Guida Galattica per i lettori | Novembre 2022

contenuti:

AMICO ROMANZO

LE ROVINOSE

a cura di Mirella SAULINI

Concetta D’Angeli
Le Rovinose
Roma, Il ramo e la foglia edizioni, 2021.

Concetta D’Angeli, Le Rovinose. Roma: Il ramo e la foglia edizioni, 2021.

Il romanzo di Concetta D’Angeli, Le Rovinose, si apre con quella che potremmo chiamare una variante del cosiddetto ospite inatteso: l’arrivo improvviso quanto inaspettato di una grossa busta maltrattata e piena di fogli riporta il passato nella vita di Silvana.

Il passato è Clara, amica-non amica, con la quale Silvana entrò in contatto ai tempi dell’Università. Non avrebbero potuto essere più diverse: Clara bellissima e sensuale, Silvana modesta nel fisico e nel comportamento. Pigra la prima, lettrice accanita di romanzi, ambiziosa e seria studentessa di Architettura l’altra.

La prima parte del romanzo è un lungo flash-back sulla vita vissuta dalle due ragazze a Siena, una vita nella quale entrano, direttamente o indirettamente, altre persone. Lorenzo e Dorina vi avranno una parte fondamentale. Vengono entrambi dalla lotta politica ed entrambi ne sono stati segnati, seppure in maniera diversa; il periodo è quello, tumultuoso e terribile vissuto dall’Italia tra la seconda metà degli anni Settanta e la fine degli Ottanta.

La lettura dei fogli contenuti nella busta, che non sono altro che il diario di Clara, segna il ritorno al presente. È una lettura rivelatrice, che Silvana affronta non da sola bensì insieme a Dorina. Si spiegano comportamenti, affiorano grumi nascosti, si rivelano debolezze e crudeltà che forse a suo tempo si sarebbero potute intuire. Ma l’intuizione è mancata, non importa se per distrazione o per insensibilità, e anche questo ha probabilmente contribuito al precipitare degli eventi.

La storia lascia perplessi. Tanti fatti, tante vicende più che drammatiche; ciascuna in sé è verosimile, ma tutte insieme…

Va detto comunque che il romanzo è scritto bene. Sin dalle prime pagine, il lessico, dalla ricca aggettivazione, i segni d’interpunzione collocati al punto giusto, la grammatica e la sintassi corrette, anche quando lo stile si fa colloquiale, guidano la lettura.

La Cronologia, una sorta di quarta parte della narrazione, elenca i fatti di sangue avvenuti in quegli anni, dal 1976 al 1988, allorché “menti generose […] non seppero fermarsi in tempo [e successe] che il terrore si trasformò in passione, si sganciò dai suoi obiettivi, diventò fine a sé stesso” (p. 79). Da queste le parole di Dorina, “mente generosa” che seppe fermarsi in tempo e che ancora si chiede il perché di quella degenerazione, traspare un duro giudizio su quanto accadde allora.

                                                                                                                              MIRELLA SAULINI



SIPARI APERTI

TRA DRAMMATURGIA E LETTERATURA: SCRITTURE PER LA SCENA

a cura di Emanuela FERRAUTO

Luigi Allegri, Scritture per la scena. Leggere i testi teatrali, Editori Laterza, 2021, pp. 145,
€ 14,00

Luigi Allegri, professore onorario di Storia del Teatro presso l’Università di Parma, è autore di un volume di 145 pagine, edito da Laterza nel 2021, dal formato compatto ed agevole, il cui titolo è Scritture per la scena. Leggere i testi teatrali.

