De rerum natura. There is no planet B

“Ogni generazione deve scoprire la sua missione, compierla o tradirla, in relativa opacità” 

a cura di Rossella PETROSINO

Lo psicologo americano Gustave Mark Gilbert sostiene che il nostro cervello sia progettato per rispondere principalmente a problemi immediati e urgenti, come il pericolo imminente che vediamo di fronte a noi. Pertanto, la nostra incapacità di reagire alle minacce ambientali lente, distanti e non direttamente legate al nostro benessere attuale non va attribuita tanto a una mancanza di intenzionalità, quanto alla nostra natura reattiva. Per questo motivo, non c’è da sorprendersi se catastrofi climatiche come le piogge in Groenlandia o lo scioglimento dei ghiacciai non suscitino risposte adeguate. Forse dovremmo ripensare alla grammatica della nostra comprensione del mondo? 

Invero il dibattito scientifico dura da anni e non ha mai avuto un impatto significativo sul comportamento collettivo. La discussione interna alla comunità scientifica – una di quelle sfide che non toccano direttamente le nostre vite – si è mossa verso l’esterno quando i dati scientifici sono diventati una narrazione potente: è il caso di Greta Thunberg, che ha catturato l’immaginazione globale e ha mobilitato milioni di persone senza nemmeno pianificarlo, perché le narrazioni – quando funzionano – si diffondono e hanno un impatto sorprendente!

Quando l’economia, la politica, il diritto e altri ambiti specialistici falliscono, possono la narrazione, l’arte e il teatro offrire una soluzione? 

Lo spettacolo DE RERUM NATURA [There is no planet B], prodotto dal Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, ha debuttato nel giugno dello scorso anno al “Pompei Theatrum Mundi” ed è ritornato in scena al Teatro San Ferdinando dal 6 al 16 marzo, come valido tentativo di interpretazione di fallimenti e domande senza risposta. Il testo scritto dal drammaturgo Fabio Pisano è, in effetti, una riflessione sul rapporto tra uomo e natura e per di più il sottotitolo richiama la consapevolezza della crisi ecologica in cui siamo immersi: non c’è un pianeta B (ed un PIANO B).

Il testo èispirato al De rerum natura di Lucrezio, e intorno a questo si sviluppa la drammaturgia che, di fatto, si articola in sei quadri, quanti sono i libri dell’opera didascalica in versi del poeta latino. Lucrezio ha raccontato molte cose che la modernità ha riscoperto e riscontrato e in questo caso l’ottica interpretativa è determinata dalla rilevanza e dalla risonanza che l’emergenza climatica ha sulle condizioni materiali – volendo anche epistemologiche e discorsive – dell’uomo contemporaneo. La scelta del giovane drammaturgo Fabio Pisano di guardare al De rerum natura non appare perciò intempestiva, del resto stiamo indiscutibilmente vivendo il periodo di maggiore sfruttamento del pianeta che si sia verificato a partire dalla Rivoluzione Industriale e, ancora prima, dall’occupazione delle colonie da parte degli Europei. Ciò che richiederebbe maggiore prudenza nell’operazione di riscoperta e di ispirazione di una opera è il modo in cui si illumina un testo e le domande con le quali lo si interroga. 

Lo spettacolo è diretto dal regista Davide Iodice, che di nuovo collabora con Pisano, dopo il successo di Hospes- Itis e che compone la sua personalissima partitura per la scena, rielaborando e omettendo alcune parti del testo originale (pubblicato lo scorso febbraio da Editoria & Spettacolo). Lo fa efficacemente nel segno del mito che d’altra parte caratterizza fortemente la storia della società occidentale degli ultimi vent’anni, che è stata un costante avvicendarsi di narrazioni mitologiche. Si pensi alle cronache che hanno riguardato la pandemia del Covid, che hanno seguito quelle del terrorismo internazionale o quelle dell’Islam contro la cristianità: tutti eventi – nostro malgrado – reali e tangibili che sono stati trattati, percepiti e comunicati con modalità che hanno travalicando i confini della mera cronaca, diventando quasi sempre miti della fragilità umana.

