Guida Galattica per i Lettori | Ottobre 2021

Contenuti:

  • AMICO ROMANZO
    Ana, Zeno e la leggerezza del cuore, a cura di Federica CAIAZZO
    (Jordi Lafebre, Nonostante tutto, Milano; Bao publishing, 2021)
  • SIPARI APERTI
    Gli Archivi: cura e sopravvivenza per gli artisti, a cura di Emanuela FERRAUTO
    (Documenti d’Artista. Processi, fonti, spazi, archiviazioni, a cura di Elena Marcheschi, Eva Marinai, Mattia Patti, Pisa, Pisa University Press, 2021)
  • COME SUGHERI SULL’ ACQUA
    Non si trovano bussole, a cura di Ariele D’AMBROSIO
    (Bruno Di Pietro, Frammenti del risveglio, Oèdipus edizioni, aprile 2021)

AMICO ROMANZO

 Ana, Zeno e la leggerezza del cuore

Jordi Lafebre
Nonostante tutto
Milano
Bao publishing
2021

a cura di Federica CAIAZZO

Nonostante tutto è un graphic novel o, per usare una definizione a noi più vicina, un romanzo a fumetti: è un romanzo perché racconta una storia completa in tutto il suo sviluppo narrativo, occupa un arco temporale di circa quarant’anni e segue l’evoluzione dei personaggi narrati; inoltre è a fumetti perché arricchito dai delicati e intensi disegni di Jordi Lafebre, autore spagnolo e curatore sia dei testi che delle tavole dei suoi libri.

Il genere, che gode di una propria autonomia e annovera un pubblico di fedelissimi lettori, è trasversale, versatile, poliedrico per toni e tematiche. Il piano della narrazione e quello delle immagini si intersecano alla perfezione, esaltandosi l’uno con l’altro per dare vita a un racconto compiuto e coinvolgente. Il lettore di un graphic novel ha la possibilità di vedere i protagonisti della storia, osservare con i propri occhi lo spazio in cui essi vivono e agiscono, cogliere, al di là delle parole, la profondità di uno sguardo, il silenzio di un gesto, restando immerso nella dimensione intima e solitaria della lettura e vivendo un’esperienza che si colloca a metà strada tra le arti grafico-visive e l’ars narrandi, tra cinema e letteratura.

La storia, – per adottare una metafora cinematografica – è strutturata come una pellicola che si riavvolge, perché viene raccontata dalla fine al principio, dalla vecchiaia alla giovinezza dei protagonisti. La numerazione dei capitoli procede al contrario, dal numero 20 al numero 1, segnando l’epilogo e il prologo della storia d’amore tra Ana e Zeno, i cui nomi, a loro volta, rimandano alla prima e all’ultima lettera dell’alfabeto. Tra le due estremità, tra la A e la Z, si svolge la vita dei due protagonisti, una vita che Ana e Zeno hanno vissuto separatamente. Ana si è sposata con Giuseppe, e ha avuto una figlia, Claudia, inoltre è stata a lungo sindaco della sua città, dedicandosi con grande impegno al suo lavoro e battendosi tenacemente per la costruzione di un ponte sospeso. Zeno ha viaggiato per il mondo, rinunciando a portare avanti la libreria di famiglia dopo la morte del padre, senza impegnarsi in una relazione stabile e cercando ispirazione per finire la sua tesi di dottorato in fisica. A tenerli uniti, nonostante tutto, un amore timido e soffocato, fatto di lettere, cartoline, telefonate rocambolesche e desideri non detti.

Sebbene conosciamo il finale sin dalla prima pagina, la lettura risulta avvincente perché i protagonisti acquistano via via forza e sostanza e giovinezza anche grazie alla forte espressività dei disegni, luminosi fotogrammi di precisi momenti di vita. Il viaggio a ritroso conduce alle origini del loro amore, nel momento esatto in cui i fili della storia si compongono e hanno origine. Il primo e l’ultimo incontro di Ana e Zeno hanno lo stesso sapore perché rappresentano entrambi un nuovo inizio. Il capitolo 1 peraltro è composto da sole immagini, privo di parole. Il visivo diventa predominate perché tutto è già stato detto all’inizio:

«Scusami per il ritardo. Avrai preso un sacco di pioggia! Aspettavi da tanto?»