Proponiamo questa lettura che si orienta verso un taglio saggistico e di approfondimento e che è adatta non solo agli studenti che si avvicinano al testo teatrale, ma anche a coloro che ne sono appassionati. Per gli studiosi di Storia del Teatro e di Letteratura Teatrale questo volume può essere utile in funzione di un riepilogo delle conoscenze, ma anche come guida e vademecum per la costruzione ed organizzazione di lezioni.  In verità, il volume risente con forza del taglio storico, proponendo numerosi esempi, all’interno dei sette capitoli, che sostengono il discorso e che ricordano i contenuti testuali di alcune delle opere più importanti della storia del teatro. All’interno di questa struttura, l’autore inserisce riflessioni e approfondimenti sul testo teatrale, analizzandolo attraverso alcune citazioni o riportando saggi e analisi critiche, con riferimento agli studi più recenti, oltre ad un costante rimando al mondo classico e agli studi filosofici legati al teatro. Potremmo, dunque, definire questa operazione come un viaggio riflessivo nella storia della letteratura teatrale, che prende le premesse sicuramente dalla storia del teatro per affondare, poi, all’interno del testo teatrale attraverso saggi critici. Emergono, dunque, studi conosciuti e individuabili attraverso una lettura attenta e un occhio esperto, sebbene all’interno del volume sia assente l’apparato di note e di rimandi bibliografici.  I capitoli si articolano partendo da una premessa firmata dallo stesso autore e da una prima parte che sottolinea ulteriormente il percorso di approfondimento che si intende intraprendere all’interno del volume. I capitoli centrali – dal secondo al sesto – analizzano la struttura drammatica, i personaggi, i generi teatrali, il tempo e lo spazio, il testo e il contesto. Quest’ultimo argomento, su cui Allegri si sofferma ripetutamente, ritorna al concetto di storicità: l’autore, infatti, afferma che è necessario analizzare il testo teatrale inserendolo all’interno del contesto storico, sociale e culturale in cui è stato creato, perché le tematiche, gli insegnamenti e il comportamento degli stessi personaggi sono tali solo se collegati all’idea dell’autore e del suo tempo; in poche parole, se sono, cioè, perfettamente contestualizzati. Questa operazione permette, infatti, di poter operare successivamente con gli adattamenti, le riprese o le rielaborazioni di testi teatrali antichi, la cui poetica viene, così, rispettata. Anche l’origine e la funzione del testo teatrale sono alcuni dei temi rilanciati, sottolineati e approfonditi dall’autore: bisogna, infatti, distinguere tra un testo teatrale prodotto per la lettura o per un’eventuale messinscena. In entrambi i casi il drammaturgo-autore dovrebbe avere ben chiari in mente il progetto e la fruibilità del testo. Allegri, inoltre, sembra “polemizzare” sulla struttura dei testi scolastici, i quali, in effetti, riportano, all’interno di schede o di paragrafi specifici, l’approfondimento su alcuni autori teatrali; nel caso di autori che sono stati protagonisti della storia della letteratura e del teatro italiani, essi sono descritti da un punto di vista meramente letterario e solo marginalmente individuati e analizzati come drammaturghi.  Allegri, infatti, affronta lungamente la questione che evidenzia e analizza lo scrittore-letterato-drammaturgo, distinguendo, come è evidente in numerosi studi, la differenza tra copione e drammaturgia: l’autore, dunque, scrive per la lettura o per il palcoscenico? Si può parlare di drammaturgia o di letteratura teatrale? Allegri arriva alla conclusione che fortunatamente molti autori raggiungono un vero e proprio equilibrio. La soluzione sembra suggerita all’inizio del capitolo settimo: «Naturalmente non c’è un modo giusto e un modo sbagliato di leggere i testi teatrali. Qualsiasi lettura è legittima, purché restituisca un senso, anche solo all’interesse e alla sensibilità personale del singolo lettore. È proprio questa ricchezza, questa disponibilità alla lettura su vari livelli e da diverse prospettive che rende possibili le innumerevoli messe in scena dello stesso testo, che non esaurisce mai la possibilità di parlarci e di toccarci, anche se è stato interpretato migliaia di volte. Per questo è anche possibile assaporare il testo esclusivamente per la sua valenza letteraria, mettendo in ombra la sua specificità drammaturgica». Questa citazione è estrapolata dal capitolo conclusivo dal titolo Percorsi, in cui l’autore descrive le possibili e probabili chiavi di lettura di un testo, continuando a parlare del testo drammaturgico e fornendo al lettore alcuni strumenti che, in effetti, sono diversi, seppur complementari, rispetto a quelli descritti negli studi di Storia del Teatro.  Il linguaggio utilizzato dall’autore di questo volume appare fluido e sintetico, adatto agli studenti, ma anche ai drammaturghi, ai registi, a tutti coloro che vogliano soffermarsi su alcune riflessioni critiche riguardanti la scrittura drammaturgica e la lettura dei testi teatrali, in virtù di un progetto di messinscena. Lo stesso Allegri, a tratti, sembra tralasciare la linea di analisi rigida e super partes, caratteristica di uno studioso, per sfociare, poi, ad un approccio scrittorio a volte polemico, altre ironico e personale.

