Play Duett (atto terzo), uno straordinario, visionario spettacolo nel segno di Neiwiller

di Antonio GRIECO

Quando sono in scena grandi attori artisti, – che tentano disperatamente di sottrarsi ai consueti codici rappresentativi –  allora il teatro si trasforma in qualcos’altro, spesso in una magia necessaria alla nostra anima, una sospensione temporale dalla vacuità di questo nostro illusorio, consumistico mondo della postmodernità. Questo originale modo di intendere il teatro lo abbiamo incontrato qualche sera fa alla Sala Assoli dove tre straordinari artisti (con la collaborazione di Marco Vidino) – Tonino Taiuti e Lino Musella (attori) e Antonio Biasiucci (fotografo) –  hanno messo in scena (dal 27 dicembre 2023 al 7 gennaio 2024) Play Duett (atto terzo), un terzo movimento dell’iniziale lavoro dei due attori napoletani. La prima cosa che colpisce in questo spettacolo, come avevamo già osservato nel 2019, è – oltre il segno interdisciplinare della messinscena dove in ogni azione dialogano arte, poesia, musica –  la straordinaria prova attoriale di Taiuti e Musella che nel tempo hanno raggiunto una totale intesa attoriale tale da farli apparire agli occhi degli spettatori come un solo corpo scenico, capace di sondare, come in una singolare performance musicale di Jazz, ogni possibile variazione del tema originario.  Procedono mescolando sempre, in ogni loro gesto, l’alto e il basso, il lascito della nostra più viva tradizione teatrale e il respiro delle più audaci avanguardie del Novecento: con una recitazione che nei suoi silenzi – come nel “gioco naturale” (Jaques Copeau) delle Improvvisazioni – crea negli spettatori un senso di indecifrabile disagio, quasi che quel mondo che essi dalla platea vedono scorrere in scena, in fondo non sia altro che lo specchio di una realtà lacerata, o forse solo il riflesso di un oblio, di una loro perduta innocenza. Se, poi, a questa sensazione di vedere nella invenzione drammaturgica dei due attori un seme che riguarda noi stessi, si aggiungono, nel buio neiwilleriano della sala, le immagini antropomorfe e “primarie” (pietre, cortecce d’alberi, ex voto poggiati sul pavimento) di un fotografo come Biasiucci, che reinventa radicalmente il luogo della finzione, allora la scena subisce ancora una ulteriore, simbolica, mutazione: lo spazio scenico si trasforma in un vitale spazio della memoria; uno spazio dell’Essere dove gli attori incontrano i fantasmi del proprio vissuto artistico, senza però mai abbandonare lo sguardo sull’orizzonte della vita. La forza di questo spettacolo crediamo risieda esattamente in questo intreccio inestricabile tra memoria, arte e vita. Come si può cogliere già all’inizio, nelle prime scene che si svolgono (dietro un velatino appena trasparente) in una stanza poverissima, semibuia, dove i due attori – uno disteso su una brandina e l’altro in piedi in un angolo appena illuminato – in realtà mettono in scena, con qualche variazione rispetto al testo originario, il Don Fausto (1868)di Antonio Petito, di cui Tonino Taiuti, nel 1978, fu un sorprendente interprete nelle vesti di Pulcinella-Margherita. La regia di quel memorabile spettacolo, rappresentato in diverse città italiane, fu allora di Antonio Neiwiller, suo amico e maestro, poliedrico autore, attore, artista (scomparso prematuramente nel ’93), che credeva in un teatro libero, non omologato e mai subalterno alle regole oppressive del mercato globale. Per Taiuti (che, tra l’altro, è anche un bravo pittore e musicista jazz) il “Don Fausto” petitiano – che, come è noto, è la parodia del Faust di Goethe – è stato sempre un fondamentale punto di riferimento della sua incessante ricerca artistica e attoriale: perché lì, in quella commedia costruita sulla