«Da trentasette anni… ».

Ne deriva un gioco di rimandi e di alternanze tra primo e ultimo, inizio e fine, a tal punto che il lettore è quasi tentato di rileggere la storia in ordine cronologico per rispondere al bisogno di trovare cosmos (ordine) nel caos. Forse è questa una delle possibili chiavi di lettura di un’operazione narrativa molto originale, dai toni leggeri, talvolta giocosi e umoristici, alla quale tuttavia non mancano momenti di tristezza e che spinge il lettore ad andare al di là di ciò che è definito e ordinario. Raccontare a ritroso significa ripercorrere la vita vissuta con lo sguardo consapevole e rasserenato di un adulto che ha conservato un cuore giovane e un sentimento d’amore lieve. Tale leggerezza è raffigurata nella splendida immagine di copertina che rappresenta due giovani Ana e Zeno che camminano sotto la pioggia. Nel volume Ana e Zeno cammineranno sotto la pioggia nel loro primo incontro, ormai adulti, con la medesima leggerezza del cuore, nonostante tutto.



SIPARI APERTI

Gli Archivi: cura e sopravvivenza per gli artisti

Documenti d’Artista. Processi, fonti, spazi, archiviazioni
a cura di Elena Marcheschi, Eva Marinai, Mattia Patti, Pisa
Pisa University Press
2021

a cura di Emanuela FERRAUTO

Questo mese ci dedichiamo ad un argomento che sta molto a cuore al Centro Studi, cioè gli archivi, in particolare gli archivi legati al mondo delle arti. Abbiamo discusso e lavorato a lungo sulla possibilità di rendere fruibili i paratesti contenuti all’interno dell’Archivio Savioli, conservato presso la sede del Centro Studi, sulle modalità di studio di questi documenti, sulla possibilità effettiva di digitalizzarli e di diffonderli.

Sembra fare al caso nostro il recentissimo volume dal titolo Documenti d’artista. Processi, fonti, spazi, archiviazioni, a cura di Elena Marcheschi, Eva Marinai, Mattia Patti, edito da Pisa University Press nel 2021, talmente recente che si è resa necessaria una lettura dell’e-book in attesa dell’effettiva pubblicazione e vendita del cartaceo. Il volume rappresenta la conclusione di un progetto dal titolo Ateneo2018_48 “Documenti d’artista. Mappatura digitale dei processi creativi fra arti visive e performative” che si è concluso nel 2020 con un Convegno svoltosi presso l’Università di Pisa e con l’inaugurazione della piattaforma www.documentidartista.cfs.unipi.it .

Parliamo, dunque, di un importante lavoro accademico e interdisciplinare che tocca un argomento oggi imprescindibile, all’interno del percorso di studi che riguarda le arti, dal teatro, alla pittura, alla cinematografia. Per questo motivo, nonostante il volume, composto da ben 16 saggi, tocchi ripetutamente alcuni approfondimenti che riguardano pittori, scultori o video documenti, rimane una testimonianza importante, eterogenea e complessa di quanto stia avvenendo negli ultimi anni, soffermandosi naturalmente anche sugli archivi teatrali.

 L’emergenza Covid ha accelerato il processo e l’attenzione rivolti alla conservazione di materiali e di documenti che raccontino, sotto diversi punti di vista, nature e sfaccettature, la storia delle arti contemporanee e non solo. Nonostante in alcuni casi alcuni studi siano attivi da tempo grazie alla lungimiranza di artisti e di studiosi che lavorano in sinergia, oggi è costante l’attenzione rivolta alla conservazione e alla catalogazione mirata di documentazione di varia natura che possa lasciare traccia anche di produzioni un tempo considerate effimere.

