L’altro sguardo del Teatro delle Bambole

a cura di Antonio GRIECO

Alla Fondazione Morra/Museo Nitsch il Teatro delle Bambole ha presentato (il 17 e 18 maggio) in collaborazione con Casa del Contemporaneo l’esito del Workshop sulle arti performative incentrato sull’arte di Antonin Artaud e di Hermann Nitsch

Gesti esasperati. Gridi soffocati. Sul corpo di uomo morto che è a terra come Cristo in croce, una donna ride in modo incontrollato come in preda ad una crisi isterica, lanciando petali di rosa, simboli di purezza e di amore divino. Poi inizia una corsa infinita, sfibrante, estrema, degli attori in scena, che con la loro gestualità nevrotica, a tratti animalesca, sfuggono a qualsiasi convenzione rappresentativa e umana. Così, lentamente, questa grande stanza in alto, nel sottotetto del Museo Nitsch, a Napoli, in vico Pontecorvo – con alle pareti suggestive opere del grande artista viennese, cui è dedicata la pinacoteca – si trasforma in uno spazio  concentrazionario, che fa pensare ad un’area del disagio psichico o ad un lager per disobbedienti, dove le donne e gli uomini, senza più parole, quasi tutti vestiti di bianco, sono ridotti a un nulla, ad ombre del sottosuolo schiavi di una società che li ha semplicemente ridotti a “resti”,  oggetti di scarto, di cui la nostra opulenta civiltà dei consumi non sa più davvero cosa farsene; e li getta via, senza pietà, fuori dai propri, rassicuranti recinti umani e sociali.  Di tanto in tanto una donna, indifferente e austera, passa tra i corpi abbrutiti, sfiorando i loro gesti inconsulti e frenetici, quasi senza accorgersi di ciò che accade intorno a lei: né della morte, né dei suoni strozzati che sono come un canto di dolore nella notte più oscura dell’umanità. Insomma, questo rito arcaico e sacro che si ripete ossessivamente,  apparentemente separato dal nostro vissuto, a pensarci bene, sembra in realtà far pensare a qualcosa più grande di noi,  forse  – “politicamente” – alla nostra stessa condizione umana di questo terribile inizio di terzo millennio, dove tutti si è costretti a vivere in una realtà “sospesa”, in un mondo che brucia funestato da guerra, fame, sofferenze indicibili; e dalla morte che, nel silenzio generale, incombe su ogni essere umano che vive nel nostro martoriato pianeta. Seguiamo ormai da tempo l’esperienza teatrale e artistica del Teatro delle Bambole, a nostro avviso tra i gruppi teatrali artisticamente più interessanti della nuova sperimentazione teatrale italiana, rigorosamente guidato da Andrea Cramarossa, poeta, regista, attore, che ha messo in scena, negli anni, apprezzati lavori sul suono e sulla voce ispirandosi alla ricerca di Gisela Rhomert. Il Teatro delle Bambole, nato a Bari nel 2003, è spesso ospite, anche in residenza, negli spazi aperti alla creatività ideati da Morra, che ha il merito di averne riconosciuto immediatamente l’originalità espressiva, in particolare l’intenso legame con la “poetica azionista” dell’artista viennese, cui egli ha reso un significativo tributo intitolandogli il Museo nel cuore della Napoli popolare. Questa volta, Andrea Cramarossa ha deciso di dedicare la prima parte del workshop da lui diretto – intitolato Edipo. L’insaziabilità dei corpi. Prima stanza. – all’arte di Antonin Artaud e di Hermann Nitsch; e non ne siamo affatto sorpresi, perché, in fondo, da sempre, la poetica sua e del suo gruppo – come in Psicosi delle 4 e 48 , famoso testo di  Sarah Kane rappresentato alcuni anni fa alla Sala Teatro Ichos di San Giovanni a Teduccio – ci parla  del  disagio dell’uomo contemporaneo di vivere nei nebulosi e incerti tempi della postmodernità: uno sguardo, a tratti drammatico e visionario, questo di Cramarossa, alimentato tra l’altro, aggiungiamo noi, da una profonda conoscenza delle avanguardie storiche del Novecento, di cui Artaud  fu uno