MASANIELLO: L’EVENTO TEATRALE NAPOLETANO

a cura di Emanuela FERRAUTO

Negli anni Settanta, Elvio Porta e Armando Pugliese costruirono uno spettacolo caratterizzato da una natura itinerante, da intendersi non solo nel senso di repliche e di diffusione del prodotto in numerose città, ma anche in riferimento alla costruzione della performance attraverso un concetto di mobilità che coinvolge pubblico e attori. È bene dunque dare inizio a questa osservazione partendo proprio dal coinvolgimento del pubblico, da non intendersi come sfondamento della quarta parete, mai previsto in realtà in questo allestimento, ma come fusione totale di realtà e di fantasia, di passato e presente. Negli anni in cui nasce questo spettacolo, il coinvolgimento della comunità attraverso l’azione teatrale toccava diverse forme ed esperienze eterogenee che, ancora oggi, persistono in parte nelle scelte teatrali di compagnie come “Chille de la Balanza”, nei progetti di Armando Punzo presso il carcere di Volterra o nei lavori firmati da Davide Iodice e dalla Scuola Elementare del Teatro, in Campania, così come nei progetti del Teatro delle Albe e della “Non-Scuola” di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, per citare alcuni famosi e fortunati esempi. Questo tipo di approccio al teatro coinvolge gli spettatori che vengono inseriti in un contesto comunitario che si evolve, poi, inevitabilmente verso una performance delineata attraverso alcune caratteristiche prettamente teatrali. Anche nel caso dello spettacolo Masaniello, atteso per molti anni e ritornato in scena nella sua città, la struttura teatrale sembra apparentemente rispettata, sebbene il pubblico diventi parte integrante di un discorso ampio e complesso che richiede un coinvolgimento psicologico, culturale e, soprattutto, politico, senza distinzione di classe o di età. Seicento sono gli spettatori previsti all’interno del Cortile d’Onore del Palazzo Reale di Napoli, con un grande coinvolgimento di giovani e di giovanissimi attori e spettatori, contesto che rende questo spettacolo un vero e proprio evento. Emerge sicuramente un fortissimo senso di appartenenza alla storia napoletana, caratterizzata da animi rivoluzionari e ribelli che si scontrano contro il potere imposto e contro l’oppressione, tematiche importanti se consideriamo gli anni in cui questo spettacolo è stato creato e che, oggi, forse sarebbe bene continuare ad analizzare. Il pretesto storico, ossia la storia di Tommaso Aniello d’Amalfi, detto Masaniello, riporta il pubblico al Seicento napoletano, quando Napoli era governata dai viceré spagnoli, evidenziando gioie e dolori di questa monarchia assoluta che si imponeva a “distanza” e attraverso mediatori politici che godevano di privilegi, spadroneggiando sul popolo napoletano e meridionale. La rivolta dei mercanti di Piazza Mercato e di una parte importante del ceto medio evidenzia una questione complessa, che vedeva il popolo in rivolta soprattutto contro le gabelle, pesanti tasse che arricchivano i gabellieri e i mercanti più potenti. Tutti i personaggi che gravitano attorno a Masaniello, dalla moglie ai compagni di rivolta, da Genoino, anziano ecclesiastico dalla parte dei rivoluzionari ma dall’animo non del tutto limpido, fino ad allargarsi alla corte vicereale e ai mediatori, quei nobili che interagiscono per conto del re e del viceré nel dialogo con i rivoluzionari, fino agli esponenti del clero, sono tutti perfettamente estrapolati da un contesto storico verisimile e riportati all’interno di un prodotto teatrale con perizia e con attenzione filologiche. Si evince, dunque, un profondo ed accurato lavoro di documentazione storica, integrata con riferimenti alla tradizione napoletana e campana, in un contesto sacro-profano che rende perfettamente il barocco e il barocchismo dell’epoca. La piazza Mercato viene effettivamente e idealmente trasferita all’interno del Cortile reale, gli spettatori seguono l’intera vicenda in piedi, condizione che suscita costantemente lamentele da parte del pubblico ignaro, mentre le pedane-palco, posizionate in vari punti dello spazio, vengono spostate continuamente, così da rendere gli stessi attori anche macchinisti e tecnici di scena. I tempi, dunque, sono serrati, per coniugare spostamenti e svolgimento dello spettacolo, coinvolgendo anche gli spettatori che vengono invitati o spostati, a volte bruscamente, da realistici e veraci attori, immersi fino all’osso nella rivolta. Il coinvolgimento rende gli spettatori frastornati, esaltati, arrabbiati, insomma uno degli obiettivi primari sembra raggiunto: inevitabilmente il pubblico si schiera, segue alcuni personaggi e trascura altri, si sposta, vuole vedere meglio, si bagna quando i pescivendoli vendono il pesce e spruzzano acqua, raccolgono fasci di friarielli lanciati in segno di rivolta. Forse dovremmo prendere atto che l’analisi di questo spettacolo deve basarsi soprattutto su aspetti prettamente ideologici, artistici e tecnici, tralasciando trama e personaggi che ormai sono conosciuti e riconosciuti e che, in questo contesto, servono soprattutto a comprendere gli intenti compositivi originari mettendoli a confronto con gli esiti storico-artistici contemporanei. Masaniello è interpretato da Ruben Rigillo, figlio d’arte, attore eclettico dal corpo scattante, dallo sguardo allucinato e splendente, così come abbiamo immaginato Masaniello, e ci regala una splendida interpretazione del personaggio storico e di tutte le sfumature narrative e fantasiose che sono state costruite e tessute attorno a questa dirompente personalità: forza, ritmo, coinvolgimento, passione, follia, amarezza, coraggio, Rigillo riesce a contenere e a rielaborare tutti questi aspetti. Imponenti e intense sono le scene corali, coinvolgenti momenti attraverso cui gli attori, anche i più giovani, raggiungono un’intensa e intima fusione gli uni con gli altri; un momento di grande intensità è appunto quello della processione della Madonna del Carmine, in cui attori e cantanti di esperienza, come Lello Giulivo e Massimo Masiello, per citarne alcuni, insieme alle voci femminili di Alessia Cacace, Pina Giarmanà, Serena Pisa (nel ruolo anche della moglie di Masaniello) sulle musiche di Antonio Sinagra, sembrano creare una potente macchina vocale e corporea che emoziona fortemente il pubblico.