Sul palcoscenico, immerso nella penombra, si staglia uno scenario di vita rurale che sembra per l’appunto senza tempo, sulla destra campeggia una tenda da accampamento che ci riporta invero in Oriente e da cui escono in seguito le donne del coro con la loro splendida voce narrante (interpretate da Aida Talliente, Ilaria Scarano e Carolina Cametti); sulla sinistra si trovano i resti di una piccola barca di legno, simbolo di naufragio e al contempo rifugio sicuro di una donna nuda, muta e imbiancata, Venere (Maria Teresa Battista). Al centro, sul fondo del palcoscenico, si nota un recinto con alcune pecore, che successivamente si trasforma in un palco dove il coro si raccoglie e, più avanti, un palchetto che ospita vari personaggi che si alternano nella narrazione. La scena così costruita ci riporta a un mondo lontano – a quando l’uomo era in armonia con la Natura – ma dura solo un momento, un istante prima di una mutazione cosmologica destinata a ridisegnare la realtà in cui gli esseri viventi si trovano sospesi in un equilibrio precario. In seguito a questo evento, acquisiranno la forma che oggi conosciamo: corpi che incarnano la materialità della loro esistenza, segnati dal tempo e dalle circostanze. Il contadino, consumato dal lavoro logorante, l’attivista che lotta contro un sistema ineluttabile, l’uomo piegato dal progresso, l’albero radicato in una terra che cambia e tutti gli altri diventano la manifestazione tangibile di un mondo che riflette le sue contraddizioni. Ogni corpo sarà un segno e una testimonianza della lotta cosmica che ha ridisegnato l’umanità, un riflesso di forze sociali, storiche e naturali che si intrecciano in modo irreversibile.

La drammaturgia è costruita attraverso blocchi narrativi, utilizzando prevalentemente la forma dialogica per scandagliare la relazione tra l’uomo e la natura nel contesto moderno e la rappresentazione integra agli elementi della modernità, elementi simbolici, come la figura della giovane attivista ambientale che incarna il “Futuro”, richiamando l’immagine di Greta Thunberg, o come il personaggio del povero contadino sfruttato che trasporta in processione una croce e che ricorda Cristo che trasporta la sua fino al luogo dell’esecuzione (immagine non nuova negli allestimenti di Iodice) o, ancora la Venere, che è il simbolo attorno al quale muove tutto lo spettacolo. Se Lucrezio riflette, attraverso i suoi versi, su quanto possano giungere a essere malvagi anche gli uomini considerati più eroici, i migliori, i più eletti, fino a contaminare l’altare della dea Artemide con il sangue  (convinti di adempiere a un dovere verso la divinità, per effetto della religione e della superstizione),
nell’opera teatrale di Pisano, la figura di Venere subisce una rielaborazione che la rende simbolo delle sfide ecologiche contemporanee, trasformandola in un emblema della forza naturale e della necessità di proteggerla di fronte alle minacce che il mondo moderno affronta. Nella regia di Iodice, questa interpretazione prende vita in una apparizione potente ed evocativa della Venere di porcellana, che appare sul fondo del palcoscenico, questa volta segnata dal sangue, come testimonianza visibile della violenza e della vulnerabilità che la natura sta vivendo. C’è Lucrezio anche nell’aspro richiamo al dialogo e nell’uso talvolta dell’ironia – che accompagna ad esempio le opinioni farneticanti del ministro dello Stato, felicemente interpretato dall’attore Sergio Del Prete. Si avverte l’influsso della diatriba che  evidenzia il ruolo autentico del poema didascalico quale strumento di insegnamento, centrato (mi riferisco al testo originale che ha ispirato questo spettacolo) sul confronto tra il poeta-maestro e il lettore-discepolo. Ma, questa stessa suggestione rischia di assumere i connotati della lezione o del rimprovero in alcune declinazioni sceniche. Come la tragica storia dell’orsa polare e del suo cucciolo, entrambi barbaramente uccisi da un cacciatore (la voce è di Aida Talliente che ha recitato con indosso un costume di Daniela Salernitano) o come nel caso di uno degli ultimi quadri, affidato all’attrice Ilaria Scarano, che reca al collo un cartoncino su cui è scritto “Futuro”. In questo caso il personaggio creato da Fabio Pisano ripropone il celebre discorso che Greta Thunberg pronunciò all’ONU, Il vostro bla bla bla fa male, facendo riferimento a temi come il Recovery Plan, l’economia verde e l’impatto zero, con un tono che nell’incontro con il pubblico risulta vagamente accusatorio ma al contempo traboccante di speranza. Il messaggio è amplificato dal contributo di Orchestrìa, una formazione musicale di percussioni nata nell’ambito del progetto speciale di musica inclusiva dell’associazione FORGAT ODV, all’interno della Scuola Elementare del Teatro – Conservatorio Popolare per le arti della scena. Uno spettacolo corale, dunque, che gode dei tanti e bei costumi di Daniela Salernitano, delle bellissime scene, arricchite da maschere e pupazzi di Tiziano Fario e delle raffinate luci di Loic Francois Hamelin che impreziosiscono la narrazione. 

