IL COLLETTIVO LUNAZIONE E LA QUESTIONE GENERAZIONALE, TRA PERIFERIE E SCUOLA: LA RECENSIONE

PRIMAVERA DEI TEATRI: 25 ANNI DI TEATRO ITALIANO AL SUD

Il collettivo Lunazione e la questione generazionale, tra periferie e scuola

a cura di Antonella ROSSETTI

A Castrovillari, nei giorni conclusivi del festival “Primavera dei Teatri”, presso lo spazio San Girolamo, va in scena, in prima nazionale, INCONTRO, progettazione e regia di Eduardo Di Pietro, fondatore nel 2013 del Collettivo LunAzione di Napoli, spettacolo che presenta come interpreti Federica Carruba Toscano (Finalista Premio UBU Miglior attrice o performer under 35) e Lorenzo Izzo. Quando l’attrice appare in scena, in sala, le luci sono accese e qualcuno in platea sta ancora prendendo posto. L’assito è ricoperto da una pesante coltre di polvere: sedie e cattedre sono rovesciate, libri stracciati e abbandonati al suolo, come in un’aula in disuso. La vivace curiosità di una scolaresca rumorosa è distante: tutto è grigio. Anche gli abiti dei protagonisti hanno il colore del pulviscolo. Giuliana, interpretata dall’intensa Federica Carruba Toscano, irrompe in una assemblea scolastica con il desiderio, quasi una necessità, di fare una confidenza difficile a dirsi, da rivelare a pochi. Ha un’emergenza da comunicare: suo fratello Michele, a soli 18 anni, il 23 dicembre 2016 è stato “attinto”, ossia ucciso a colpi di pistola. E lei, per questo delitto, da quell’antivigilia di Natale, vive un vero e proprio “ergastolo a vita”. Il giovanissimo Michele è una delle tante, troppe, vittime innocenti che oggigiorno si avvicendano sulla cronaca nera dei quotidiani. L’attrice, inserita appieno nella parte, commossa, afferma: “vedo sguardi di bestie, nulla di umano”. Il dolore che lacera si staglia dentro, invade membra e mente. Non si riesce a nasconderlo: segna e definisce comportamenti, pensieri. In un’atmosfera particolarmente toccante e sentita, un ragazzo si agita tra il pubblico, beve acqua, facendo rumore con una bottiglietta di plastica. La reazione immediata degli spettatori è di grande disappunto, fatta di sguardi di rimprovero, come capita sempre più spesso a teatro, dove molti, purtroppo, si rivelano autentici maleducati. Ma è allo squillo del telefono e alla conseguente risposta che ci si accorge che lo screanzato di turno è, ovviamente, un attore, il giovane Lorenzo Izzo. Palesemente concitato, parla utilizzando un registro dialettale partenopeo vicino allo slang linguistico dei giovani di periferia, tipico di alcuni quartieri e dilagante in una generazione piena di rabbia e di rancore. Si spinge oltremodo in espressioni volgari, improperi. Mattia ha 17 anni e non è altro che uno dei tanti studenti che si “sfastereano” di andare a scuola, immotivati da un’istituzione che forse, soprattutto in alcuni contesti, non riesce più a dare risposte e/o a stimolare domande. Mattia e Giuliana si rincontrano, per caso, alla fermata dell’autobus. Si scambiano poche parole e una confessione che ha segnato, per la vita di entrambi, l’inizio della loro fragile deriva. Anche Mattia ha perso un fratello: ammazzato. Forse meno innocente di quello di Giuliana, in quanto vendeva auto di lusso, sicuramente rubate. Storie diverse, stesso dolore, asfittico, quello che toglie il respiro e fa sentire amputati, per sempre. Eduardo Di Pietro, con una scrittura fluida, chiara e centrata, evidenzia irrisolutezze che si tratteggiano in un incontro fortuito, casuale, dipanandosi in una narrazione fortemente contestualizzata; violenza e criminalità giovanile, corsa ai facili guadagni, aggressività nei comportamenti e nel linguaggio. L’espressione verbale stereotipata e omologata, qui, asserisce appartenenza in cui riconoscersi e riconoscere l’Altro. L’aspetto fonologico e la prossemica del personaggio si fondono fino a sostenersi reciprocamente. Così si palesa un modo di essere, di pensare che connota