Il racconto di sé. Relazione dei corsisti
Si pubblicano qui la terza e la quarta relazione dei corsisti che hanno partecipato alla X Edizione del Seminario con Enzo Moscato, Il Racconto di sé, svoltosi il 28 Febbraio, 1,3 e 10 Marzo 2023, presso la sede dell’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo
(Via Matteo Schilizzi, 16 – 80133, Napoli)
Per leggere le prime due relazioni clicca qui:
I quattro incontri con il maestro Enzo Moscato sono giunti al termine ed è arrivato quindi il momento, necessario, di tirare le somme di quanto affrontato durante i proficui incontri. Se il tema del Il racconto di sé è stato scelto come cuore del progetto si è poi rivelato invece una “semplice” miccia in grado di generare una serie infinita di riflessioni non solo sulla propria e personale interiorità, ma sul mondo del Teatro tutto. Non si può parlare di quello che ci circonda se prima non si impara a parlare con sé stessi e di sé stessi, ed è questa forse la prima e più grande lezione trasmessaci da Moscato, sempre attento a ricordarci quanto della propria vita e delle proprie esperienze si è riversato poi nei suoi lavori. Il racconto dell’opera teatrale di Enzo Moscato è inseparabile dal racconto biografico del maestro, ricco di aneddoti, ricordi e idee che hanno poi cementificato la sua progressione artistica. Quanto organizzato dal Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo ha presto perso il sapore di un classico seminario incentrato su una personalità di riferimento del mondo teatrale, acquisendo invece l’aroma di una conviviale conversazione in compagnia di chi a questa forma artistica ha dedicato la propria esistenza e ragion d’essere.
Il primo appuntamento, a cominciare dalle sue fasi preliminari, si è immediatamente mosso in questa direzione offrendo un caldo riparo dall’incessante pioggia che per tutto il giorno non ha dato tregua a Napoli. Sedia dopo sedia la sala si è riempita sotto l’occhio attento e accogliente di Enzo Moscato, al cui sguardo sembrava non sfuggire neanche un movimento. A guardarlo non ci si poteva non domandare cosa stesse elaborando la sua mente creativa e, come ci si poteva aspettare, ha catturato tutti i presenti nell’istante in cui ha pronunciato le prime parole. L’ipnotizzante voce del teatro napoletano che ha solcato i palcoscenici per anni e anni ha sciolto in ognuno dei presenti quella tensione, anche minima, che nasce durante le esperienze nuove. Così Moscato ha inaugurato il seminario, e lo ha fatto partendo dall’inizio di ogni cosa, dal suo personale incontro con il teatro. Tutto è nato dalla sua timidezza e, proprio come il ragazzino che trova finalmente il coraggio di dire la sua, Moscato non ha nascosto più nulla e ha continuato a parlare, soffermandosi sui momenti più importanti della propria vita privata e artistica, costantemente intrecciate mano nella mano durante tutto il percorso. L’ esordio sul palcoscenico; i lavori successivi; gli incontri con gli altri protagonisti della scena; il rapporto con la critica; la relazione con gli spettatori e il confronto con le Icone dello spettacolo con la I maiuscola, colorano il discorso di Moscato fino alla conclusione della sua presentazione, un dipinto raffigurante un uomo di teatro che, ormai, a teatro “quasi non ci va più”. Perché tutto il colore che ha caratterizzato il racconto personale, lascia spazio ad un grigio più vicino al reale via via che ci si rapporta con la situazione contemporanea. Non vi è nostalgia nelle parole di Moscato, non si trovano tracce di malinconia, la sua è più una constatazione, una presa di coscienza del fatto che le cose ormai stanno muovendosi in questa direzione. Il maestro invita a sognare ma dalle sue parole traspare indiscutibilmente anche un incitamento alla “resistenza“, all’inevitabile battaglia che è chiamato a combattere chiunque creda in un certo tipo di teatro, distante da intromissioni e influenze esterne. Nel momento in cui le luci della ribalta vanno via via spegnendosi, un vuoto fantasma sembra prenderne il posto, privo della funzione originaria del teatro quale terapia per la vita.
Enzo Moscato ha utilizzato i quattro incontri per indicare sì la strada che lui ha percorso e che dovrà percorrere secondo lui questa forma artistica, ma anche per tendere la mano alle nuove generazioni attraverso un passaggio di testimone che si è concretizzato poi nella seconda metà del seminario. Da Il racconto di sé si è passati a Il racconto di noi e tutti hanno avuto l’occasione di partecipare attivamente, dalla testimonianza del proprio curriculum, alla narrazione del proprio personale rapporto con il teatro, passando per le motivazioni che hanno spinto ognuno dei presenti ad inviare la propria candidatura. Il salotto è diventato così sede di un incontro di menti dai bagagli professionali, artistici e culturali tra i più disparati, ed ha portato alla costruzione di un piccolo ma convinto network di persone riunite sotto l’insegna del “Teatro Resistenza” battezzato dallo stesso Enzo Moscato. Un’occasione per far sentire la propria voce circondati da individui accomunati dalla stessa passione e voglia di fare e seriamente interessati ad ascoltare chiunque volesse intervenire. Il seminario ha quindi mutato nuovamente volto e ha visto un passaggio dalla sua disposizione figurativamente frontale vissuta durante la storia di Moscato, ad una collocazione circolare, contemporaneamente reale ed allegorica, più corretta per il nuovo tipo di dialogo, concretizzazione di quanto discusso nei primi incontri. Come un insegnante che, terminata la spiegazione dell’aspetto teorico invita i propri studenti a passare all’atto pratico, allo stesso modo Enzo Moscato ha mostrato come funzionasse Il racconto di sé per poi lasciare ad ognuno dei partecipanti il proprio spazio di narrazione.
