TRADIZIONE, TRADIMENTO, TRADINVENZIONE. SULL’OPERA DI ENZO MOSCATO

di Annalisa ARUTA STAMPACCHIA

La pubblicazione del volume Tradizione, Tradimento, Tradinvenzione, edito da Dante&Descartes, precede di poco le numerose celebrazioni che si sono succedute recentemente per commemorare l’anniversario della morte di Enzo Moscato (20 aprile 1948 -13 gennaio 2024).

Poeta, scrittore, drammaturgo e attore Enzo Moscato ha dominato a lungo, in modo poliedricamente intenso ed efficace, la scena artistica contemporanea e la sua scomparsa lascia un vuoto per l’intensità della sua opera innovativa e propositiva verso nuove ricerche nel linguaggio teatrale e perciò anche un’eredità feconda e di stimolo per i giovani che ispirandosi a lui possono continuare ancora innovando, tradendo e inventando l’arte di dire, fare e vivere il teatro.

Se da una parte i suoi studi filosofici all’Università di Napoli lo hanno orientato verso l’insegnamento esercitato con impegno e passione civile, l’interesse per la scrittura lo ha ben presto catturato e, diventando preponderante negli anni, lo ha portato a occupare un ruolo sempre più di spicco nel panorama culturale napoletano e italiano.

Gli interventi contenuti nel testo fanno parte dell’incontro sulla figura di Enzo Moscato tenuto il 30 gennaio 2023 al Teatro Sala Assoli, organizzato dalla Professoressa Antonia Lezza, Presidente del Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo da lei creato a Napoli, a cui fu presente Moscato stesso.

L’articolo Ma noi dobbiamo giocare. To play di Antonia Lezza, curatrice del volume, riprendendo nel titolo una riflessione di Enzo Moscato, fa anche da interessante e appropriato avant-propos al testo 

Antonia Lezza ricorda che numerose sono state le occasioni di incontro con Enzo Moscato in cui ha potuto conoscere, studiare e approfondire il «linguaggio sempre originale e composito» (p.13) di questo autore dalla personalità «così ricca e multanime» (ibidem).

Sono rievocate le edizioni del Festival di Benevento (2007-2009) di cui il drammaturgo fu direttore artistico e, leggendone i programmi, ci rendiamo conto dell’originalità di questo evento, dove alle rappresentazioni culturali si alternavano mostre, vernissages e performances musicali. La presenza della musica, del canto – sottolinea la Lezza – ha avuto sempre una presenza non solo importante, ma soprattutto integrante nel percorso creativo di Moscato per sua ammissione stessa e, come chiarirà, più diffusamente, Pasquale Scialò nel suo intervento Parole con le ali.

Gli scambi sono continuati anche negli anni di docenza comune all’Università di Suor Orsola Benincasa e all’Università di Salerno dove, anche durante il viaggio in macchina che i due docenti facevano insieme, il confronto non era solo culturale, ma anche didattico: infatti Moscato amava soffermarsi in particolare sulle inclinazioni degli studenti per incoraggiarli verso la valenza culturale del teatro.

Questo interesse nel potenziare uno slancio costruttivo verso il teatro accomuna il letterato-artista Moscato alla passione e all’impegno culturale di Antonia Lezza e, in questo ambito, progettano di tenere seminari sul teatro presso il Centro Studi di Napoli, aperti agli studenti, ma anche a semplici appassionati della scena teatrale. L’iniziativa dura dieci anni in cui l’esortazione accorata di Moscato a chi frequentava gli incontri, a cui ho assistito «en amateur», era: «Leggete e formatevi culturalmente». 

La consegna del premio UBU alla carriera nel 2019, al Piccolo Teatro Studio Melato, fu un momento di emozionante confronto non solo per la drammaturgia napoletana, ma anche di condivisione con quanti avevano seguito la lunga esperienza di teatro di Moscato: attrici, attori, bambini, musicisti, tutte le persone coinvolte con lui nel percorso teatrale che egli definiva «un atto eroico».

