Domenico Scarpa, Calvino fa la conchiglia. La costruzione di uno scrittore.

di Caterina DE CAPRIO

A chi considera Calvino il proprio scrittore “talismano”, il preferito punto di riferimento delle proprie letture, piacerà molto il titolo di questo volume. Con empatia, Scarpa rievoca per l‘autore ligure il fascino della conchiglia, antico amuleto fin dalla preistoria, bello per l’iridescenza dei colori, ma al tempo stesso risultato di un lungo lavoro di costruzione da parte del suo primitivo abitante che protegge la tenera polpa di cui è fatto in un duro guscio, fatto a strati, proprio come il tempo della sua stessa vita. Pensare a Calvino/scrittore-conchiglia che cela ad arte un suo nucleo emotivo e trova nel raccontare il modo per opporre resistenza a quanto è fuori di lui e condiziona o minaccia, consente di ripercorrerne le sfide umane e letterarie, dalle insicurezze degli esordi alle ardite sperimentazioni della maturità. Deve essere sembrato questo, al suo studioso, il giusto criterio per accostarsi al lavoro che Italo faceva su se stesso, nel mettersi alla prova, rivitalizzando i dati acquisiti, ansioso di colmare il vuoto esistente tra le parole e le cose.  Non a caso Natalia Ginzburg lo ricordava da giovane, spesso balbettante, nonostante mostrasse autoironia nel “commentare comicamente la propria persona e il prossimo e le code pelose, irsute, squamose e infinite che serpeggiano dietro le parole”(p.65). Del resto in un’intervista del 1948, sfuggita alle bibliografie calviniane ed individuata da Scarpa,  è con la parola/segno “intercapedine”, che il giovane Calvino stigmatizzava la personale difficoltà ad esprimere i propri sentimenti, dandoci una cifra rivelatrice se non “un intimo fattore di continuità” tra il prima e il dopo della sua produzione ove spesso si ricorre al sottotono ed a sdoppiamenti autobiografici oppure a distanziamenti riflessivi: griglie, cornici, strutture introduttive… Sono espedienti adottati per  gestire , nel variare degli stili, la complessità delle relazioni col mondo e consentono all’autore di giocare a nascondersi tra le pagine dei propri libri. Rappresentando la malizia di Pin, le curiosità istintive di Qfwfq, le inadeguatezze di Marcovaldo  o di Palomar,  Calvino riusciva a conciliare il suo convinto rifiuto per l’introspezione psicologica con la curiosità per le incognite del mondo esterno, accettando, tramite i personaggi,  la sfida dell’avventura e del movimento o quella dei tanti interrogativi sui misteri del cosmo e sul senso della storia e delle sue violenze. 

Centrale pertanto neIl’indagine di Scarpa è collegare l’origine dei suoi libri a una domanda sulla propria identità di narratore come pure al suo bisogno di un’identità certa, nel timore di ritrovarsi congelato in una fisionomia definitiva, attribuitagli magari da altri. Del resto, in apertura di volume troviamo un capitolo apparentemente digressivo, ispirato da una rappresentazione sanremese di Quando si è qualcuno del 1933. Nella commedia di Pirandello Ia parabola di un autore di successo che ricorre all’espediente di pubblicare sotto altro nome una sua nuova opera per rinnovarsi e ribellarsi alla fissità della maschera finora indossata, sembra accomunare nella provocazione il vissuto del drammaturgo e quello del più giovane scrittore. Entrambi infatti paiono ossessionati dall’incubo della pesantezza del ruolo che li trasforma in pietra e dal desiderio di cambiar pelle pur di ricominciare. Nel costante rifiuto del romanzo, richiestogli fin dagli esordi da parte di editori  o da militanti del Partito, in conformità con precetti ritenuti vincenti, Calvino  fece sue altre forme narrative, l’apologo, la fiaba, il racconto fantastico, il racconto filosofico, il meta-romanzo, cimentandosi in una sfida con se stesso anche con libri “impossibili” come Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979).Rivelatrici del suo rovello d’artista sembrano a Scarpa le pagine “cosmicomiche” de La spirale. Nel racconto un gasteropode narra come si sia fabbricata, insieme al guscio, la propria mente, adattandola col tempo e con stimoli esterni, sì da offrirci una sorta di autobiografia “iperstorica” dell’individuo Italo Calvino. Fin da ragazzo la sua natura schiva fungeva da intercapedine difensiva, allora disegnava con tratto veloce figurine stilizzate per vignette umoristiche, ma anche le più difficili conchiglie, di cui ammirava la forma, perfettamente costruita secondo l‘armonia matematica delle leggi della sezione aurea… Di questo progetto di armonia e bellezza, testimoniato in natura e inseguito per tutta una vita da Calvino, il volume cerca di seguire le fasi di attuazione, individuando tra le difficoltà del percorso un nucleo unitario cui ricondurre opere diverse tra loro, e spesso così innovative da creare un nuovo pubblico di lettori.