Il dialogo ha quindi condotto le battute finali di questi incontri, sotto l’attenta mediazione della Professoressa Antonia Lezza che ha sempre equilibrato i tempi d’intervento dei partecipanti, fornendo inoltre spunti di riflessione alternativi sui temi trattati. Proprio le sue parole, in apertura degli incontri così come in chiusura del seminario tutto, hanno rappresentato un sunto delle intenzioni nate in seno al progetto con Enzo Moscato giunto alla X Edizione e qui, si spera, raggiunte: non un limitarsi a riunire sotto lo stesso tetto appassionati e aspiranti teatranti, ma avvicinare persone con tanta voglia di fare ad una giusta causa, augurandosi che questo sia solo la prima di tante partecipazioni ad eventi culturali di natura simile. Il capitolo del seminario con Enzo Moscato non è quindi che l’inizio di una più lunga narrazione che prosegue proprio con il continuare a raccontare e raccontarsi.
Davide Siepe
Nelle giornate d’incontro svolte presso il Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo, il confronto con Moscato ha portato alla luce una parola chiara, netta, forte che è RESISTENZA. Su questo concetto espresso più volte dal maestro Moscato abbiamo focalizzato la nostra attenzione. RESISTENZA.
Come si fa RESISTENZA? Quali sono le forme, le modalità? Cosa vuol dire fare Teatro di Resistenza?
Queste e altre domande simili sono venute fuori nelle discussioni con i colleghi. Certo si è palesato subito un senso di disagio, di insoddisfazione generale verso l’attuale sistema teatrale che se da un lato sa un po’ di sconfitta dall’altro è proprio la miccia che deve attivare il desiderio di resistenza, desiderio di proporre altro nonostante tutto, nonostante le difficoltà. Con questi dubbi ho riempito la mia valigia blu che mi ha accompagnato nelle traversate da Bologna a Napoli e da Napoli ad Avellino. Nel viaggio di ritorno un titolo di un libro letto qualche mese fa echeggiava nella mia testa “Teatri Re-sistenti”. Ecco i concetti di Esistere di nuovo e di Resistenza venivano messi lucidamente insieme in questo titolo. Ecco che la Resistenza diventa modalità per esistere di nuovo, per essere vivi ancora nel panorama teatrale attuale. Ecco quella spinta di far vivere una realtà teatrale e con essa combattere un sistema come forma necessaria, non solo per la società ma anche per sé stessi.
Negli aneddoti di Moscato, nel suo viaggio, nel suo racconto a tappe frammentate della sua esistenza, questa necessità è emersa in più forme. Necessità di dire qualcosa rispetto a un contesto, necessità di raccontare qualcosa rispetto ad un periodo e una situazione, necessità di raccontarsi e di vincere le proprie incertezze, timidezze; necessità di parlare di storie, di persone; necessità di esprimersi con tutte le manifestazioni artistiche possibili. Il teatro, culla di tutte le arti, diventa anche luogo di scoperta dell’altro, scoperta di sé, luogo di terapia e di liberazione. Il teatro come luogo di necessità ma anche fortemente necessario.
Al concetto di Resistenza e a quello di Necessità va collegato un tema profondo ma allo stesso tempo fondamentale che è quello del Coraggio. Il Teatro per Moscato si fa con il Coraggio, con la forza di combattere contro le Paure, di vincere i propri limiti.
“L’unica passione della mia vita è stata la paura” ho annotato tra gli appunti del taccuino e nel rileggere queste parole sento ancora il moto di emozioni che ruota attorno a questo concetto. Noi, nuova generazione, viviamo di paure multiple che ci bloccano in qualsiasi osare, brancoliamo nell’incertezza e nel senso di inadeguatezza. La sensazione di non essere mai pronti, mai preparati abbastanza, mai coraggiosi abbastanza da poter commettere errori, quando ci viene concesso e perdonato, è il fulcro di questa “codardia”. In ambito teatrale poi questo fenomeno è molto di più diffuso, l’attore, il teatrante “ha la sindrome di essere scoperto” per citare il maestro Walter Pagliaro, resta in attesa, aspetta la chiamata e non fa. Il teatro è fare. Il teatro si comprende facendolo, si impara buttandosi sulle tavole e recitando. Moscato è un esempio di ciò. Di un teatro che non nasce in ambito accademico, ma che nasce da necessità, vive di pratica e si nutre di coraggio. Questo non manca nei testi, nelle drammaturgie di Moscato che tratta, ha trattato di temi e storie scomode negli anni in cui sono state partorite (prostitute, trans, omosessuali), ma anche coraggio di vincere i propri limiti.