Parlare di teatro con Moscato significava calarsi nella realtà, nei suoi problemi, fermenti, criticità tutto ciò che sollecitava il suo lavoro drammaturgico a un adesione attiva alle urgenze delle istanze sociali di Napoli, città che nella cultura in genere, nel teatro in particolare come nella quotidianità, rifletteva il dissidio tra tradizione e rinnovamento. Come non sentire nel panorama scenico di Napoli il peso dell’eredità di Pulcinella, Di Giacomo, Viviani o di Eduardo De Filippo e insieme l’esigenza di dire il nuovo e il diverso pur rispettoso e integrante , ma certamente non tautologico e solo ossequiente. Da ciò scaturisce il confronto essenziale per Moscato tra la Tradizione e il Nuovo che sulle scene avevano rappresentato Artaud, particolarmente studiato e amato da Moscato, Carmelo Bene a cui fu legato da amicizia e condivisione a proposito del «souffle», trasformato da lui nel napoletano «soscio». 

Sul rapporto speciale tra Carmelo Bene e Moscato si fonda il contributo di Giorgio Taffon Da Antonin Artaud , a Carmelo Bene, a Enzo Moscato

Il discorso sul teatro andando indietro naturalmente portava a Goldoni, «tradotto» da Moscato, ma a suo modo, cioè «tradito» in quel lavoro assolutamente originale Le doglianze degli attori a maschera, dove – sottolinea Antonia Lezza – emerge quella che Moscato chiamerà la Tradinvenzione ed arriviamo al terzo punto su cui si sviluppano i vari interventi del volume

Tradinvenzione per Moscato è la sua cifra di traduzione che è insieme tradimento e invenzione. Sarà quella che troviamo, anzi ritroviamo, in molti suoi lavori che, partiti come traduzione, diventano «altro» pur rimanendo nel solco di quanto scrive l’autore a cui Moscato si riferisce e s’ispira, ma che non lo sommerge e gli consente di essere se stesso pur riferendosi a un modello. Antonia Lezza, allude tra i molti lavori centrati sulla tradinvenzione a Tà-kài-Tà, omaggio-tradimento a Eduardo, a Chanteclerr dove le vicende degli animali di cortile sovrastate dal grido del gallo riprendono la pièce Chanteclair di Ronsard, di valenza simbolicamente cristologica, ma la trasformano e diventano una scatenata danza di animali che, in uno scambio-fusione di animalesco e umano, raccontano i nostri sentimenti, la nostra verità. Cosi come Le Baccanti di Euripide sono punto di partenza per Baccanti (Disturbing ‘A tragedy) Schizo-Baccanti ovvero: psicopatologia degli spettri euripidei in margine al vivere odierno? per arrivare ad affermare l’impossibilità di scrivere e rappresentare oggi una tragedia.. Alla tragedia reinventata da Moscato, dove la memoria si allea a varietà e creatività, si ispira Baccanti à la manière de Enzo Moscato: disturbi, anarchia, ironia della regista e drammaturga Laura Sicignano che ha curato recentemente la regia delle Baccanti moscatiane.

Dalla connessione Tradizione, Tradimento, Tradinvenzione, nascono i vari interventi, di cui era necessario trovare la genesi e quindi fare un più ampio riferimento all’articolo-introduzione di Antonia Lezza.

Simona Scattina, docente dell’Università di Catania, in Enzo Moscato e Franco Scaldati: prove di prossimità accosta due poeti visionari, il napoletano Moscato al palermitano Scaldati che in Sonno e Sogni ci racconta «l’abisso poetico e disperato» (p 23) di Palermo speculare a Spiritilli di Moscato che ci conduce a Napoli «nel vago spazio della ‘non essenza’»: sono le due «Città-soglie» in cui il sonno e il sogno si mescolano a incubi, a presenze benefiche o inquietanti.

