Il racconto di sé. Relazione dei corsisti

Si pubblicano qui la quinta e la sesta relazione dei corsisti che hanno partecipato alla X Edizione del Seminario con Enzo Moscato, Il Racconto di sé,svoltosi il 28 Febbraio, 1,3 e 10 Marzo 2023, presso la sede dell’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo
(Via Matteo Schilizzi, 16 – 80133, Napoli)
Per leggere le precedenti quattro relazioni clicca qui:

Pablo Picasso, il pittore innovativo e poliedrico ma anche l’uomo dai tanti lati oscuri che ha narrato la sua vita attraverso le sfumature di colore diceva: Se dipingete, chiudete gli occhi e cantate.(1) A questa affermazione, che credo sia la celebrazione dello spirito dionisiaco che racchiude in sé l’essenza stessa del teatro, io aggiungerei : Se amate il teatro, chiudete gli occhi e ascoltate. Inizierò proprio da questa citazione per esprimere tutta la mia riconoscenza, che matura giorno dopo giorno verso la comunità teatrale ma soprattutto verso la città che, come una madre premurosa, ci dà da vivere e da sognare. In particolare, questi pomeriggi trascorsi al Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo sono stati molto importanti per la formazione di noi allievi e soprattutto hanno fatto germogliare dentro ognuno di noi il seme della responsabilità nei confronti del patrimonio teatrale che possediamo e che dobbiamo sempre tener vivo attraverso lo studio e le performances sul palcoscenico. Il maestro Enzo Moscato ha provato a raccontarci cos’è per il lui il teatro; esso è un rito magico, una sorta di celebrazione liturgica in cui attori e spettatori sono chiamati ad entrare in un mondo altro, un mondo fatto di parole, suoni ed immagini che inevitabilmente, raccontano il passato e ne riportano alla realtà gli archetipi. Infatti solo attraverso questa sorta di comunione liturgica che è possibile abbattere la cosiddetta quarta parete. In questa grande messa in scena che è la vita, lo spettatore ha il ruolo maggiore infatti è colui che in qualche modo custodisce dentro di sé l’insegnamento teatrale professato oralmente, sacro e profano al contempo. In questi pomeriggi noi, giovani artisti, studiosi e tecnici, siamo stati spettatori di una comunione di anime e verità che difficilmente dimenticheremo. Personalmente ritengo che sia davvero complesso descrivere con parole semplici la nostalgia che ho nel cuore alla fine di questa edizione del seminario Il racconto di sé promosso e organizzato dall’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo con il drammaturgo, attore e regista Enzo Moscato. Numerosi e interessanti sono stati gli argomenti trattati in questi incontri, che sicuramente ci hanno permesso di comprendere quali sono le nostre aspirazioni e come renderle concrete in relazione allo scenario culturale, sociale ed economico che si prospetta nel paese. Tra le cose che ricorderemo di questo tempo trascorso con il nostro maestro sicuramente c’è l’invito a riscoprire il senso di sacrificio e di disciplina artistica, sempre che alla base ci sia la vocazione. Egli afferma: Nessuna parola già detta dovrebbe essere abbandonata mai in teatro (2) e in effetti ciò è vero, infatti il palcoscenico è da sempre un luogo dove le tracce del passato si tramandano, dove le pulsioni interiori tornano a vivere come da junghiano insegnamento e dove ogni essere umano si sente, in qualche modo, in connessione spirituale con l’altro. Partendo da qualche accenno dal testo Oltre la Serenissima, Goldoni, Napoli e la cultura meridionale (Napoli, Liguori 2002) a cura di Antonia Lezza e Anna Scannapieco, abbiamo parlato delle avventure tutte napoletane del poliedrico intellettuale Giacomo Casanova per poi tornare ai personaggi campani a cui Carlo Goldoni attribuiva ingiustamente lo stereotipo di millantantore. Ricordando Roberto Bracco e il suo spiritualismo, poi, sono stati sottolineati i cambiamenti verificatisi nel ‘900 e di conseguenza l’emergere di un teatro più vivo ed agito dove si afferma l’opera in prosa e versi e naturalmente la tradinvenzione di Enzo Moscato. Accennando, poi, ad opere drammaturgiche più recenti come Letizia Forever di Rosario Palazzolo, ci siamo avvicinati alla nuova drammaturgia siciliana, di cui l’autore è un esponente importante. Letizia è una donna analfabeta, esilarante, poetica, semplice e complicatissima, dal linguaggio dirompente, intriso di neologismi e nonsense che diventano addirittura caricaturali non appena prendono di mira l’instabile certezza dei luoghi comuni. Questa storia, narrata in prosa e musica, è ambientata negli anni ’80 e sollecita amare riflessioni sul periodo storico e sulla condizione della donna. Recentemente, d’altronde è stato lo stesso Enzo Moscato a riproporre, presso il teatro No’hma di Milano, l’opera Luparella insieme al giovane attore e drammaturgo Giuseppe Affinito, con il preciso intento di far conoscere al pubblico un testo di grande valore drammaturgico e sociale. Nel corso del seminario è stato ricordato, che Luparella venne messo in scena per iniziativa del Centro Studi, nell’ambito della rassegna “Teatro In Cappella”, presso il Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore, nel 2018 a Napoli.  