  Frutto di una ricerca più che trentennale, durante la quale Domenico Scarpa ha raccolto una gran mole di materiali, costruito tesi, articoli e bibliografie calviniane e perfino una sorta di  “ipertesto cartaceo” (Mondadori, 1999), il corposo volume Hoepli propone ora una  dettagliata biografia dell’autore cui si intreccia l’interpretazione storica degli eventi vissuti e quella critica delle sue opere, lette da ogni angolazione (letteraria, politica, antropologica…). Oltre al ritratto di Calvino, il saggista dedica attenzione al panorama globale in cui trovano spazio i temi che lo appassionavano e l’ambito culturale in cui egli si muoveva, tessendo reti personali tra l’Italia e l’estero grazie ad incontri professionali, scontri ideologici, storie di amicizie e di amori. Con lui ci si trova infatti di fronte ad un narratore nato, di gran talento che diffidava della cosiddetta libera ispirazione e che, volendo verificare i propri strumenti, alzava la posta, contrastando la facilità della sua vena imponendosi di volta in volta regole idonee a dare coerenza alla sua opera e al suo stile. 

 Il critico insiste sulla tesi dello scrittore che vuole costruirsi da solo, obbligandosi a rigide contraintes, , sicché, come in una spirale, al continuo allargarsi dei suoi orizzonti finiva per corrispondere la volontà di tutto ricondurre al controllo della sua pagina, divenuta nel tempo sempre più precisa nel descrivere ed esigente nell’ argomentare. Con gusto  romanzesco Scarpa dunque ci racconta la storia del protagonista, seguendone le avventure personali e/o intellettuali nei capitoli che rispettano la cronologia e rinviano nei sottotitoli ad eventi salienti del periodo analizzato. Così ad esempio quello intitolato “Anni 1875-1943” è dedicato all’ antefatto, cioè alle vicende poco note dei genitori Mario Calvino ed Eva Mameli, eccezionali per il rigore scientifico e l‘entusiasmo che ne caratterizzò il lavoro con ruoli di grande responsabilità prima a Cuba e poi a Sanremo. Queste pagine ci trasmettono il contagioso fervore dell’agronomo Mario, “un sognatore di cose grandi e tangibili” che scriveva articoli divulgativi e dava consigli ai contadini nella loro lingua o dialetto, una vera incarnazione delle virtù sociali attribuite dal figlio al suo Cosimo che, senza scendere dagli alberi, si faceva “pastore di anime“. Parimenti dettagliato il ritratto dell’austera figura materna; emancipata e colta Eva fu nel 1926 titolare della cattedra di botanica a Cagliari e per tutta una vita si dedicò ai suoi studi. Italo la ritrasse con fedeltà ne La speculazione edilizia, anziana e chiusa nel  suo giardino, “etichettato pianta per pianta”, riconoscendole la capacità di  trasformare “le passioni in doveri” e di viverne. Ancora si descrivono i successivi anni sanremesi, ricordando i passatempi  infantili del futuro scrittore, allora impegnato a guardare le figure del “Corriere dei Piccoli”, sì da imparare a montare e smontare storie da attribuire ai personaggi raffigurati, e poi  quelli dell’ adolescente preso dalla passione per il  cinema o dal gusto della discussione su temi più o meno filosofici, con i coetanei del Liceo Cassini, alternando alla serietà delle letture più impegnate l’amore per i paradossi e i vezzi linguistici dei giornali umoristici alla