La lunga introduzione al volume presenta 16 micro sinossi che invitano il lettore a scegliere di approfondire la lettura di uno specifico saggio; in effetti questo volume-contenitore è caratterizzato non solo da contributi che descrivono progetti archivistici e archivi già esistenti o in fase di evoluzione, ma anche contributi che presentano progetti di organizzazione e di strutturazione di archivi futuri o work in progress, partendo da lunghe digressioni storico-artistiche che descrivono la vita e le opere degli artisti in questione per poi soffermarsi, solo alla fine, sul progetto vero e proprio.

Consigliamo di partire direttamente dalla lettura del capitolo 4 che è firmato da Chiara Mannari e che descrive il lavoro di creazione della piattaforma “Documenti d’Artista”, descrivendo il lavoro di raccolta dei documenti, la differenziazione del materiale, le funzionalità della piattaforma, fornendo al lettore anche un apparato fotografico che completa il contributo e mostra le pagine della piattaforma aiutando l’utente nella consultazione, e poi di dedicarsi alla lettura degli altri capitoli.

Questi presentano spesso un’appendice fotografica o delle immagini che si intersecano all’interno dello scritto, a corredo della descrizione dell’archivio o della tipologia di soggetto artistico documentato all’interno dell’archivio.

Il viaggio tocca numerosissimi artisti e tipologie di forme artistiche, oggetto di attenzione di archivi eterogenei di cui fino ad ora avevamo scarse notizie: dagli studi di artisti, intesi come atelier o luoghi di studio ed archiviazione, o addirittura wunderkammer, agli archivi di immagini (un esempio è quello di Giacomo Verde e del suo progetto Free Cell. Video Art iniziato nel 2009 utilizzando come strumento il “videofonino”, oggi smartphone), alla storia dell’audiovisivo e alla sperimentazione da parte delle donne, per arrivare agli spazi teatrali che diventano archivi a cielo aperto, documentando progetti teatrali e spettacoli che convivono e muoiono all’interno di alcuni luoghi che raccolgono materiale.

Un particolare tipo di archivio è la Fonoteca Elisabetta Salvatori, che conserva le storie che l’artista ha raccolto, sottolineando la straordinaria possibilità di preservare la memoria orale, come sottolinea l’autrice, considerata una delle pochissime narratrici teatrali italiane.

Per quanto riguarda i luoghi considerati come archivi, il volume descrive il ruolo dei teatri romani in Toscana, attraverso uno studio sulla drammaturgia dello spazio, e analizza anche il complesso di San Miniato come luogo-archivio, approfondendo il concetto di geoscenografia. Un luogo particolare, presentato e descritto nel contributo di Egle Prati, è Lo stato di Finlandia, una residenza-comunità di artisti fondata da Luca Pancrazi in Toscana e attiva dal 2010 al 2017 con il nome di Madeinfinlandia. Un luogo no profit, autofinanziato e gestito da artisti liberi di esprimersi, di produrre e di aprire le porte al pubblico che desidera osservarli al lavoro. Un ex fabbrica del dopoguerra che diventa archivio con duplice funzione ed è questo il punto centrale dell’intero studio: l’archivio inteso come tale non è più, oggi, da considerare solamente come un luogo di raccolta di materiali, la cui archiviazione e analisi è operata da uno studioso esterno all’esperienza artistica, ma come luogo in fieri in cui moltissimi artisti cominciano a raccogliere materiale, volontariamente o involontariamente, ossia anche senza una progettualità archivistica.

Per quanto riguarda il teatro, in particolare, il volume dedica due capitoli al mondo della scena, uno firmato da Viviana Raciti, che abbiamo seguito nel suo lavoro di presentazione dell’Archivio “Franco Scaldati” conservato presso la Fondazione “Giorgio Cini” di Venezia, e il capitolo dedicato all’Archivio digitale del Teatro Stabile di Torino, contributo firmato da Anna Peyron,

bibliotecaria e archivista, attuale responsabile del Centro Studi del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, e da Matteo Tamborrino, dottorando in Storia delle Arti e dello Spettacolo presso le Università di Firenze, Pisa e Siena.