Il loro teatro fa ugualmente riferimento ai «padri spirituali» che li hanno preceduti: Moscato si confronta con l’eredità di Viviani e di Eduardo come Scaldati, inevitabilmente, con Pirandello. Per Moscato questi illustri predecessori sono i «ritornanti» che se gli fanno sentire quella che lui definisce «orfananza drammaturgica» non sono un freno, ma lo obbligano, per raggiungere l’autonomia, a una traduzione, necessario tradimento che porta alla creazione-invenzione, alla «tradinvenzione», l’originale e pregnante espressione coniata da Moscato stesso, che i due drammaturghi-poeti elaborano ciascuno a suo modo, nel loro teatro. Lo sguardo, la sensibilità personale resta originale «per scrutare dentro la bellezza e l’orrore della vita» (p.28). La lingua in cui essi si esprimono si affida al canto che parte dalla voce, dalla forma stessa della parola che tra significante e significato opera la magia di proporre il nuovo all’ascolto, dove la ricerca stilistico-ritmica nella disposizione stessa del testo sulla pagina evoca lo spartito musicale. Entrambi attingono all’oralità dei loro dialetti, evocativi di associazioni straordinarie, capaci di far risuonare al nostro orecchio poetiche invenzioni. La loro capacità di autori-attori avvicina Occhi gettati (1986)di Moscato a Occhi (1987) di Scaldati in cui l’alternanza di registri tra popolare e colto di Moscato, si può avvicinare al «polittico» a più voci di Scaldati, avvicendamento di luce e buio, susseguirsi tra il guardare e l’essere guardati.

Il contributo di Pasquale Scialò, Parole con le ali, è certamente quello di un esperto e affermato musicologo, ma anche di un amico e collaboratore di Enzo Moscato. La musica, il canto non è solo delle canzoni, della poesia, della sonorità, della voce e delle parole stesse che cantano, infatti la risonanza, il rumore, il brusio insieme agli odori, a Napoli città diffusa, non abbandona mai Moscato e lo accompagna nei momenti di creatività come in quelli della recitazione e del canto. 

L’importanza del canto e la presenza nelle sue opere attesta l’influenza della Tradizione e ne sottolinea la filiazione risalente a Viviani.

Come esempio ad hoc Scialò cita la canzone A Santanotte che in Luparella, incredibilmente, accompagna il feroce epilogo della pièce stessa e il musicologo riporta, a suffragio, l’affermazione di Moscato che «la canzone, il canto, le note, le strofe, i ritornelli non sono e non debbono essere considerati accidentali, aleatori o addirittura inferiori alla prosa, alla drammaturgia, alla parola, ma che ne sono, invece fattori importanti e costitutivi» (p. 39). In questa direzione nasce la collaborazione di Scialò e Moscato e porta a spettacoli come Cantà e poi Hotel de l’Univers, Toledo suite, Modo minore che diventano anche cd audio.

La musica proposta in questi lavori disegna «le rotte di melodie migranti» che uniscono, contaminano o assimilano generi popolari a raffinate composizioni novecentesche dove si alterna Kurt Weil a Hans Eisler o a Igor Stravinsky.

Modo minore è una partitura musicale in cui la voce di Moscato sostiene tutto lo spettacolo e, come chiarisce Moscato stesso nel libretto che accompagna il cd, il suo è un «modo minore dell’anima», la sua maniera di cantare è un atteggiamento spirituale rispetto al cantare. É un «modo minore», definito umile e sottomesso, «quasi francescano» pensando ai suoi mezzi vocali che gli servono per « esprimersi con ‘altro’ e non solo con le parole. Con le note appunto. Che io penso sono parole con le ali, farfalle sonore, ‘scusciateci’ da Dio» e Pasquale Scialò è stato maestro nel far realizzare, attraverso la voce di Enzo Moscato, le commistioni tra l’alto e il basso, tenendo presente la sua particolare visione tra intonazione e stonatura. Essere intonati per Moscato significava soprattutto esprimere passione e non indifferenza, non importava per lui essere stonati di «organo» quanto piuttosto essere stonati di «cuore». Quel cuore che – ricorda ancora Scialò – gli ha consentito di cantare «parole con ali, farfalle sonore ‘scusciateci da Dio».