 Il concetto di popolo, di massa in movimento, pericolosa e agguerrita, emerge proprio attraverso queste scene, forse quelle che ancora oggi rappresentano il vero collegamento tra il passato antico, le lotte di classe novecentesche e la contemporaneità, osservando la questione ed evidenziandone legami e differenze. Ogni personaggio corrisponde ad una specifica collocazione sociale che, nel Seicento, si basava su rapporti di potere specifici e che negli anni Settanta, invece, diventa immagine di una lotta contro il potere oppressivo, contro il capitalismo, contro le disparità di classe. Lo spettacolo ricorda moltissimi allestimenti in scena in Italia durante gli anni Settanta, in occasione delle famose Feste dell’Unità; uno di questi è il racconto scenico scritto dalla siciliana Maria Campagna, dal titolo I fatti di Bronte, autrice che negli anni Settanta crea la compagnia Teatro Gruppo insieme al regista Nuccio Caudullo: «Nascono così una serie di nuove opere: Vita e morte di Salvatore Carnevale, I fatti di Bronte, Storie e canti popolari di Sicilia, Caccia alle streghe. I copioni scritti su commissione nascono con il preciso scopo didattico di divulgare avvenimenti e personaggi che hanno fatto la storia vera del popolo, attraverso un discorso drammatico atto a penetrare senza mediazioni la sensibilità di un pubblico abituato ad assorbire la sottocultura delle classi dominanti» 

(cfr. https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/maria-campagna).

