Contro il Teatro. Gli inaccettabili provvedimenti del governo.

di Antonio GRIECO

Quasi impossibile restare in silenzio di fronte agli ultimi, gravi provvedimenti governativi, che su indicazione della Commissione Mic, composta in maggioranza da personalità legate alla destra, tagliano drasticamente i contributi del Fondo per lo Spettacolo dal Vivo.
Giustamente indignato, il prof. Marco De Marinis in un suo articolo sul Blog de il Fatto quotidiano, parla di scelte che tendono a favorire le aree più commerciali del nostro teatro, colpendo chi rischia, chi cioè attraverso la sperimentazione artistica intende restare vivo, interrogare il presente, moltiplicare lo sguardo in questo triste passaggio d’epoca segnato da guerre, morte, genocidi, nel silenzio complice di un Occidente che ha ormai smarrito da tempo i valori fondativi della sua Storia. Ecco, se proprio volessimo trovare una spiegazione al senso di queste sciagurate politiche del ministro Giuli – che ha iniziato la sua opera demolitrice della cultura italiana declassando il Teatro Nazionale della Toscana diretto dal bravo Stefano Massini, per poi passare al “decurtamento” di altri teatri (come quelli dell’Emilia  o del Teatro Metastasio di Prato) – la prima cosa che viene in mente è che siamo in presenza di atti illiberali che, come nell’ottica capitalistica più becera e selvaggia, puntano a cancellare quegli spazi di libertà conquistati negli anni da chi ha creduto che l’arte scenica, come ogni altra forma di creatività, possa costituire un antidoto a qualsiasi forma autoritaria del Potere.
Marcuse lo aveva compreso molto bene tanti anni fa, quando, parlando dei fallimenti della società dei consumi – il valore di scambio che prevale sul valore d’uso – affermò la necessità di un “Gran Rifiuto” del mondo antagonista: “di una protesta contro ciò che è” (H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 1984, p. 82).
In anni più vicini a noi, Leo de Berardinis (con Perla Peragallo) sostenne che in una società parcellizzata controllata dall’apparato tecnologico – scientifico del capitale, il teatro è necessario proprio come differenza, alterità, perché, in fondo, rappresenta  quella invalicabile linea di confine che ci fa vedere la vita (si veda l’intervista di F. Bettalli a L. de Berardinis, in «La Scrittura scenica», Bulzoni, 1976). Ecco, il punto su cui ruota la strategia del Ministero della cultura rimanda proprio alla non accettazione di quel valore “altro” dell’arte scenica di cui parla il grande autore – attore italiano: vale a dire la definitiva messa in discussione del teatro come una forma espressiva che ci fa vedere ciò che il potere, ogni forma di potere, deliberatamente occulta. Dunque, la destra italiana agli ordini del nuovo, reazionario potere trumpiano, in fondo non fa che seguire pedissequamente la stessa strada: la strada della prevaricazione, del dominio assoluto della tecnologia e del mercato sul pensiero critico, in modo da colpire insieme agli ultimi ogni altra forma di immaginazione che l’essere umano, sin dalle sue origini, ha creato per difendersi dalla violenza della Storia.
Naturalmente, ciò che in primo luogo viene attaccato dalle nuove misure messe in atto dal nostro esecutivo sono le realtà teatrali più piccole, come ad esempio Il Teatro delle Albe di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. In un nostro intervento durante la crisi pandemica, intervenimmo su queste pagine (https://www.centrostuditeatro.it/laltro-sguardo/2021/pandemia-crisi-e-ripartenza-dei-piccoli-teatri/) appoggiando la lotta che in quel periodo soprattutto i piccoli teatri (ed anche qui a Napoli) conducevano contro le scelte gravemente penalizzanti dei governi di allora per il loro futuro. Fu una mobilitazione molto forte e partecipata, dal Sud al Nord del Paese. Ora, di fronte a questi inaccettabili atti del governo Meloni, pensiamo che occorra necessariamente rilanciare le ragioni di quel conflitto, coinvolgendo tutti i lavoratori dello Spettacolo dal vivo. Solo così potremo difenderci da un governo mai così supino ai dogmi del neoliberismo globalizzato. 

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