Il contributo di Laura Sicignano, regista, drammaturga, direttrice fino al 2022 del Teatro Stabile di Catania è dedicato a Baccanti à la manière de Enzo Moscato: disturbi, anarchia, ironia.

La regista che si era già cimentata con Alessandra Vannucci nella traduzione e adattamento del testo delle Baccanti di Euripide, aveva seguito per questo lavoro un itinerario che prendendo spunto dalla tradizione tragica di Euripide, passa alla traduzione con inevitabile tradimento e arriva alla sua tradinvenzione. [Essa contempla, dopo l’immersione totale nel lavoro e nell’autore esaminato, il riemergere per affermare sì una discendenza tra dipendenza e autonomia che prende spunto e arricchimento dall’opera che rimane sottesa al«nuovo» del suo lavoro.] 

Nelle sue Baccanti Moscato prende dalla tradizione greca il testo complesso, interpolato e frammentario della tragedia di Euripide, ma si nutre anche della tradizione partenopea dove le matrici pagane riemergono e opera «un coerente cortocircuito tra Grecia classica e Napoli moderna» (p. 58). L’opera ha avuto una lunga gestazione (1990-2005) di cui troviamo traccia nel copione di scena, scritto a macchina con molte annotazioni a penna di mano di Moscato che la Sicignano tiene in gran conto.

 Ella sottolinea che l’aggiunta di Moscato al titolo, ‘a disturbing tragedy’, e i sottotitoli ci danno indicazioni illuminanti sul tipo di percorsi, elaborazioni, trasgressive contaminazioni, tutti i tradimenti all’originale operati per approdare all’impossibilità di rappresentare, oggi, una tragedia seguendo gli antichi canoni delle tragedie classiche. Moscato vuole dare al pubblico una tragedia che disturbi lo spettatore e lo porti a capire l’impossibilità di scrivere una tragedia «alla maniera di Euripide». Il tragediografo greco lontano nel tempo storico e nello spazio geografico, non può avere cittadinanza nello spazio-mondo odierno dove un’altra lingua, l’inglese globalizzato, domina, veicola e fa tendenza e dove si insinua per lui anche la presenza di un’altra tradizione teatrale, quella di orogine partenopea. La tragedia greca diventa ‘a tragedy dove in questa‘a apostrofata si annida Napoli.

Euripide, riletto e reinventato nei contenuti, nell’opera di Moscato, conosce soprattutto una rottura dirompente sul piano linguistico dove i registri si alternano in una contaminazione, dall’aulico al popolare, che esprimendo una ricchezza e varietà lessicale accoglie lingue diverse, come egli è solito fare, mescolando all’italiano e al napoletano, inglese e francese. La Sicignano soffermandosi sul sottotitolo con interrogativo Schizo-Baccanti ovvero: psicopatologia degli spettri euripidei in margine al vivere odierno? ne deduce un possibile accostamento dell’atteggiamento delle Baccanti di Euripide a atteggiamenti patologici disturbati fino ad arrivare alla schizofrenia, indagati dagli studi di moderna psichiatria. La regista in questa intuizione di Moscato, vede anche  un rimandoa Spettri, il dramma di Ibsen, ispirato alla difficile accettazione dei propri fantasmi perturbanti, dolorosi da sopportare pur nella loro verità. Nelle Baccanti di Moscato, esseri ‘borderline’ cioè al margine, al limite della ragione stessa, Laura Sicignano si sofferma sul concetto di margine, di limite dove scorge la sorellanza con la follia dei personaggi euripidei e con la devianza, elemento presente sempre  nell’opera di Moscato».

L’intento dell’autore è anche meta teatrale: le Baccanti sono una sua finzione dove non manca l’ironia, il senso del grottesco che gli consente di inglobare e trasformare una canzoncina popolare Io cerco la Titina in Io cerco la tragedia , la cerco e non la trovo.