Questo testo, una delle più importanti opere del maestro, interpretato anche da Isa Danieli, affronta il rapporto con la Storia ed è stato rielaborato secondo la personalissima sensibilità dell’autore e grazie ai tanti racconti della madre sulla guerra. L’opera è ambientata a Napoli, in un lupanare dei Quartieri Spagnoli dove l’atroce destino attende Luparella, che dopo aver dato alla luce il suo bambino grazie all’aiuto di Nanà, muore di parto e come se non bastasse il suo corpo, ormai senza vita, rischia di essere profanato da Ans il soldato tedesco che frequenta il postribolo. Enzo Moscato intinge sempre la propria penna nell’ampio calamaio della sua formazione culturale, letteraria e filosofica ma allo stesso tempo trae linfa vitale dalla città da cui non si è mai distaccato. La sua è una carriera iniziata quasi per gioco, ma che gli ha dato l’occasione per interrogarsi sul senso della vita e sulla condizione umana in generale. A tal proposito il maestro ci ricorda le parole del filosofo Thomas Hobbes: La mia più grande passione è la paura (3) invitandoci, così, a riflettere sull’importanza dello studio delle opere dei padri come Eduardo De Filippo e Giuseppe Patroni Griffi, che in particolare è stato in grado di narrare il disagio di un epoca storica costellata di crisi economica e interiore, attraverso opere come Persone Naturali e Strafottenti del 1973. Il dopoguerra ha sicuramente portato con sé un cambiamento dello scenario teatrale infatti adesso è il gineceo narrante a dare voce al racconto e a tal proposito Enzo Moscato ci ha parlato, durante i nostri incontri, del testo Carcioffolà, messo in scena a Roma nel 1980 (l’opera, cosiddetta progenitrice della successiva Cartesiana, è a sua volta appartenente alla raccolta dal titolo Ritornanti). Insomma, per dirla con le parole di Jean-Pierre Vernant: La vera materia della tragedia è il pensiero sociale proprio della città, città che si fa teatro. Essa prende ad oggetto l’uomo costretto a fare una scelta, ad orientare la sua azione in un universo di valori ambigui dove nulla è mai stabile o univoco(4). E’ proprio questo che accade nel testo che Enzo Moscato definisce appartenente al cosiddetto “teatro di immagine” e che porta il titolo di ScannasuriceScannasurice è, per così dire, una lettera di cui solo Dio conosce la destinazione, è una specie di poema sulla discesa agli Inferi. Un vortice di parole in un dialetto stretto, per quanto comprensibile e reso fruibile per lo spettatore, che narra di singoli esseri umani abbandonati al loro destino che nella compagnia di topi (razza unica e fedele), trovano anche un segno di magia divina, rendendosi esseri intoccabili e fautori di fortuna insperata. Da citare anche l’ammirazione del maestro nei confronti del drammaturgo stabiese Raffaele Viviani, che rivive nella tradinvenzione Mirabilia Circus (5), a sua volta tratta da Circo Equestre Sgueglia (1921) dello stesso Viviani. Leggendo il testo è palpabile la melodia che viene fuori da ogni parola, il cui timbro melodico risuona nell’aria anche senza saper cantare. Il maestro ha spesso ribadito l’importanza di vivere e di essere teatro portando sempre con sé la valigia dell’attore, con il proprio dialetto, il carattere e la passione. Spesso le accademie creano una piramide verticale tra gli allievi, ingenui ma vogliosi di fare spettacolo che rincorrono promesse ed illusioni. Col tempo, però, la nostalgia di casa si fa sentire e sorge un terribile desiderio di teatro insoddisfatto. E’ proprio allora che è necessario intervenire riscoprendo la propria passione naif oltre che la lingua, la carne e il soffio di chi è venuto prima di noi. Eduardo De Filippo, che Enzo Moscato definisce grande attore ma drammaturgo ancorato al salotto borghese, ha sicuramente condizionato la crescita dei suoi posteri che hanno, però, sperimentato partiture che spaziano tra il dramma e la farsa come Festa al Celeste e Nubile Santuario (1984), andato in scena al teatro San Carluccio e Rasoi (1991), con la regia di Mario Martone; entrambi i testi sono di Enzo Moscato. Il teatro non è sempre un travestimento ma l’unione di tre astri luminosissimi: idea, materia e racconto che danno vita ad una partitura di vita vissuta. Alla prosa si unisce inevitabilmente il canto, purissimo strumento che vive senza essere drammaturgicamente ortodosso. In tale ottica, è chiaro che gli autori partenopei che vengono dal Novecento, per così dire incantati e tormentati, sono chiamati ancora a divulgare l’arte e ad insegnarla. Oggi che senso ha continuare a produrre “la cosa teatrale” nel tumulto di questo secolo? È chiaro che l’impatto della pandemia sullo spettacolo dal vivo ha prodotto uno stato di necessità inedito. Sappiamo, infatti, che il corpo a corpo di emittenti e destinatari nello spazio disposto  al teatro è entrato radicalmente in crisi e che il medium ha dovuto affrontare il più estremo compromesso della sua storia millenaria: l’assenza del pubblico dal vivo. È chiaro che l’avvento della pandemia ha determinato un mutamento della forma tradizionale dello spettacolo, una trasformazione delle sue procedure materiali ed evenemenziali verso quella fenomenologia dello streaming che appare ormai come la più ardua sfida del presente. In particolare a subire questa mancanza di carne viva è Napoli stanca, mortificata, piegata ma rabbiosa come la definisce oggi e sempre Enzo Moscato, autore che sente di raccontarla e di interpretarla come atto civico non solo perché è stata la prima città del mondo a liberarsi dai nazisti senza l’aiuto degli alleati ma soprattutto per dare voce agli eroi comuni, al popolo, agli scugnizzi (non dimentichiamo che questi si sono resi parte attiva degli scontri per osteggiare la presenza delle forze militari tedesche nella città). Avrei ancora tanto da scrivere sui giorni appena trascorsi, ma preferisco concludere con l’augurio che possano essercene altri cento perché non c’è azione più nobile di diffondere arte in tutte le sue forme.
Valentina Merlo