burla, coesistono una irresistibile comicità legata alla nostra più viva tradizione teatrale e il desiderio di aprirsi ad altre dimensioni culturali. C’era, poi, nella messinscena neiwilleriana dell’opera di Petito una dimensione onirica che abbiamo ritrovato in tutta la sua forza poetica in questo terzo Play Duett: soprattutto quando Taiuti-Don Fausto, che ha deciso di studiare la magia per ritrovare il piacere della vita, si rivolge alla luna: a “chella commara ruffiana de la luna che ogne sera comparisce quando sto suppigno s’è fatto scuro, comme si mme dicesse, Fausto, Fausto. Che buò?”. E non meno significativa del   rapporto  “fondante” dei due attori con la nostra tradizione teatrale è qui A cantata d’ e pasture, una poesia di Raffaele Viviani – interpretata magistralmente da Musella quasi a ritmo di rap – che evoca con nostalgia un tempo in cui il popolo affollava il teatro (“M’arricordo o «Mercadante», p’ e «Cantate d’ ’e Pasture»”) per assistere o per partecipare direttamente a quella fantastica sacra rappresentazione. Più avanti ritornano, con la voce di Gilda Mignonette sullo sfondo, versi, riflessioni ed opere di autori diversi, cui hanno guardato con intelligenza critica Taiuti e Musella: da Viviani a Moscato, da Pasolini a Valentin, a Kafka (molto giusta la scelta di un testo come L’avvoltoio che sembra quasi racchiudere tutte le componenti più tipiche del surreale universo kafkiano), a Eliot (La terra desolata). Stupendo il duetto “dada” dei due attori dal testo di Karl Valentin Nel Fienile (“Dove sei? Qua? Ma non ti vedo. Eppure ci sono…”), più volte messo in scena da Neiwiller negli anni Ottanta assieme a Monologo di Harold Pinter col titolo Assoli; un teatro dell’assurdo che sembra però tragicamente far pensare al nostro spaesamento di fronte al caos, al vuoto e all’incertezza della contemporaneità.  Nella pièce – tra segni primari di una materialità cosmica (come buio, terra, fuoco), chiaramente ispirati al lavoro di Neiwiller La natura non indifferente (1989), da lui dedicato a Joseph Beyus – non mancano caustiche critiche dei due attori ad un potere che emargina chi crede in un teatro come uno spazio della creatività che ci consenta di ritrovare il senso più intimo e vero della nostra esistenza. E, allora, le ultime, profetiche parole di Musella – recitate con intensa partecipazione, quasi meditando su ogni singola frase – riprese da La natura non indifferente – suonano ancora oggi come un monito all’umanità smarrita di questo tragico inizio di nuovo millennio: “abitiamo la gola del mostro che non ragiona, non parla, nel tumulto dell’informe groviglio di ciò che accade pare non si possa più lottare…non c’è più niente da recitare, bisogna sparire…”. E ancora: “ho in fondo a me una sorta di altro sguardo…Vorrei unire gli uomini agli animali, alle piante, alla materia, ma anche agli angeli, agli spiriti, e questo sforzo possa diventare arte in un mondo che ai poveri toglie il pane e ai poeti la pace”.  E non vi poteva essere modo migliore per concludere questa stupenda serata, in cui alla coinvolgente, personalissima invenzione drammaturgica di Taiuti e Musella, si associa lo sguardo visionario di Biasiucci che – con le immagini dei suoi volti penetranti e muti proiettati sulla grande parete della sala assieme a quelle dei migranti sospese nel vuoto cosmico – sembra quasi ricordarci che fuori di noi, fuori di qui, oltre questa scena virtuale in cerca di poesia e di verità, c’è tanta umanità ferita, tanta libertà negata da riconquistare per ogni vivente umano e non umano che abita il nostro pianeta. Lunghi ed emozionati applausi del pubblico in sala a tutti e tre i bravissimi attori artisti, autori di uno spettacolo che sarà difficile dimenticare.