In quell’Auditorium della capitale, zeppo fino all’ultimo strapuntino, il tempo reale aveva di buon grado ceduto il passo ai due tempi della sonata 111 di Beethoven, che ora veniva distillata dalle miracolose mani del maestro M. P., un pianista che sapeva congiungere in un irripetibile unicum virtuosismo e penetrazione interpretativa – non a caso era ben noto nei cinque continenti -, e con la sua esecuzione rendeva comprensibile a tutti quanto in proposito aveva scritto in una celeberrima pagina del suo “Doctor Faustus” Thomas Mann, vale a dire che se il Titano di Bonn si era limitato a due tempi – laddove la forma-sonata ne prevede tre – ciò stava a significare che con il secondo tempo aveva esaurito tutto quanto intendeva esprimere, e di conseguenza un terzo tempo sarebbe stato del tutto privo di senso.
Dire che gli ascoltatori seguivano quell’esecuzione con il fiato sospeso è finanche banale; a un orecchio esterno la sala gremita avrebbe potuto risultare vuota: non un fruscio di stoffa contro il velluto delle poltrone, non un colpetto di tosse, dello scartocciamento di caramelle neanche a parlarne. Per farla breve, una folla di ascoltatori incantati si era calata in apnea sotto il liquido fluire di quelle note e vi sostava come colpita da un incantesimo.
Finché il grande M. P. non fu giunto alla fine della sua esemplare esecuzione. Allora, dopo qualche istante di irreale fissità, quel pubblico esplose in un solo irrefrenabile moto di entusiasmo, e le mani tanto a lungo trattenute in grembo si levarono per applaudire fin quasi a spellarsi. Ciascuno degli spettatori faceva a gara con il suo vicino di posto nel gridare «Bravò, Bravò».
Vivamente provato da quella che anche per lui era stata una lunga immersione neile correnti subacquee della poetica beethoveniana, il maestro si piegò più volte sul busto per ringraziare, uscì, rientrò, ringraziò ancora…
Quando gli applausi molto gradatamente cominciarono a scemare di intensità, dalla prima fila si levò una voce: «Maestro, “La pansé”». Quella voce ebbe sul pubblico l’effetto di una bomba lanciata contro la musica con la emme maiuscola. Fu come un segnale d’assalto per i sacerdoti di Erato, la Sesta Musa, i quali si scagliarono, con l’intento di smembrarlo, sull’incauto che aveva osato chiedere un bis di quel genere.
Provvidenziale risultò l’intervento di quattro ‘gorilla’, la guardia del corpo di colui che aveva turbato con il suo intervento quella memorabile serata. Costoro lo presero di peso e lo trasferirono all’esterno, per infilarlo in un’auto blu, che sgommando si allontanò fino a sparire in fondo alla strada.
Più tardi si venne a sapere che si trattava del Ministro della Cultura di quel paese, un paese non molto diverso dal nostro, anzi l’avresti potuto dire gemello monozig00otico.