. In questo caso Benedetto Casillo non è solo sul palco, ad offrirgli spalla e voce, contribuendo a costruire una dinamica scenica che alterna momenti di riflessione e di leggerezza, c’è Vincenzo Castellone.
Ancora una replica per assistere a questo rituale. Da non perdere!
L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA / FIORI DI PALCO
Luigi Pirandello, Raffaele Viviani, Totò, Enzo Moscato
adattamento Benedetto Casillo
regia Pierpaolo Sepe
con Benedetto Casillo, Sara Lupoli, Vincenzo Castellone
scene Francesco Ghisu
costumi Rossella Oppedisano
coreografie Sara Lupoli
regista assistente Luisa Corcione
direttore di scena Sandro Amatucci
macchinista Vittorio Menzione
datore luci Tommaso Toscano
fonico Kristian Maimone
foto di scena Marta Miraglia
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Arteteca, Tradizione e turismo – Centro di Produzione Teatrale – Teatro Sannazaro