Del limite e del superamento dei propri limiti Moscato parla in riferimento alla sua Voce.
È sorprendente scoprire che per un attore che ha fatto della propria voce uno strumento di lavoro, nel canto come nella recitazione, questo elemento era qualcosa di non gradito. Moscato ci confessa che non amava particolarmente la sua voce, meno grave e piena paragonata a quella dei due fratelli, ma su questa ha fatto affidamento, in tutta la sua carriera vincendo con coraggio le proprie timidezze. Di voce Moscato ha parlato in relazione al canto, momento artistico/ teatrale in cui si sente a suo agio, e alla scrittura mettendo in evidenza come il melos è per lui focus centrale della sua parola.
Il canto più volte è stato preso di riferimento, legato ovviamente con una certa continuità alle rappresentazioni e messa in scena dei lavori di Moscato. È evidente come ci sia un impasto tra parola e canto, che diventano tutt’uno nella scrittura. Su questo punto il maestro si è fermato spesso parlandoci anche delle influenze che hanno avuto su di lui alcuni autori, pensiamo a Viviani, De Simone, de Berardinis.
Sul rapporto con i cosiddetti Padri abbiamo conversato vivamente e ritengo, alla luce di quanto è emerso, che si possa affermare che noi giovani siamo una generazione senza “Padri” in un certo senso orfani di punti di riferimento.
Il concetto di Tradizione, Tradimento e Tradinvenzione è calzante nel lavoro di Moscato che ha avuto maestri con i quali confrontarsi e allo stesso tempo tradire ma a una generazione post Nuova Drammaturgia cosa resta? Di certo l’incontro con Moscato stesso si inserisce a pieno nell’esigenza viva di avere maestri da cui attingere, ma come lo stesso Moscato ha più volte ripetuto, con un certo sconforto, a chi altri ci si può rivolgere? Se a questo aggiungiamo anche che gli organi addetti alla formazione, le accademie di teatro, mancano esse stesse di personalità formanti, di pedagoghi illustri ci ritroviamo a distanza di quarant’anni a dover concordare con le lucide parole di Eduardo che definì, nella sua arte della commedia, “sbandati” quegli attori sfornati ogni anno dal sistema accademico. Moscato si è mostrato a noi nelle vesti di “padre” che sprona con parole dolci e amare, con un sguardo proiettato al futuro ma anche con un pensiero un po’ nostalgico verso il proprio passato e quelli di altri artisti come lui, in primis Annibale Ruccello; appartenente a una generazione che definirei “terremotata” – per me, originario dell’Irpinia, l’intensità della parola è doppia- ma che dalle macerie ha costruito il proprio mondo da zero. Esistere di nuovo, d’accapo, Resistere alla difficoltà con Coraggio.
Nel raccontarsi nei vari incontri sicuramente un tema che mi ha particolarmente colpito è stato il ragionamento fatto sulla Cultura. Devo ammettere che l’invito ad essere avidi lettori e conoscitori a 360 gradi di opere letterarie è stata una forte provocazione, uno stimolo importante. Nel dialogo con Moscato è sicuramente questa una delle impressioni più belle che si ha, quella appunto di essere di fronte ad un uomo di Cultura, che conosce e può aprirti mondi su qualsiasi tema. A contatto con il suo vissuto, emerge il desiderio di conoscenza che ha alimentato la sua vita. Le fughe in biblioteca, accompagnate dalla lettura di testi in lingua non conosciuta può lasciare solo stupiti. Come sia imprescindibile ragionare su ciò per comprendere a pieno i testi di Moscato, come l’uomo, la cultura, l’esperienza si intrecciano e si alimentino nei suoi testi viene subito esplicato dal conversare con lui.
Alla fine, Il racconto di sé è stata anche occasione per raccontarsi. Su questo il desiderio del maestro ha prevalso. Ha prevalso la voglia di ascoltare il nuovo, piuttosto che raccontare di un vecchio che forse sarebbe risultato un po’ polveroso. Di fatto il confronto con i colleghi ha messo in moto sicuramente una rete, ha creato sicuramente un momento di resistenza, piccola, guidata, ma in qualche modo al Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo qualcosa si è mosso, qualcosa di fatto è nato.
Una speranza, mi piace definirla così, una speranza che c’è e ci può essere un contesto in cui si può parlare, fare teatro fuori dal coro, una speranza che parla di giovani e meno giovani che fanno di resistenza, coraggio e necessità dei valori a cui affidarsi nel magma che ci circonda, una speranza che qualcosa può succedere ma sta a noi farlo.
Chiusa di nuovo la valigia blu, riempio di qualche domanda, qualche certezza e di speranza il viaggio che mi riporta da Napoli a Bologna, due città che per le loro storie hanno fatto della RESISTENZA il punto di riferimento…
Ringrazio il Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo per l’occasione offerta, la professoressa Antonia Lezza e il maestro Moscato che hanno dato vita a questo appuntamento.
Alfredo Pellecchia