di Antonio GRIECO
In una sala semibuia, un uomo seduto al centro della scena, con alle spalle una parete attrezzata con schermi circolari, racconta, mescolando napoletano e italiano, la sua vita di “diverso”, incapace sin dalla prima infanzia di articolare e di collegare discorsi e pensieri, di trattenere i ricordi più recenti del suo vissuto. Insomma, Antonio Cafiero – così si chiama il protagonista diCrick. Atto unico in sei resoconti di Francesco Silvestri (scomparso nel 2022) e di Melina Formicola, per la regia Rosario Sparno, andato in scena (dal 26 al 30 novembre) alla Sala Assoli/Moscato – per questo suo evidente deficit cognitivo veniva considerato da tutti un ebete, un idiota, uno “scemo”; anche la sua stessa madre si vergognava di lui, dei suoi gesti disarticolati, delle sue parole “smozzicate”, dei suoi bisbiglii incomprensibili, della sua impossibilità di essere come gli altri, ossia “normale”. Che in fondo è anche la sua stessa sotterranea aspirazione. Accade poi che attraverso un esperimento chirurgico molto delicato, Antonio, addetto alla pulizia in una fabbrica di scarpe, riconquisti – come era accaduto a Crick, il piccolo topolino bianco, che egli ammira per la capacità di risolvere in modo eccellente le esercitazioni in cui viene sottoposto nel “Labborinto” – tutta la sua intelligenza. Insomma, dal buio egli passa poco alla volta alla luce, la luce del sapere, la luce della conoscenza. Ed è felice quando scopre non solo di essere in grado, in questo inedito viaggio “dall’Inferno al paradiso”, di memorizzare eventi specifici del suo passato, ma di aumentare considerevolmente il proprio quoziente intellettivo, come gli riconosce lo stesso dottore che lo segue, imponendogli sempre nuovi test analitico-psicologici. Durante questa singolare sperimentazione, viene però a conoscenza che gli effetti positivi della terapia cui è sottoposto non saranno mai del tutto definitivi. Antonio, questo ci sembra il punto centrale del discorso di Silvestri e Formicola, osservando proprio i comportamenti del topolino Crick, comprenderà, col tempo, che quel sistema – in teoria così importante per il miglioramento della condizione di ogni essere vivente – può anche portare alla morte spirituale, alla impossibilità cioè di avere il totale controllo delle proprie azioni, del proprio mondo, che è da sempre un insieme complesso e indissolubile tra passato e presente. Osserverà Silvestri (nel testo riportato nel bel volume che Vincenzo Albano gli ha dedicato, edito da “Libreria Dante & Descartes per l’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo, nel 2013), a proposito della metafora che sottende questo lavoro: «La scienza si illude di controllare l’uomo, ma le forze della natura aspettano e colpiscono impreviste e incontrollabili, come uno tsunami dell’anima». Abbiamo inteso soffermarci sul plot di questo splendido spettacolo per due ragioni principali: la prima è che questo testo, andato in scena per la prima volta nel 1987, riconferma che Silvestri, oggi incredibilmente dimenticato, come tanti altri attori-drammaturghi e artisti dalla sua e nostra città, è stato un protagonista di primo piano della scena napoletana agli inizi degli anni Ottanta del Novecento, firmando spettacoli straordinari e dando vita ad interpretazioni attoriali davvero memorabili. L’altra considerazione è più generale, e in qualche modo “politica”: il lavoro ha uno sguardo e un’anima chiaramente pasoliniani, non solo perché ci parla della “diversità” – tema che, come è noto, attraversa tutta la poetica del grande regista e scrittore friulano – ma perché evoca uno dei nodi fondativi della “filosofia” pasoliniana, ossia il rapporto tra Natura e Cultura, tra Natura e Storia, tra Natura e Modernità. Pasolini, infatti, era convinto che la Natura non fosse altro che la struttura primaria dell’universo che abitiamo, una Natura che la Cultura, gestita da una classe dirigente globale interessata esclusivamente al consumo e al profitto, avrebbe lentamente “snaturato”, tradito, conducendo le nostre comunità alla omologazione, all’appiattimento, schiava delle idee di un Potere assoluto e violento che ne ha cancellato per sempre le sue radici, i suoi riti, le sue tradizioni popolari, insieme alle primordiali strutture di relazione. In fondo, a pensarci bene, è ciò che accade ad Antonio Cafiero, che quando raggiunge il piacere della conoscenza, si ritrova spaesato, senza più amici, non più in grado di comprendere le ragioni della propria esistenza. I temi che affiorano in questo intenso testo, che trae ispirazione dal romanzo di fantascienzaFiori per Algernon di Daniel Keyes, ci sembrano dunque di indubbia attualità. Come se Silvestri e Formicola, ad esempio, avessero intravisto in grande anticipo sui tempi l’odierno appassionato dibattito sulla Intelligenza Artificiale. Una straordinaria innovazione tecnologica, che rischia, come sappiamo, soprattutto se gestita dal repressivo potere che domina il mondo, per dirla con lo stesso Silvestri, di trasformarsi in “uno tsunami dell’anima”, trasformando l’individuo, assorbito totalmente da una esasperata dimensione virtuale, in un automa, assolutamente incapace di provare emozioni, di relazionarsi con gli altri, di sviluppare un autentico pensiero critico sul divenire della sua vita e del mondo. Ciò che, inoltre, poeticamente sorprende in questo lavoro, è che tutta questa intensa meditazione poetica sull’orizzonte postmoderno che abbiamo di fronte a noi, viene resa viva, attuale, credibile, dalla magistrale prova attoriale di Luca Jervolino, giocata tutta su di una varietà di gesti e di timbri espressivi che ne esaltano la forza comunicativa; misurata l’interpretazione di Francesco Roccasecca nei panni del dottore; convincente la regia di Rosario Sparno. Convinti applausi del pubblico in sala.
Crick
Atto unico in sei resoconti
Da “Il topolino Crick” di Francesco Silvestri e Melina Formicola
regia Rosario Sparno
Con Luca Iervolino e Francesco Roccasecca
musiche Massimo Cordovani
costumi Alessandro Gaudioso
disegno luci Simona Picardi
datore audio e video Lud Sciannamblo
progetto grafico Sofia de Capua
Foto di scena Pino Miraglia
Produzione Casa del Contemporaneo