1 Oliver Widmaier, Pablo Picasso. Ritratto intimo, Jaka Book, Milano 2018, p.15
2  Cfr, Il teatro di Enzo Moscato, www.teatro.unisa.it
3  Carlo Ginzburg, Paura, reverenza, terrore. Rileggere Hobbes oggi, Parma, Monte Università Parma, 2008, p.38
4  Jean Pier Vernant, Mito, Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti Treccani, Roma, 2021
5  Antonia Lezza, Un esempio di tradinvenzione: Mirabilia Circus di Moscato, in Mondes narratifs et normatifs entre la parole et l’image, Mélanges offerts à Gius Gargiulo,Firenze, Parigi, Porto Allegre, Edizioni Classi, 2021, pp.98 – pp. 124



Relazione su: ’Il racconto di sé.’ Seminario curato da Enzo Moscato

Comincia con la pioggia dell’ultimo giorno di Febbraio, questo intersecarsi di anime e percorsi, che hanno preso vita nella sede del Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo. Il M° Enzo Moscato è seduto di fronte al tavolo rotondo, accanto alla Prof.ssa Antonia Lezza, con le gambe incrociate, rannicchiato per il freddo del mese più corto dell’anno. Il suo polso è fasciato da un crocifisso di legno scuro e i suoi occhi sono rivolti a noi: ragazzi soli ‘con qualche esperienza’ che ascoltano le parole di un uomo che, inconsapevolmente, ha rivoluzionato il teatro con il suo linguaggio schietto, la sua poesia abbacinante, con quella singola umiltà che contraddistingue l’uomo dal genio.

Io d’ ‘o teatro non sapevo proprio niente!’ Esordisce così il M° Moscato, insegnante di filosofia , classe ’48 , figlio dei racconti della guerra che gli si sono appiccicati addosso, delle macerie arrovellate dei Quartieri Spagnoli, di una Napoli malamente intrisa di verità, di coscienza e di anime che hanno fatto, e continuano a fare, la resistenza. Perché, a Napoli, qualsiasi cosa accada, la vita è talmente bella che devi sopravvivere per forza.