La regista genovese osserva che nelle Baccanti di Moscato la tragedia inizia dalla fine di quella euripidea e si sviluppa attraverso un’azione non agìta, ma raccontata e perciò conclude che nelle mani di Moscato la tragedia euripidea sembra impazzire, «impazzisce la trama, tronca del capo, proprio come il corpo di Penteo, dopo lo smembramento attuato da sua madre, impazziscono i personaggi del mito, accanto a pazzi personaggi della televisione: impazzisce la lingua, nel suo vertiginoso contaminarsi» (pp. 63-64).

Ed è perciò che nelle Baccanti à la manière de Enzo Moscato i disturbi mentali, l’anarchia rispetto alla tradizione e la grottesca ironia producono l’unica forma tragica possibile per Moscato «un caos dionisiaco, gioioso e suicida, forse non catartico, ma sicuramente ironicamente liberatorio» (p. 65).

Giorgio Taffon, docente di Letteratura italiana contemporanea e Letteratura teatrale italiana presso l’Università di Roma Tre, precisa che il suo intervento Da Antonin Artaud a Carmelo Bene a Moscato, «va oltre l’occasione» e s’inserisce nel contesto delle sue ricerche sul teatro (p.67). Moscato che Taffon definisce, per la sua carica spirituale, un teatrante-poeta, rappresenta una svolta decisiva nel teatro d’oggi attraverso molteplici e originali apporti drammaturgici. La sua ‘palette’ espressiva passa dal verso alla parola poetante, alla musica e alla voce capace di suscitare incanto, al dialetto, sfruttato sul piano di una musicalità diversa della parola. Sono elementi importanti di contiguità con i lavori di Antonin Artaud e Carmelo Bene, il primo «padre spirituale» di Moscato, per l’opera di rottura del suo teatro della «crudeltà» che conduce lo spettatore, con violenza crudele, fuori dagli schemi della tradizione verso una verità diversa e l’altro, Carmelo Bene, vicino a lui anche per l’amicizia che li ha legati.

Con entrambi il drammaturgo napoletano condivide il «souffle» che per Enzo Moscato corrisponde al partenopeo «soscio»: una forza che spinge il sentimento verso canali diversi che non sono cerebrali e attraverso i quali l’attore proprio ricorrendo alla fisicità, al corporeo diventa, seguendo l’espressione di Artaud, un «atleta del cuore». Da Artaud Moscato mutua in particolare l’uso dei ritornelli, anche ossessivi, della voce secondo le sue differenti modulazioni e della glossolalia.

Carmelo Bene, erede e seguace di Artaud, ne trasforma i termini dell’inventio teatrale per cui l’ autonomia e presenza del corpo del drammaturgo francese in lui si tramuta in assenza della corporeità: il corpo non esiste più, è un non-essere dove l’entità individuale supera i compromessi con la civiltà e resta equation.pdfal di fuori della Storia, fino a un teatro senza spettacolo » (p. 70).

La dirompente carica dissacratoria di Bene che lo porta a cancellare la rappresentazione fino a dare preminenza alla voce, al suono musicale che tende a sostituirsi al significato della parola e che diventa melos. Moscato è affascinato proprio dal melos, da quella ‘religiosità’ che Carmelo Bene esprimeva ricorrendo al solo suono della sua stessa voce, la phoné, cioè il corpo della sua voce che aveva una potenza straordinaria e una ricchezza di timbri eccezionale. Questo ‘unicum’ travolgente degli spettacoli beniani porta Moscato a intitolare Car-Melos il suo omaggio in memoria dell’amico. Qui risuona in sé il potere della parola, sganciata da regole o ossequi a tradizioni e poteri fino a vivere di per sé in quella che Taffon definisce «mistica apofatica» e che avvicinandosi al pensiero del filosofo e teologo indoispanico Raimon Panikkar si oppone a ogni forma di cosmovisione dualistica per andare incontro alla possibilità di una propria mistica particolare.

