PRIMAVERA DEI TEATRI: 25 ANNI DI TEATRO ITALIANO AL SUD
IO SONO VERTICALE
a cura di Antonella ROSSETTI
Nella giornata conclusiva della XXV^ edizione del Festival teatrale di Castrovillari, va in scena nello spazio San Girolamo Io sono verticale, di e con Francesca Astrei. Il titolo richiama subito i versi della scrittrice e poetessa statunitense Sylvia Plath, nata a Boston nel 1932 e morta, suicida, a Londra nel 1963. Stralci della poesia Io sono verticale tratta da “La ricerca dell’Oltre”, del 1961, recitano: Io sono verticale ma preferirei essere orizzontale. Non sono un albero con radici nel suolo… confronto a me un albero è immortale e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa: dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia… essere sdraiata è per me più naturale. Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre: finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me. Queste immagini significative, recuperate attraverso il componimento, palesano inquietudini e sofferenze del percorso-viaggio, definito vita. Il desiderio di essere orizzontale, di aderire completamente alla terra-madre, di connettersi profondamente alla natura in una dimensione posta in un altrove tragico, intriso di solitudine ed oscurità, tenta di sublimare il dolore lacerante, rendendolo più sopportabile ed accettabile. Plath, identifica, in maniera ossimorica, l’essere verticale con la staticità della vita e l’orizzontalità, la posizione sdraiata di morte, con la reale vitalità.
Francesca Astrei, nel suo ultimo lavoro, sceglie di raccontare il dolore umano, la depressione e la chiusura che ne conseguono, in maniera del tutto desueta ed acuta. L’attrice, seduta al centro dell’assito, attende che gli intervenuti prendano posto. Le mani sulle ginocchia e lo sguardo basso mostrano uno stato d’animo insofferente. Sulla destra, dal soffitto, scende lentamente un microfono. Cade a piombo, verticalmente. L’attrice si alza e comincia a seguire l’andamento dell’oggetto. Accenna un canto: note frammentate seguono la discesa sussultoria del microfono. L’amplificatore della voce man mano toglie il fiato, la schiaccia, la fa sdraiare al suolo. Un fascio di luce illumina la sagoma. Un corpo che giace. Astrei, inizia il suo racconto parlando in prima persona, al maschile. La protagonista interpreta Lazzaro di Betania, il risuscitato dei Vangeli. Ecco che le citazioni bibliche, evangeliche e letterarie si sovrappongono e i tratti fortemente ironici donano un forte colore alla scrittura e alle varie interpretazioni dell’attrice. Qui, rispetto alla narrazione evangelica dell’apostolo Giovanni, le posizioni sono ribaltate: Lazzaro non vuole risorgere, tarda ad uscire dal sepolcro. E seppur continuamente invitato dal Signore: “Lazzaro alzati e cammina”, preferisce non eseguire, non vuole esporsi alla vita e si interroga: “da verticale dove vado? Camminare è cadere, sono stanco di cadere e farmi raccogliere. Sono vivo solo da morto. L’eterno riposo mi culla. Sente che deve “stare, non essere, azzerare senza ripartire, fluttuare, galleggiare”. Francesca Astrei, per ogni personaggio che si avvicenda nella storia, cambia con bravura registri, inflessioni, intonazioni e timbri vocalici. Ecco comparire i presenti alla crocifissione di Gesù: Maria di Cleofa (la signora pettegola che fa troppe domande), la Maddalena, i discepoli Simon Pietro e Giovanni che prende appunti per scrivere e poter essere una fonte primaria per i posteri (soprattutto per i Corinzi). Giuda, noto come discepolo “irregolare”, interrompe il narrato, come elemento disturbante, richiedendo ripetutamente i famosi trenta denari. Marcatamente comico, il personaggio della pecora che si tramuta in “Agnello di Dio”. Tutti vogliono persuadere Lazzaro a lasciare il sepolcro, a tener fede alle parole delle sacre scritture: “alzati e cammina”. L’autrice, riserva ampio spazio al tratteggio delle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, e alla loro supplica accorata. Marta è la sorella del fare, dedita alla cura della famiglia, Maria, la devota, in perenne preghiera:” Se tu non esci io piangerò per tutta la vita, e sarò sempre la sorella di un fratello morto. Maria insiste “Vorrei piangere ma non ho più lacrime. Quando il dolore ci abita, si insinua, si vede solo sofferenza”. “Io sono verticale” di Francesca Astrei, presenta una scrittura fluttuante, brillante ed originale che riesce a trattare temi grevi come depressione e voglia di eclissarsi, con garbata levità. La misura adoperata nella trama scrittoria, tra l’ironico e il poetico, cattura l’attenzione del pubblico fino a fine spettacolo. Fin quando il microfono comincia a risalire verso l’alto e la protagonista in punta di piedi cerca di raggiungerlo per portare la voce, oramai afona. Nessuna voce viene più amplificata. Oramai manca il respiro e la verbalizzazione è assente. Le parole si rivelano superflue e non idonee a restituire l’essenza del mal di vivere, la traversata del deserto. Il rifiuto di Lazzaro alla verticalità, ideato dalla giovane autrice, oggi, più che mai, è quello di tanti, di troppi. È quella disarmonia creatasi tra un dentro e un fuori di ciascuno, quasi scissi e lontani. E sul finale, un breve recitativo (im)possibile rimanda a corti circuiti, interferenze profonde che si stagliano come sigilli indelebili in coloro che si sono trasformati, plasmandosi con il proprio dolore.
foto @maggioangelo | @teatrogram.it
PRIMAVERA DEI TEATRI 2025
CASTROVILLARI (CS)
Teatro San Girolamo
1 giugno 2025
Di e con: Francesca Astrei
Luci di: Chiara Casale
Con il sostegno di: Teatro di Roma
Si ringraziano: Carrozzerie N.o.t. e Nidoramai