Enzo Moscato, drammaturgo, attore e regista, preziosa testimonianza di sincerità che ci accompagna nel ricordo del suo primo spettacolo, Carcioffolà (1980) , scritto su fogli protocollo, con l’inchiostro nero, qualche linea che traccia l’errore e l’incoscienza di un ragazzo che ha voluto giocare seriamente, col e nel tempo, circondandosi di compagni che hanno creduto nel significato delle sue parole, che hanno investito le loro forze per superare l’amarezza delle porte sbattute in faccia dai produttori, dai teatri e da qualsivoglia manifestazione artistica che potesse restituire loro un briciolo di esistenza. Enzo Moscato, da solo o in compagnia, è riuscito a leggersi dentro, a sottolineare i sentimenti cruciali della sua esperienza e a farli scorrere sulla pelle di chi li legge, di chi li interpreta, di chi li vuole contemplare per arricchirsi del dolore che non sempre rende un essere umano migliore. E’ un esempio per chi non vuole arrendersi, per chi non ha pretese, per chi non ha paura di ricercare se stesso e trovare negli altri la bellezza di fare le cose insieme.
Avete bisogno solo di qualcuno che creda in voi’ questo ha detto ai nostri occhi pieni di riconoscenza.
Noi, in cerchio, seduti e vicini. Giovani e meno giovani, che tintinniamo la penna sul foglio per scaricare la tensione, che ascoltiamo con il capo chino e sfioriamo il ricordo di quando era agghindato d’alloro nella fotografia della laurea.
Pensi se ne è valsa la pena, che se cade la corona in qualche modo, bisogna raccoglierla da terra. Recepiamo con quella sete che ti viene sotto alla stazione prima di vedere il numero del tuo binario. La stanchezza che ti viene nelle cosce quando tarda il treno e devi accelerare.
Tra di noi c’è chi viene da: Bologna, da Milano, dalla periferia, dal mare, dai vicoli, da dove ci si sente stretti. Noi che vorremmo trovare una via di fuga per dire a noi stessi che non siamo un punto interrogativo, ma un punto di partenza, esistiamo. Noi che dovremmo ripulirci il cuore con la cultura ed estirpare quel ‘male che giace alle radici,’ come diceva Eugenio Montaleper restituire futuro a questo presente che sembra privo di speranza. Noi, sconosciuti, che viviamo il disagio di doverci mettere a nudo presentando il nostro se’, parlando dell’argomento più difficile: noi stessi. Abbiamo espresso il nostro malessere, non con la certezza di trovare risposte o soluzioni da questo seminario, ma con il desiderio di essere ascoltati, semplicemente, per condividere. Non bisogna mai negare l’ascolto, soprattutto quando affrontiamo temi scontati come la precarietà. Abbiamo l’intelligenza di comprendere che molte procedure non le possiamo sapere o non ce le possono dire. Un artista, nel nostro paese, se decide di campare facendo teatro, sa che la mattina fa lo spazzino per le strade della città e la sera si trasforma sulle tavole del palcoscenico in: libellula, sirena o maga. Ci disorienta la poca chiarezza sul come vengono distribuiti i fondi. Perché sempre a uno e l’altro no. Ci annienta comprendere il valore che possiede il teatro nel nostro Paese.

Mancanze.
Il teatro, oggi, resiste perché è figlio di troppe mancanze e resiste per chi vuole restituire qualcosa di piacevole al mondo. La mancanza di soldi. Produzioni. Ricerca. Sperimentazione. Spazi verdi. La mancanza di comunicazione. Si è perso il senso della sana competizione. Siamo inciampati nell’accezione negativa del termine: oggi si fa a gara con tutti, con chi possiede di più e anche con chi non ha nulla, con chi ha più contatti o più nomi in cartellone, ma le parole, le belle parole della prosa e dei poeti, con tutto il loro significato, dove sono andate a finire? La mancanza di non poter essere se stessi e di non esserlo mai in nessun luogo, nemmeno a teatro, perché ,ancora oggi ,una donna è semplicemente una madre, una che lava i piatti o una prostituta e un uomo è , semplicemente, un uomo che ricopre tutto il resto dei ruoli. Per William Shakespeare l’Orso ne ‘Il racconto d’inverno’ è semplicemente un attore che fa l’orso. Neutro. Bisognerebbe ritornare al neutro, poter essere uomini, donne, vecchi, alberi, tutto. Spesso ci si dimentica che il teatro è un gioco, il gioco infantile del trasformarsi, il gioco che ci salva dalle guerre, dalla schiavitù al Dio Denaro. Non chiudiamo le nostre anime in distributori pieni di merce scaduta. Non dobbiamo essere tutto quello che vogliono gli altri. Questa ostinazione dovremmo sfruttarla per il nostro ingegno e non aspettare che qualcuno inserisca la moneta per farci cadere giù , essere scelti per servire a qualcosa.