Taffon conclude il suo saggio soffermandosi sull’originalità del «pensiero poetante» di Moscato come espressione originale di una spiritualità in cui sono presenti i corpi, le anime e lo spirito, i «ritornanti», testimonianza di imprescindibile legame vita-morte non solo, ma nel senso di spirito come metafisica dimensione verso un ‘altrove’ che Moscato cerca e raggiunge attraverso la sua lingua poetica  attingendo alla musica, alla sonorità della parola che piega fino a incontrare quella di lingue diverse dall’italiano, il francese, l’inglese fino al napoletano modulato anche con l’effetto straniante della glossolalia come apertura al mistero della comunicazione col divino. Taffon ci indica nell’ «incanto fonico» di Moscato «l’arte di dire la poesia (dal latino); l’atto di ‘recitare formule magiche’ per almeno sfiorare il mistero della realtà e della vita, l’incanto della natura, del mondo, del cosmo » (p. 77).

Igina Di Napoli in We love Enzo, ricordando la particolare stagione in cui incontrando Enzo Moscato si è imbattuta nella novità assoluta di un linguaggio drammaturgico potente, rivela come quegli anni siano stati di «nutrimento poetico e filosofico per il teatro napoletano e italiano» (p. 82).

We love Enzo nasce dal programma concepito dalla Sala Assoli per la programmazione 2022/2023 dove erano proposte quattro opere di Enzo Moscato per dare spazio e omaggiare l’audacia e originalità drammaturgica del suo linguaggio di «profetico poeta». Numerosi furono gli artisti in questa feconda programmazione: Mario Martone, Toni Servillo, Imma Villa, Tonino Taiuti Isa Danieli, Pasquale Scialò, Cristina Donadio, Lalla Esposito, Enza Di Blasio ed altri ancora, bravissimi ugualmente.

Nell’ottobre 2024, aggiunge Di Napoli, si è tenuto il convegno Intimità dell’ipogeo, curato dal Professore Giancarlo Alfano del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Napoli Federico II. Nel mese di gennaio, come premesso all’inizio, si sono succedute in vari teatri napoletani le riprese di apprezzatissimi spettacoli per una nuova edizione di We love Enzo. Di Enzo Moscato, Igina Di Napoli sottolinea soprattutto il valore di artista non solo conosciuto e affermato anche all’estero, ma la novità che già in vita è staro oggetto di studi e pubblicazioni sulle sue opere. Testimonianza della risonanza e fascino della sua arte anche presso le giovani generazioni lo attesta la numerosa frequenza ai seminari organizzati e coordinati per un decennio, presso il Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo, da Antonia Lezza curatrice ugualmente del seminario su Tradizione, Traduzione e Tradinvenzione svoltosi alla Sala Assoli nel gennaio 2023 e raccolto in questo volume.

Mi sembra opportuno chiudere, per mettere ancor meglio in evidenza importanza, originalità e modernità dell’opera di Enzo Moscato, artista e drammaturgo, citando quanto, con grande chiarezza, ha detto egli stesso – in Scrittoi /Pazza scena (I Forum/Agorà, A Benevento “Città Spettacolo”) – « sulla natura squisitamente ossimorica del Teatro. Del suo poter essere – giocato com’è interamente sulla fusione trasfigurante degli opposti – al contempo, anima e gesto concreto, intuizione e prassi scritturale, atto eminentemente individuale epperò finalizzato alla comunicazione e immedesimazione con l’Altro, quel suo insomma rivelarsi, al fondo, privato e inviolabile sacrario e, insieme, pubblica e apertissima agorà – emendatoria piazza – rito collettivo».

Idealmente queste parole possono chiudere il cerchio del volume, aperto con l’intervento-introduzione Ma noi dobbiamo giocare. We play di Antonia  Lezza, appassionata, competente conoscitrice, infaticabile studiosa dei linguaggi teatrali che dalla tradizione attraverso la particolarissima traduzione-tradimento di Enzo Moscato, arrivano all’originale, innovativa tradinvenzione del suo teatro. 

Questo testo intensa, documentata e coinvolgente ricerca sullo spessore dell’opera di Moscato, focalizzato sul passaggio Tradizione-Tradimento-Tradinvenzione, pone attenzione e invita a un altro sguardo sulla ricchezza dell’opera di un autore-attore che non si stanca mai di affermare la bellezza del Teatro che è soprattutto Poesia.

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