IN MEMORIA DI SALVATORE ESPOSITO

Circa un mese fa ci ha lasciato Salvatore Esposito, il poeta. Così amava definirsi e così tutti lo chiamavano. Amava la vita, le cose belle, e soprattutto la cultura intesa nelle sue forme più varie, la cosiddetta cultura alta, quella dei Classici, dei grandi pensatori, i filosofi da Nietzsche a Heiddeger, i poeti Leopardi e Pascoli, e la cultura popolare, quella non codificata, che si rappresenta in mille modi, al di là del canone, quella cultura popolare che a Salvatore piaceva tanto, perché gli apparteneva, da Basile a  Ferdinando Russo, da Di Giacomo a Viviani.
Amava scrivere i suoi versi, ma amava anche recitarli, così in maniera estemporanea, senza infingimenti, né sovrastrutture, amava in certo modo esibirsi, raccontarsi, e riusciva sempre ad attirare l’attenzione su di sé, non passava certo inosservato con la sua presenza forte e la sua voce stentorea. Era un po’ attore, forse perciò avevamo subito legato. E poi la comune passione per Viviani , soprattutto poeta!
Il mio forte amore per il teatro mi aveva avvicinato a lui, al suo modo di farsi capire e di capire gli altri. Sì perché Salvatore era un generoso, voleva sempre ascoltare gli altri, la sua grande capacità d’ascolto era una delle sue doti principali e non era cosa da poco. Ascoltava e ribatteva, rispondeva appropriatamente e spesso polemicamente, perché aveva un forte desiderio di confrontarsi e di avvicinarsi alle persone senza riserve. Per questo era un uomo del Sud, del nostro Sud “eroico” nel senso etimologico del termine, in cui tutti noi, chi più chi meno siamo chiamati a fare gli eroi, a combattere l’ignoranza e il degrado. Della nostra condizione difficile, spesso imbarazzante, ci siamo lamentati spesso, nelle nostre conversazioni, di persona o al telefono, ci siamo lamentati, ma ci siamo anche arrabbiati e questo ci ha consentito di reagire, di esprimere il nostro punto di vista, con coraggio, eroicamente, senza paura. Il Poeta riusciva a sentire le cose e a esprimerle con una forza titanica, gridando il suo dolore, ma raccontando anche in versi, i suoi sentimenti, con una dolcezza discreta e sottile che ricordava i migliori poeti del Novecento. La sua onestà intellettuale, il coraggio delle idee, come si dice, ne fanno un simbolo per questo territorio, il vesuviano, dove era giunto, da Napoli e dove si era perfettamente inserito, nel corso degli anni. Amato dai suoi amici, dai tanti amici che aveva conquistato con la sua forte personalità, era diventato un importante punto di riferimento, un interlocutore prezioso per tutti, giovani e meno giovani, colti e non. Era molto radicato nel territorio Salvatore, anche se, ma questa è una caratteristica comune alla  gente di queste parti, non si era mai fossilizzato; si sentiva un intellettuale libero di manifestare le proprie idee, perché non aveva ceduto ad alcun compromesso per andare avanti. Aveva partecipato al “Giugno Popolare Vesuviano”, la manifestazione che si è svolta negli anni 1974-’83, insieme ad altri poeti come Enzo Bonagura, Mario Casillo, Agostino Nappo e Gennaro Carbone. Si ricorda una serata memorabile in cui ci fu un confronto tra il poeta spagnolo Rafael Alberti e Salvatore Esposito, in cui il Poeta diede prova, ancora una volta, delle sue doti espressive e recitò tutti i suoi  versi a memoria. Proprio grazie al recupero del “Giugno”, della sua storia così controversa, ma così importante, esperienza originale e irripetibile, che conobbi Salvatore Esposito, che, e di questo gli sarò sempre grata, colse l’intento del mio progetto di valorizzazione di un evento culturale di notevole portata di cui si correva il rischio di perdere le tracce. Salvatore volle collaborare e assistere con garbo e discrezione alle ricerche del materiale e ancora una volta diede conferma delle sue eccezionali capacità mnemoniche. Per il “Giugno” aveva scritto questi versi:

’O Giugno Popolare
Paese addó se faticava ’a terra
Affollato p’ ’e fiere ’e l’animale
Sì addeventato “zona industriale”
Sti figlie tuoje so nate pe fa ’a guerra!

Guerra ’e fatica dico, è naturale,
no chella ca ce ha fatto tanta male.

Chello ca nun dico, è si te voglio bene,
saccio ca nun te piace ’o lammeccato,
sì na banchina addó tengo attraccato
chistu core ch’è stracquo ’e jì pe mmare.

E sì pate a stu Giugno Popolare
ch’è tale e quale a te, t’arrassumeglia:
“cartuscella appicciata mmiez’ê sbreglie
c’ha fatto piglià fuoco nu pagliaro!”

Mane ’e fatiche scetene ’e tammorre,
accummincene ’e cante d’ ’a Zabatta,
e ogne voce p’ ’o munno corre corre,
jenne chiammanno gente a’ tutte parte.
Artiste canusciute e scanusciute,
’e tutte razza e tutt’ ’e religione,
chi zompa, chi cammina ’ncopp’ ê mazze,
e chi canta affacciato a nu balcone.

E tu mmitte sta gente ’o mese ’e Giugno.
Quanno se scarfa ’o sole l’aria addora,
e se scetene ’e voce d’ ’a campagna,
e na speranza ’e pace dint’ ô core.

Parlanno cu ’e cumpagne ’e Paraviso
Ca só San Giorgio, e Sant’Anastasia,
San Giuseppe c’ ’o pezzetiello a risa
Dice: “guagliù, chist’è ’o paese mio,

ma ’o mese ’e Giugno, nun ce stanno Sante!
Addeventa ’o paese ’e tuttuquante!…”
                                               Salvatore Esposito

Scriveva in dialetto, soprattutto, ma anche in lingua. Il dialetto nei suoi versi non ha mai una funzione mimetica, perciò il Poeta supera i confini della comune poesia dialettale del Novecento, per esprimersi in un linguaggio che si fa forte e originale, ricco di suoni e di immagini, che passa dai toni bucolici a quelli sociali. Mai nostalgica e legata al passato, la sua poesia è molto legata al presente e del presente è forza e vita. Questa poesia va perciò preservata e custodita e quindi pubblicata – ribadisco pubblicata – perché è un bene culturale della nostra ricca cultura napoletana.    
Antonia Lezza