Maestri come Enzo Moscato, sono quella moneta da inserire nel nostro distributore, l’appiglio per concretizzare le nostre idee, accogliere i nostri nuovi linguaggi, l’ignoto che non è nostro nemico, ma che ci indica il metodo, come una vedetta sul molo, per farci approdare sulla terraferma. Enzo Moscato ha guarito i nostri dubbi riducendo la sua esperienza ad una sintesi sincera: ’tutto il male viene da fuori e non dal teatro.’ Le sue parole, stese sui fili della flebile voce, mi hanno guidata verso la certezza che esiste una forza, che smuove tutto l’universo e questa forza appartiene agli artisti. Appartiene ai racconti di Enzo Moscato e del suo sè che si interseca ai mèlos del passato, alla curiosità spezzata di un bambino che non ha mai sentito suo padre cantare, alla disperazione di un uomo che non racconta bugie e che sta dalla nostra parte: dalla parte dei vinti. Abbiamo assistito ai retroscena dei suoi capolavori: da ‘Scarnasurice’ a ‘Bordello di mare con città’’ passando per i vicoli carnali degli occhi di Annibale Ruccello e del suo ‘Ferdinando.’ Una pausa per ammirare il suo sguardo, la metamorfosi, il rispetto per il tempo del nostro intelletto che si deve abituare al concetto di trad-invenzione per costruire il nuovo, su fondamenta solide. ‘Il teatro dovete farlo’ ripete costantemente il Maestro: ’Il teatro dovete farlo ovunque!’ Insiste tra i poster affissi al muro di ‘Hotel de l’ Univers’ e ‘Co’Stell’Azioni’ nella stanza del Centro Studi che ci ospita.
Sono tornata a casa e ho svuotato le tasche di tutti i nomi degli autori che ho rubato per riempirmi il cuore e per sfamare la curiosità: Paolo Poli, Giuseppe Patroni Griffi, Antonio Newiller.
Ho colto dettagli e segreti di Eduardo De Filippo (fu proprio la sua intervista dopo la morte di Pier Paolo Pasolini a scaturire l’ispirazione in Moscato di ‘Ta- Kai- Tà); abbiamo parlato di Raffaele Viviani: ‘Cu ‘a famma e cu ‘o ccapì, dicette: ‘Nun pò essere: ‘sta vita ha da fernì’ e siamo arrivati all’autenticità di Roberto Bracco, alla luce che meriterebbe questo autore e di una sfilza di progetti da inventare per guardare avanti, contaminare il passato, avere cura di un patrimonio artistico-culturale unico al mondo. Sono bastati quattro incontri, con la persona giusta, per raggiungere la consapevolezza di dover uscire fuori dal nostro nido, che noi non siamo il voto finale di un esame o la critica scritta da un frustrato, che la missione è trovare la nostra strada, modificando tutto quello che non ci piace, imparando quello che non conosciamo con gentilezza, cambiando le carte in gioco, trovando l’ essenza di noi stessi, senza mischiarci con quello che non ci riguarda. Quello che non ci riguarda, non lo possiamo cambiare. “Vi sono bombe da mettere in qualche posto, ma alla base della maggior parte delle abitudini del pensiero presente, europeo o no.” Scriveva Antonin Artaud ne ‘Il teatro e il suo doppio.’

Siamo come le candeline accese nell’opera ‘Compleanno’ di Moscato, che durante una rappresentazione all’aperto, ci ha raccontato che, a causa del forte vento, si spegnevano in continuazione e lui è andato avanti lo stesso, con tutto il vento contro…
Enzo Moscato non fa teatro, lui è teatro. ‘Bisogna avere il coraggio di trasgredire’. Come un martello pneumatico, questi consigli, abitano la mia mente e fanno spazio per accogliere tutti i sé che mi rappresentano, tutto quello che sono oggi e che sarò domani.

Auguro ai miei compagni del seminario di trovare sempre una strada che ci conduca verso il nostro se’, di incontrarci in qualsiasi piazza o via della vita e al Maestro Moscato di rammentarci, tutte le volte che lo dimentichiamo, che la scelta più bella da fare nella vita è fare teatro.

Grazie alla professoressa Antonia Lezza per questa preziosa opportunità e ai sorrisi di Stefania Cerbone.

Federica Totaro