Anche Masaniello rientra in questo percorso e ne prende atto Bruno Garofalo, storico scenografo della compagnia che si assume l’onere e l’onore di ripercorrere questa strada e di presentare nuovamente questo spettacolo ad un pubblico che osserva attraverso una coscienza politica e storica completamente diversa. Questo comporta uno scollamento nell’osservazione di uno spettacolo che nasce nel 1974, replica negli anni Novanta, in un contesto già politicamente fortemente cambiato, e arriva, anni dopo, ad un pubblico che purtroppo percepisce probabilmente e in percentuale maggiore solo il senso folkloristico dell’intero atto teatrale. In effetti, la seconda parte dello spettacolo si dilata notevolmente, nonostante i tempi siano sempre serrati; il peso dato ad ogni parola e ad ogni concetto politico sembra non avere la stessa pregnanza e la stessa carica previste al momento della creazione. La motivazione di questo cambiamento percettivo non sembra essere di natura qualitativa o drammaturgica, ma è inevitabilmente di natura culturale. I tempi sono cambiati, la soglia dell’attenzione diminuisce, l’approccio ad uno spettacolo itinerante, in movimento, che ricorda le giostre rinascimentali o il teatro di massa o il Carro di Tespi, sembra un ricordo lontano, che oggi attira soprattutto i turisti. Il pubblico, infatti, è eterogeneo, composto da attori e maestranze, da turisti, da appassionati, da studiosi, da giornalisti, ma anche e soprattutto da numerose famiglie. Pertanto, forse, questo spettacolo costituisce comunque un evento teatrale che ha rivelato una carica attrattiva notevole, sebbene alcune problematiche siano emerse costantemente durante tutte le repliche: non solo i tempi dilatati soprattutto nella seconda parte dello spettacolo e nella scena finale, che oggi forse andrebbero “asciugati”, ma anche i problemi acustici che non hanno permesso una completa e chiara percezione di tutte le battute e di tutti i dialoghi a tutti, complice anche l’estensione dello spazio scenico. L’assetto registico funziona perfettamente, una macchina da guerra che è gestita velocemente da tutti gli attori, anche da coloro che interpretano personaggi più statici, come quelli che caratterizzano la corte reale, in cui ritroviamo Luca Saccoia, nei panni di un viceré ridicolizzato e svampito, e Silvia Siravo, nei panni della viceregina, caratterizzata da un aspetto trasandato e da un atteggiamento lugubre e inquietante. Tante le figure importanti del teatro napoletano, da Lello Serao, nei panni di Genoino, fino a Luigi Credendino, Danilo Rovani, Ciro Scherma e tantissimi altri attori di esperienza, giovani e meno giovani, che interpretano diversi personaggi nel corso dello spettacolo. Sicuramente un’esperienza teatrale da vivere per essere coinvolti in una macchina teatrale che non ha eguali in altri luoghi.

Foto di Fiorella Passante

MASANIELLO

Cortile d’Onore Palazzo Reale Napoli

maggio-giugno 2025

Immaginando Produzioni di Rosario Imparato

presenta

Masaniello

di Elvio Porta e Armando Pugliese

regia Armando Pugliese

con (in o.a.)

Vincenzo Astarita (Cafone/Popolano), Carmine Benitozzi (Popolano), 

Marcello Borsa (Uccellaio/Cacace), Alessia Cacace (Mendicante/Popolana), 

Franco Castiglia (Banditore/Cerusico-Cantastorie/Popolano), 

Sergio Celoro (Cappellaio/Guardia Spagnola/Palumbo)  

Nicola Conforto (Popolano), Luigi Credendino (Stenteniello/Sauli)

Vincenzo D’Ambrosio (Valignano/Popolano),  

Adriano Di Domenico (Mendicante/Caracciolo/Popolano),

Salvatore Esposito (Don Liborio/Popolano/Maddaloni),

Antonio Ferraro (Pescivendolo/Guardia Spagnola/Popolano/Catania),

Mattia Ferraro (Basile/Cavaliere Aversano/Popolano),

Pina Giarmanà (Comare/Friggitrice), Lello Giulivo (Carrese),

Massimo Masiello (Vitale), Peppe Mastrocinque (Gabelliere/Cardinale Filomarino)

Gennaro Monti (Popolano/Friggitore/Carafa), Alfredo Mundo (Donnarumma/Popolano)

Serena Pisa (Bernardina), Ruben Rigillo (Masaniello), 

Danilo Rovani (Miroballo/Capitano/Perrone), Luca Saccoia (Vicerè)

Ciro Scherma (Scartellato/Bisigano/Popolano), 

Lello Serao (Genoino), Silvia Siravo (Viceregina) 

Enzo Tammurriello (Dormiente/Tamburino/Popolano), Mario Zinno (Naclerio)

scene e supervisione alla regia Bruno Garofalo, musiche Antonio Sinagra

costumi Silvia Polidori, a cura di Francesca Garofalo e Camilla Grappelli 

assistente scenografie Martina Gallo, maestro concertatore Ciro Cascino

scenografo realizzatore Clelio Alfinito, regista assistente Gennaro Monti 

disegno Luci Francesco Adinolfi, direzione tecnica Rosario Imparato, 

direttore di scena Francesco Grieco, direttore di produzione Luigi Sperindeo 

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