Il contributo della Raciti riguarda il sito e piattaforma www.nuovoteatromadeinitaly.it che approfondisce, attraverso schede-studio dedicate ad artisti italiani e compagnie contemporanee, la storia e il lavoro scenico e drammaturgico degli autori e attori italiani contemporanei. Le schede sono stilate da studiosi e giovani ricercatori e sono corredate da foto, video, estratti di copioni, recensioni, saggi e studi, oltre ai paratesti, come locandine e programmi di sala. Anche in questo caso parliamo di un archivio/contenitore digitale che si arricchisce continuamente e che ha come obiettivo non solo rendere noto il lavoro di alcuni artisti, ma soprattutto la conservazione del materiale documentario di varia natura. È importante sottolineare, infatti, che tutti i contributi che fanno riferimento a pagine web riportano con molta precisione i numerosi riferimenti e i link ai siti all’interno delle note a piè di pagina.

Il saggio firmato da Peyron/Tamborrino racconta la storia del Centro Studi dello Stabile di Torino con la relativa organizzazione dell’Archivio Digitale descritto nei minimi particolari, tanto da poter parlare di un vero e proprio ideale Grand Tour tra le pagine web dell’Archivio, affinché l’utente possa navigare con facilità, recuperando tutte le informazioni contenute. Anche in questo caso parliamo di un archivio/contenitore ricco di materiale eterogeneo che ha come filo conduttore il Teatro torinese e tutte le persone, artisti e non, che hanno lavorato in questo luogo.

Il volume si conclude con il racconto dell’esperienza nata da tre amici toscani che negli anni Novanta fondano Galleria Continua: parliamo di arte contemporanea, di una galleria permanente in un luogo inusuale come San Gimignano. I riferimenti alla Toscana e ai luoghi toscani sono frequenti in questo volume, che è una pubblicazione legata ai progetti dell’Università di Pisa.

Anche l’ultimo capitolo si occupa di atelier di artisti, attraverso un saggio molto interessante in cui compaiono anche momenti dedicati alle interviste; parliamo di un contributo che scruta e scopre il complesso di Pietrasanta e i luoghi in cui gli artisti lavorano il marmo apuano, interagendo con l’ambiente naturale, cioè le cave, e la popolazione del luogo. In particolare si descrive il ruolo del MuSa, Museo Virtuale della Scultura e Architettura di Pietrasanta, definito un luogo plurifunzionale.



COME SUGHERI SULL’ ACQUA

Non si trovano bussole

Bruno Di Pietro
Frammenti del risveglio Oèdipus edizioni
aprile 2021
pagine 80
euro 12,00
 
Info:
393.058.95.55
339.273.25.09
statodellecose@gmail.com
info@oedipus.it
milleculture@libero.it

a cura di Ariele D’AMBROSIO

Mi trovo tra le mani un libro dalla copertina solare – un giallo ocra marmorizzato – intitolato Frammenti del risveglio, è di Bruno Di Pietro, un bravissimo poeta napoletano di lungo corso. Seguo la sua poesia da tempo e ne colgo l’evoluzione in una sintesi che scava nel profondo. Una poesia divenuta sempre più asciutta, direi quasi scarna, e che per questo si sospende nella dimensione e nel senso della domanda che cammina e scopre, che s’arresta e riflette, che torna dopo essere andata. Come un morire e rinascere immaginando il volto della luna buia, quella scomparsa che ti fa immaginare e chiedere, e da cui poi ti aspetti che risplenda di nuovo un riflesso di sole rinnovato, uno spicchio di luce giallo ocra. E la prima domanda sarà: vita riflessa o vera vita? Ma d’altronde, cos’è l’arte se non il riflesso della riflessione che pur vive in un “gioco” di rimandi circolari a specchio? E d’altronde il risveglio non è sempre un ritorno anche se circoscritto in un frammento?