Luigi Allegri, Scritture per la scena. Leggere i testi teatrali, Editori Laterza, 2021, pp. 145, € 14,00



COME SUGHERI SULL’ACQUA

GEOGRAFIE – Nuvole Vaganti

acura di Ariele D’AMBROSIO

Garzanti
2021, Milano
Pagine 162
euro 16,00
Info:
https://www.garzanti.it/libri/antonella-anedda-geografie-9788811673132/

Una sovraccopertina di cielo annuvolato, una quarta che accoglie due endorsement: il primo di Alberto Asor Rosa da “la Repubblica”, il secondo dal “Times Literary Supplement”, non sappiamo di chi. Di Alberto Asor Rosa: ci fa pensare che sia ancora possibile immaginare una realtà che non sia tutta ridotta a polvere e scarto. Il secondo anonimo: La sua è la chiarezza conquistata a fatica di un poeta che fa musica dal quotidiano. Di chi sarà la traduzione anche questa anonima? Scelta editoriale che, di anglofilia sottolineata ci fa ogni volta più stretti e provinciali. Antonella Anedda non è ha alcun bisogno.

Della breve introduzione sul risvolto di sovraccopertina ricopio subito gli ultimi righi significativi: … dietro i luoghi che evoca, c’è la riflessione sul significato profondo dei mutamenti, siano questi biologici o geologici, politici o climatici. Bene, un dire importante e significativo che ci apre subito a quell’aria, a quel respiro di cielo annuvolato. Sul risvolto di destra le sobrie e sinteticissime notizie biografiche con una bella fotografia dell’autrice che si tiene abbracciata al tronco di un albero, che la fa viva in una natura ancora viva, con lei abbracciata come se la volesse trattenere, amare, salvare. 

Subito da wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Antonella_Anedda per soli due righi di notizie frettolose che già stanno ad indicarne il percorso: Antonella Anedda-Angioy, è una saggista e poeta, nata a Roma da famiglia sardo-corsa. Studia a Roma dove dopo la maturità classica si laurea in storia dell’arte moderna con Augusto Gentili e successivamente a Oxford. E qui comprendo, con maggiore cedevolezza, l’endorsement dal “Times Literary Supplement”, anche ritornando sul risvolto destro: L’edizione bilingue dei suoi primi cinque libri è stata tradotta in inglese per la casa editrice Bloodaxe dal poeta Jamie McKendrick. Troveremo qualche ponte con la poesia inglese contemporanea? Dobbiamo studiare per saperlo e cercare qualche traduzione attenta di poesia inglese contemporanea, qualche trascrizione per strumenti diversi – la lingua italiana –, come preferisco dire per intendere meglio la traduzione in poesia.

Ma tolgo la sovraccoperta per usarla come segnalibro e la copertina rigida cartonata è grigia con il nome dell’autrice ed il titolo di colore bianco. Elegante. La Garzanti è elegante, un po’ seriosa ed elitaria.

Sfoglio il libro e m’aspetto di trovare i rettangoli verticali stretti, più o meno lunghi, delle poesie, nella mia mente parallelepipedi di geometrie anche poliedriche. Ed invece mi trovo di fronte a figure piane di quadrati e rettangoli larghi, quasi racconti brevi, brevissimi. Sarà narrativa? E Antonella Anedda mi dà l’occasione di esporre ai lettori una poesia che si relaziona testimoniando e che non ha bisogno di esplicitare il ritmo degli accapo, delle spezzature, degli enjambent. Mi dà l’occasione di entrare nel vivo di una poesia prosastica che bene incornicia una scelta di poetica precisa. Per cui m’immergo nella scoperta del suo, all’interno di uno stile che sembra appartenerle.

Centoquarantadue poesie, subito qualche titolo che mi salta all’occhio: Muda –, Tiktaalik. Scavando fossili. Trovando sé stessi –, Sgretolarsi I –, Samos –, Topografia –, Pangolini –, Rettifica I –, seguono la II e la III, – Confini –, Colline –, Mongolia –, Finlandia, casa, sauna –, Luoghi del terrore domestico –, Afa –, Vulcani. Ville –, Nota –, Venaco –, Asprochalico –, Scrissi un compendio de le historie di la tenebrosa Sardegna –, Lo spazio ama il bianco e il grigio (sarà stato il poeta che ha indicato all’editore i colori della copertina cartonata rigida?), Solo paesaggio –, I numeri consolano –, Sgretolarsi II.