dei padri più audaci e rivoluzionari: soprattutto dopo il ritorno da quel fondamentale viaggio in Messico, nel 1936, nel Paese dei Tarahumara, dove  scoprì il senso del sacro assistendo ai rituali magici delle comunità tribali. Nel suo “Teatro della crudeltà” entrarono così, da quel momento, come elementi costitutivi della sua poetica, i corpi, la corporeità come zona indecifrabile dell’accadere, che ci consente di abbandonare l’io per scoprire altre interne pulsioni del nostro essere a noi stesse ignote. Ecco, a noi sembra che questo singolare laboratorio del Teatro delle Bambole rispecchi fedelmente la poetica artaudiana, e in qualche modo ci induca anche ad interrogarci sul mondo che abitiamo, attraversato dalla follia autodistruttiva della guerra globale. Vengono qui in mente, osservando la fisicità e la nevrotica, disarticolata gestualità degli attori in scena, le parole con cui Artaud descrisse il suo “Teatro della Crudeltà”: “Sostengo -affermò- che questo linguaggio concreto, destinato ai sensi e indipendente dalla parola, deve innanzitutto soddisfare i sensi, che esiste una poesia per i sensi come ne esiste una per il linguaggio, e che questo linguaggio fisico e concreto cui alludo non è veramente teatrale se non nella misura in cui i pensieri che esprime sfuggono al linguaggio articolato”(A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 1964, p. 155.). Ma questo modo di  Cramarossa di intendere il teatro come ricerca collettiva,  lontana  dai rumori di fondo della metropoli e da ogni forma di spettacolarizzazione del comportamento attoriale, ci ricorda molto da vicino anche la poetica di Antonio Neiwiller, indimenticabile regista e attore del nostro teatro di ricerca degli anni Ottanta, che nel suo “Teatro clandestino” – utopico manifesto della sua esperienza artistica  fondata sulla ineludibile attività di laboratorio – sosteneva che toccava agli artisti provare ad immaginare con la propria arte un tempo nuovo anche tra le macerie, contrastando, con “un altro sguardo”, ogni tentativo di omologazione e di mercificazione dell’agire creativo e umano. Il Teatro delle Bambole sembra seguire le stesse tracce liberatorie del gesto creativo. Un teatro dal respiro etico e umano, volto – scrive Cramarossa nella nota di regia che accompagna il lavoro – a “rifondare sé stessi”. Bravissimi tutti i performer: Chiara Bianchi, Emilia Brescia, Federico Gobbi, Fabio Guaricci, Louis Touraille, Vins Vassallo. Pedagogia e rifrazioni di Andrea Cramarossa. La seconda parte del Progetto verrà presentato tra qualche mese a Caggiano, incantevole borgo cilentano, dove Morra ha trasferito l’Archivio del Living Theatre – di cui ci siamo ampiamente occupati lo scorso anno (si veda, La “lezione” del Living Theatre da Napoli a Caggiano, www. centrostudiditeatro.it, 23 luglio 2024). 

Paticità, empatia ed anti-empatia con il personaggio tra fiction, etica e mondo reale

di Gius GARGIULO L’opera d’arte è il non ancora che irrompe con la sua unicità

Le scritture del Grande Infante, un prezioso volume per ricordare l’opera e la vita di Enzo Moscato   

di Antonio GRIECO Le scritture del Grande Infante sull’opera – vita di Enzo Moscato, con

Contro il Teatro. Gli inaccettabili provvedimenti del governo.

di Antonio GRIECO Quasi impossibile restare in silenzio di fronte agli ultimi, gravi provvedimenti governativi,

Il Fiore che ti mando l’ho baciato torna a Napoli

Sabato 31 maggio, ore 21.00, torna in scena al Teatro Teder di Napoli – Via

Le opere d’arte e il mondo come teatro e come cinema nell’«altro sguardo» di Alain Jaubert.

a cura di Gius GARGIULO Quando lo presentai come lo Steven Spielberg e l’Alfred Hitchcock

«Non ti scordar di me». Il fiore che ti mando l’ho baciato

a cura di Luca VACCARO Inizio col ringraziare Alberto Beltramo e Silvia Bartolini per aver