Bruno Di Pietro è un poeta classico, e do molto valore a questa parola, è un remoto presente della storia antica nella modernità, è il grande ponte della poesia tra il secolare e il contemporaneo, tra il contemporaneo ed un futuro possibile, ed anche in questo c’è la ciclicità dei risvegli.

Quattro momenti di raccolta in questo libro: I. Lucifero, II. Meriggio, III. Vespero, IV. Exit e mi chiedo subito: perché il I. è Lucifero? Cosa saranno questi passaggi? Solo passaggi di luogo e di tempo? Beh, ma se tutto inizia con Lucifero saranno certamente anche passaggi di vita e psiche.

18 poesie in Lucifero, 18 in Meriggio, 18 in Vespero, 1 in Exit. Non ci sono titoli ai frammenti ma solo la successione dei numeri arabi: 1, 2, 3 e così via, quelli romani invece: I. II. III. IV. scandiscono i passaggi. Quale sintesi maggiore del numero matematico, ma che, si badi bene, scandisce la musica sia delle note che delle parole in poesia. In quella classica poi, e non solo, la numerologia si è sempre legata, in una qualche misura, anche al pensiero magico, e se si vuole ad un certo fare “profetico”. E del 18 ho piacere a ricordarne il sangue della smorfia, da Napoli città dove il poeta vive, al sogno di Morfeo, alla cabalistica ebraica. E perché ricordare anche le origini della smorfia? Per agganciarmi a quegli aspetti oscuri e illuminanti che il verso minimo, il verso minuscolo, solo a volte, solo raramente, ed è questo il caso, possiede nel suo essere profezia: lampo di riflessione essenziale sulla storia grande e sulle storie minime di ognuno. Anche qui la poetica di Bruno Di Pietro.

In Lucifero: «1. non ci sono / stelle sufficienti / a fare luce / nella notte / del tempo dei tempi»; «2. l’abbaglio del risveglio / la memoria del sogno / il rimosso la scoria / (repertorio del possibile / la storia)». E si noti la delicatezza della rima scoria – storia, ma anche l’urgenza di riflettere sulla storia come scoria e sulla scoria che porta sempre con sé anche la storia. E non è un gioco di parole, ma un suono che si rincorre con il suo significante arrotato e che penetra per amplificare quel significato inseguito nella sua profondità di tempo e di vita, di ragione e di emozione. Ancora: «4. stamattina il caffè / ha il sapore / di una profezia / il giorno appare / di una bellezza esagerata / si cammina stando fermi / così senza più meta». Non c’è punteggiatura, perché nella contemplazione del bello non c’è inizio né fine, mentre le spezzature costringono a sospensioni continue sul particolare che si fa eco e s’allarga verso orizzonti ampi, ed ecco perché  si cammina stando fermi.

Ma dove collocare questa poesia, e non finirò mai di ripeterlo, in un momento storico di parcellizzazione e di frammentazione generale delle poetiche – e qui anche il merito del titolo di questo libro – che non permette né gruppi né ismi? La collocherei tra oriente e occidente, perché questi testi mi paiono sospesi tra gli haiku giapponesi liberi di metrica ed un minimalimo, che non intende essere quello espresso negli Stati Uniti negli anni ’80, il minimalismo di Charles Simic per fare un esempio, ma quello che definirei  contemplativo, un minimalismo filosofico esistenziale, metafisico, che da occidente si affaccia ad oriente per l’appunto. Una sintesi, una asciuttezza, torno a dire di queste poesie, non di sottrazione, ma di sospensione. Una sospensione che ne amplifica il senso. E insieme a quanto sto a dire, accoglie anche il sangue di quel numero 18, fluido che scorre per ritornare nella storia: «7. sul mercato / non si trovano bussole / un lusso / possedere una clessidra / nebbioso crepuscolo / agli occhi fa velo / (e le stelle / guardano il cielo)».