Il rapporto tra l’uomo e la natura è secolare e millenario e ha conosciuto molteplici sfaccettature relazionali. Nel lungo arco della storia l’essere umano ha, in effetti, attraversato varie fasi, dalla paura iniziale della Natura, al tentativo di comprenderne le leggi, alla collaborazione, fino ad arrivare alla volontà di dominarla e sfruttarla per fini propri. In un tempo abbastanza breve siamo arrivati a mettere in pericolo il Pianeta, apportando indubbiamente dei miglioramenti alle nostre vite. È un movimento a diverse velocità e traiettorie che non merita di essere semplificato troppo ma che ci consente di immaginare e di costruire un nuovo e diverso accostamento alla Natura. 

DE RERUM NATURA
THERE IS NO PLANET B 
Teatro San Ferdinando Napoli
6-16 marzo 2025
DE RERUM NATURA
[There is no planet B]
liberamente ispirato al De Rerum Natura di Tito Lucrezio Caro
ideazione, adattamento e regia Davide Iodice
drammaturgia Fabio Pisano
con (in o.a.) Aida Talliente (La Natura/Prima Donna di Lesbo/Mamma Orsa),Ilaria Scarano (Seconda donna di Lesbo/Emilia), Carolina Cametti(Terza donna di Lesbo/La donna sull’albero), MariaTeresa Battista (Venere),Greta Domenica Esposito (Ragazza), Sergio Del Prete (Ministro/Pacific Lumber), Wael Habib (Bracciante/altre figure), Giovanni Trono (Padrone/altre figure), Marco Palumbo (Striato, altre figure), Emilio Vacca (Protele, altre figure)

e con la partecipazione straordinaria di ORCHESTRÌA Marco Fuccio, Giancarla Oliva, Chiara Alina Di Sarno, Giuseppina Oliva, Tommaso Renzuto Iodice, Simone Rijavec, Laura Errico, Alessandro La Rocca, Paola Gargiulo, Antonella Esposito, Massimo Renzetti, Guglielmo Gargarella, Dmitry Medici, Nicolas Sacrez, Lucrezia Pirani, Melina Russo, Giulio Sica, Francesco Cicatiello, Alina Shost, Giulia Caporrino, Daniele Rensi, Ilaria Giorgi, Giulia Albero, Giorgio Albero

[progetto speciale di musica inclusiva dell’associazione FORGAT ODV all’interno della Scuola Elementare del Teatro – Conservatorio Popolare per le arti della scena, a cura di Francesco Paolo Manna, Antonio Fraioli, Eleonora Ricciardi]

scene maschere e pupazzi Tiziano Fario
costumi Daniela Salernitano
luci Loic Francois Hamelin
musiche originali Lino Cannavacciuolo
assistente alla regia Carlotta Campobasso
scenografo collaboratore Marco Di Napoli
assistente costumista Ilaria Carannante
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
questo spettacolo è dedicato alla memoria della Dott.ssa Annamaria Ciarallo, botanica.
Foto Ivan Nocera

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