Questi titoli sono comunque in consecutio, ma è un libro che già da adesso non mi spinge, nella ritualità, ad una lettura dalla prima all’ultima pagina. Mi piacerà aprire ogni volta il libro per dare respiro alla casualità di una pagina che mi verrà incontro col suo spazio, e ritrovarmi io tra questi luoghi, tra questi titoli col mio cielo e le mie nuvole, perché le Geografie sono viaggi, sono ricerche, ritrovamenti, perdite, incontri, ricordi ed oblii, e già c’è tutto nel bel titolo del libro e nei titoli che lo contiene.

Potrò riportare solo stralci di queste tele dipinte a olio, spesso con l’uso della spatola: diretti, incisivi, spessi, corposi. Coaguli di visioni e pensieri, qualche acquerello lieve, solo a volte. E per farlo non potrò che riscrivere segmenti estrapolati che indirizzano con le loro omissioni, e per questo li farò sempre precedere dal titolo in corsivo, così come nel libro, e due slash // li userò sempre per indicare lo spazio prima dell’inizio o lo spazio all’interno dello stesso scritto, uno slash /: l’accapo come sempre. Il titolo, dicevo, che concentra ogni cosa detta per rappresentarla. Un compenso al non detto.

«Cornice // … Una parola ha tante strade: cornice significa anche compimento. Rispetto alla parola cornacchia che parla di vita proprio come un cane che abbaia, compimento rimanda a un concetto più tetro ma vero. / La cornice è il compimento del mutevole, la sua barriera, il compianto dello spazio costretto a non trasmutare, continuare.». E c’è tutto il rigore di una descrizione interiore che riflette su dati emotivi. E ancora nell’emozione che racconta con ponti repentini che spaziano e respirano, e l’intreccio tra l’umano, i luoghi dei viventi, la natura tra flora e fauna sono sempre inestricabili: «Sgretolarsi I // … Ora i fili del cervello non sono più infeltriti. Il vento primaverile, più mite, dissolve il ghiaccio sulla superficie dell’acqua. L’ira, l’invidia, la tristezza a volte si disperdono nello stesso modo, un movimento, uno spostarsi impercettibile nel paesaggio della mente. Nel Guardare i pavoni di Rodi, nella sosta della macchina affittata in uno spazio silenzioso, nell’essere in un’isola tanto lontana possiamo percepire il modo in cui il tempo si dissolve per poi accumularsi e dissolversi di nuovo. …». In questo dire i raccordi istantanei tra i vissuti di chi scrive e di chi legge.

Questo libro, non è un prosimetro, come la Vita Nova di Dante e non è in: «Nuvole vaganti? // Lo stretto sentiero verso il Nord è una prosa interrotta da haiku che danno il ritmo all’andare e al fermarsi e all’alternarsi delle stagioni. Il testo si trova facilmente online ma fisicamente, è nella casa di Bashō a Tokyo trasformata in museo.  È una sottile, lunga striscia srotolata sotto una teca di vetro. …». Questo libro è fatto di poesie prosastiche, detto meno bene di poesie in forma di prosa, o come nel risvolto dove la lingua poetica è magistralmente cucita nella stoffa della prosa, … .  Ma non smetterò mai di sottolineare la differenza con la narrazione poetica, con la prosa poetica di alcuni suoi tratti, dove il “poetico” in poesia lo trovo sempre inopportuno. La poesia anche in questo caso cerca sempre la descrizione di una riflessione emotiva, se si vuole meditativa perché ha lasciato il tempo all’emozione di sedimentare, e non è una narrazione che accoglie anche elaborati emotivi in forma di accadimenti che indicano e spiegano. Forse è una distinzione sottile, oggi che la soglia, il limite tra le due espressioni si fa sempre più esile, ma che pure, ritengo, esista e persista anche all’interno di uno stesso autore. Una distinzione che va oltre il dato tecnico di una scrittura, per entrare in due modi diversi di vedere e sentire.