tutti in egual maniera. Mattia, con fare beffardo, osserva vestiti e scarpe di lei non griffati. Giuliana è una segretaria con uno stipendio di sole 700 euro al mese. Indubbiamente non può fare sfoggio di lusso e firme. Lui indossa una tuta, forse di marca, che gli ha regalato suo fratello e quindi unica e bellissima. Due fasci di luce separati illuminano gli interpreti. Separati gli spazi dell’azione scenica, separate sono le loro vite, le loro età, la loro formazione, educazione e cultura. Eppure, così uniti da un dolore muto e crudele. Entrambi, sentono ancora il bruciore di quello stappo di carne viva dal cuore. I dialoghi tra i due protagonisti fanno quasi da sfondo ai vissuti delle giovani generazioni, educati da quelle precedenti al culto delle apparenze, dello sfarzo ostentato da raggiungere a tutti i costi, anche con mezzi illeciti. La seduzione del potere per Mattia si concretizza in una Mercedes che “parla” addirittura e si illumina di rosa e di blu o, addirittura, anche del poco noto color acqua marina: “Perché la MERCEDES lo sa” (un’auto così costosa può tutto!). Mattia racconta del nano Samuele e di suo figlio che si faceva pagare per essere picchiato. Storie strane ma speciali. Qui, le luci si fissano: i due attori lottano come in una danza, ripresa in fotogrammi a rallentatore. Si scambiano i ruoli in una sorta di transfert: lei assume il registro coprolalico e aggressivo di Mattia, litiga con Samuele e con i bro, gli amici del fratello ammazzato, quello colpevole. Lui, spronato dalla nuova amica-insegnante, che gli mostra cura e interesse, comincia a studiare e a partecipare all’odiato dialogo scuola-famiglia. La madre di Mattia, da quando è venuto a mancare l’altro figlio non si alza dal letto, è immobile e muta in quella ferita-cesura che rende incapaci anche di pensare. Ma ecco un mutamento inaspettato: il dolore privato diventa pubblico. Giuliana mette il rossetto, si abbiglia, si mostra alle telecamere di quella TV becera che ama spettacolizzare il dolore altrui. Lei diventa il personaggio strappalacrime, la sorella addolorata, che fa audience e che si “vende” meglio. Passano gli anni: le vite di Giuliana e di Matteo hanno preso nuove direzioni pur ritrovandosi, per poco, nello stesso grigiore di allora. La scelta registica pone gli attori lontani, ai vertici di una diagonale, a voler sottolineare l’ineludibile distanza postasi tra i due. Giuliana, in piedi, dinamica, invita Mattia a ricordare una canzone, a riascoltarla nella sua mente. L’intenso pensiero diventa reale e risuonano le note de “Il cielo in una stanza”, la canzone preferita da sua madre. Giuliana, in punta di piedi, lascia il teatro, esce completamente di scena. Valica i confini e va incontro ad un Fuori, un futuro possibile. Lui resta lì, seduto sul pavimento, in quella stanza fatta ancora di pareti (troppo alte da sormontare) e che forse non avrà mai alberi, come canta il cantautore genovese. La progettazione e la regia curate da Eduardo Di Pietro delineano spazi ben definiti in cui la narrazione si espande con misura e connessione. In questo spettacolo, il regista, supportato da attori potenti nel porgere la parola rafforzata da corpi sempre in tensione, restituisce, con vigore e liricità, la pregnanza di relazioni asimmetriche, che, seppur dialogando a fatica, si incrociano e si incontrano per sempre, percorrendo tracce di drammi comuni.

foto @maggioangelo | @teatrogram.it

PRIMAVERA DEI TEATRI

Teatro San Girolamo Castrovillari

30 maggio 2025

Progetto e regia: Eduardo Di Pietro
Con: Federica Carruba Toscano e Lorenzo IzzoAiuto 

regia: Renato Bisogni
Costumi e scene: Barbara Veloce
Light design: Desideria Angeloni
Sound design: Tommy Grieco

Produzione: Collettivo lunAzione
Coproduzione: Teatro della Caduta
Residenza artistica Concentrica presso Spazio MalaErba, Anomalia Teatro

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