Ebbene, il pericolo di questo genere di poesia è che il verso possa diluirsi nella frase, mutarsi nella piccola frase breve, ma qui il talento è nelle spezzature che superano sempre questo limite e questo pericolo: «18. non previsti / nei piani del mondo / naufraghi trasmettiamo / messaggi alla terra / dove ancora fanciulli / giocavamo negli uliveti / scossi dal vento». Ed ecco nel II. Meriggio: «2. si impara a misurare / il pane e l’olio / il sale costoso / il fiore secco dell’origano / nel racconto / del vento sabbioso / che viene dallo Jonio» e superando la bellezza della forma è qui, in questi spazi di cretto, che cammino tra le faglie di Burri e ne ravviso il senso della storia e delle società; «4. nelle pietre sconnesse / delle strade / l’erba silenziosa / il papavero spontaneo / talvolta i frammenti / i semi di prima / senza uno scopo / un dopo», qui lo stupore del pensare, vedendo questa successione d’immagini silenziose che contemplano il particolare con il timore di quel senza, per poi aggrapparsi a quei semi di prima. Ed ancora: «9. lumache ubriache / alle prime acque / di settembre / tracciano ricordi / filamenti sulle foglie» con ricordi materici fatti di filamenti che contengono e mantengono la lentezza del tempo, lumache ubriache del proprio corpo d’acqua; «10. sembra siano / le tegole dei tetti / a far salire fin qui / l’acqua del lago» ed ancora l’acqua che sale perché il punto di riferimento è in alto e sono le tegole di un tetto. In questi versi ravviso ogni volta  degli spiazzamenti d’immagine, delle angolazioni inaspettate che mi spingono a sostare, a riflettere, a vedere oltre il guardare. Ed è qui che ne ravviso uno stile tangibile e che fa di Bruno Di Pietro un poeta riconoscibile e sincero.

Abbiamo raggiunto il III. Vespero: «3. il tempo della fine / è già passato / (per sempre / il primo giorno)» e subito: «5. guarda come / si sdrotola il mare / sul fare della sera / silenzioso attraente / ti vuole nomade / nelle sue acque / (l’infinito / è deriva della mente)». Due poesie, queste, che sembrano lottare tra di loro. La 3 che sembra “giocare” ad invertire il pensiero di Hegel: “il vero è il divenire di se stesso, il circolo che presuppone ed ha all’inizio la propria fine, e che solo mediante l’attuazione e la propria fine, è effettuale”, la seconda che pare riavvicinarsi a questo pensare, e mi fermo su quel si sdrotola che trovo sonoramente sorprendente, quasi un’onomatopea visiva di un’onda continua che non si perde mai sulla risacca né ricomincia. L’acqua che fluida e in movimento resta col suo suono e quasi si scontra con quel silenzioso attraente che dà sosta alla vita e si fa consapevole che l’infinito nomade è una deriva della mente, forse soltanto una dissimulazione silenziosa come un’anestesia. E come non pensare a Leopardi dal suo infinito al suo indefinito.

«… l’aurora di luna» ci canta l’ultimo verso prima dell’Exit il nostro poeta. Perché malgrado il sole sia calato ad oriente «… ora ci attende / la fortuna di vedere …» Ed il rimando, come sempre accade nella poesia vera, abbraccia multiformi cose: la storia dei nostri giorni, il desiderio che il riflesso possa esorcizzare il tramonto.

Concludo con Exit, con il ponte che fa, come ho già scritto, di Di Pietro un poeta tra il secolare e la contemporaneità:  «e così disse Antifonte sofista / “vivere sembra un’effimera vigilia / la durata della vita un solo giorno / in cui, dato uno sguardo alla luce / ci è dato il cambio da chi sopravviene”»                                                                                   

Ariele D’Ambrosio
Napoli ottobre 2021