È bello nominare il nome latino e antico degli alberi, il suono di questi nomi misteriosi, così come resta sempre misteriosa la natura, e l’invenzione del linguaggio. È bello il desiderio di scoprili e guardarli, così come contemplare i grafemi che li descrivono e li fanno vita: «Valle, pozza d’acqua // … Potremmo passare una vita a copiare e nominare. Osservare sgombra la testa da noi stessi: Salix crataegifolia, Saxifraga lingulata, Silene lanuginosa e ancora Arenaria Bertolinii, Aquilegia pyrenaica, Anemone alpina var. millefoliata, Veronica aphylla var. longistyla, Valeriana saxatilis, Bellidistrum michelii. / … ». Ed anche nomi di rapaci, elenchi di luoghi, e sempre in uno spazio residuo, che non è rimanenza ma ciò che resta e fabbrica il molto della poesia.

«Il viandante // … Il lato incoraggiante del viaggiare è che puoi voltare la solitudine in direzioni diverse puntandola sui luoghi. … Peccato per le luci. Pazienza per il grumo di lecci, per il cambiamento delle stagioni, le ortiche, lo sciame degli insetti, i falchi, i gridi dei pavoni, ma è una liberazione immaginare di essere le sagome dei piloti sulle carte nautiche.», ed ancora «Mappe // «Di tutti i libri», scrive R.L. Stevenson, «quelli di mappe sono i meno noiosi e i più ricchi di contenuto; il corso delle strade e dei fiumi, i contorni, le chiazze delle foreste, i banchi di scogli, i fondali, le ancore, le linee di rotta.» / … Nelle mappe la terra è piatta come secondo Tolomeo e chissà se il piacere di guardare una cartina geografica non derivi da una sedimentazione.». Come non ricordare le “Carte Nautiche” di Antonio Possenti, pittore disegnatore e illustratore, i suoi percorsi onirici tra figure d’animali e uomini che viaggiano astratte e metafisiche su cartine geografiche. Qui, il valore di questa poesia, col piacere di far parlare questi versi lunghi come strade, come linee; camminare sui suoi meridiani, scavalcare i paralleli senza pensare dove andare, dove arrivare, per riconciliarsi col mondo tondo della terra.

Ma siamo con una guerra vicina, senza dimenticare quelle lontane, ed ecco quello che succede tra me ed una poesia che mi fa sentire tutto più vicino, più dentro, tra il terrore e l’orrore e la natura che li ricopre con il suo pudore: «Folto // … Il campo resta un campo anche se lì avviene un massacro. Il faggio resta faggio con le foglie, le radici. La storia scrive sulla terra, è vero i corpi formano gli ossari, la fila di cippi di cadaveri dal Piave ai Pirenei, dall’Adriatico alla Manica, è vero la storia può radere a zero un campo, un bosco di abeti, può prosciugare un lago. / Dunque dobbiamo parlare solo delle cose senza specie umana, solo sassi e vallate, natura inanimata, natura senza orrore? / Proviamo. Togli i passeggeri e i treni e i rovi si fanno strada, prima con cautela poi coprono il terreno, i cani muoiono senza i padroni, le luci delle lampade saltano, l’edera sulle facciate sopravvive. / Ma un conto è la mappa, un altro la geografia, la mappa è la sua cartapecora che il fuoco può incendiare.».

Sarà che «I numeri consolano // K’un è l’ultimo dei 64 esagrammi dei Ching, ma non indica una fine, anzi avverte che siamo prima del compimento. Prospetta riuscita ma prescrive cautela. A chi? Non a un essere umano ma a una volpe, anzi a una piccola volpe: …».

Mi chiedo spesso se gli esseri umani sono natura e come tale assalgono, usurpano, mangiano, sbranano, dividendosi e unendosi come fisarmoniche, dimenticando che senza l’aria non c’è suono e non ci può essere canto. Ma ancora una volta mi soccorre Antonella Anedda, e con questi ultimi versi lascio il lettore al desiderio di guardarci dentro e scoprire angolazioni inaspettate nate sempre da riflessioni emotive che mutano in meditazioni. «Luoghi del terrore domestico // … Dove nascondersi dal pensiero che non smette di rappresentare, mostrare, intrecciare, infeltrirsi. La difficoltà di uscire da sé stessi contempla la necessità di farsi strada tra la moltiplicazione delle immagini, del racconto ininterrotto, delle rappresentazioni del tempo, nel tempo. / Per questo al tempo del tempo meglio contrapporre gli spazi senza tempo, azzerare la memoria contro la sua potenza. Alla spirale sostituire la distesa, la prospettiva, l’orizzonte. Alla storia, appunto, la geografia.».

Ariele D’Ambrosio 

Napoli ottobre 2022