moda, grazie a cui filtrava uno svagato dissenso verso il fascismo e la sua retorica. Per questo come per tutti i capitoli, troveremo i riferimenti bibliografici necessari nelle fitte e nutrite note, ma per non appesantire il testo, esse non sono segnate con numero esponenziale e si trovano a fine volume, grazie all’ indicazione della pagina e delle parole cui si riferiscono. Nel loro insieme costituiscono quasi un libro nel libro: sono una vera e propria miniera d’informazioni, tra dati di prima mano e  scrupolose ricognizioni della critica e del contesto. Vi si dà conto di testi pubblicati e di quelli rimasti nei cassetti o su pagine di giornali ormai dimenticati, ritenuti importanti però nel dibattito politico e culturale di cui Calvino non fu solo testimone, ma spesso protagonista. Per fare degli esempi, si pensi alle note che si riferiscono al capitolo Chi sono i contemporanei ? (dedicato al Convegno di S. Pellegrino Terme del 1954 ed al confronto tra scrittori di diverse generazioni, un saggio divertente per i  fraintendimenti reciproci  dei nostri intellettuali e per le erronee valutazioni che toccarono allora ai siciliani Piccolo e Tomasi di Lampedusa, alla vigilia dei loro sorprendenti successi) o ancora alle note che riguardano il  capitolo  1956, Da Poznam alle Antille (dedicato ai fatti di Polonia e Ungheria e ai rapporti con le direttive politiche del PCI da parte di Calvino, militante etichettato come “disfattista” per La gran bonaccia delle Antille, pubblicata su “Città aperta” . E’ una storia di crisi personale  e ideologica, finora parzialmente nota, conclusasi con la lettera di dimissioni a Paolo Spriano,  sull’”Unità “ di Torino, ma, a dire di Calvino, “una lettera d’amore”, nonostante tutto). 

Spiegando l’autore attraverso le sue parole, ritenute “spia” di “altri” conflitti,  così come insegnava la critica psicologica, praticata con finezza da Giacomo  Debenedetti,  il volume evidenzia  il gioco di sottili corrispondenze tra cose scritte e da scrivere, compresenti nella mente e nelle intenzioni di Calvino. Nel congedare Fiabe italiane (1956), con fare istrionico, egli si domandava se gli sarebbe stato possibile rimettere i piedi per terra, invece già preparava il Barone rampante, ove nell’intercapedine aerea dell’ utopia di Cosimo si assestavano le sue recenti delusioni politiche. L’ambientazione settecentesca segna un punto di svolta dai racconti resistenziali, eppure nel descrivere come un capriccio possa diventare imperativo etico, prende energia una tale tensione di rinnovamento e progresso che il romanzo di formazione vira verso la fiaba visionaria. Ancora memoria storica e memoria dei luoghi costringono l’autore al confronto con la degradata  bassa marea morale dei tempi presenti, caratterizzati da egoistiche logiche, distruttive di speranze e di territori. Subito dopo, nel 1957, apparirà La speculazione edilizia, la cosa “più comunista” che avesse scritto, ambientata ancora nella Riviera di Ponente. lI paesaggio, di lussureggiante bellezza nei suoi ricordi, ora però è destinato allo stravolgimento della cementificazione selvaggia, a discapito di orti e giardini, finora difesi dal lavoro dei padri. Ci si imbatte così in uno dei temi cari a Calvino, perché da I sentieri a La speculazione, da La strada di San Giovanni a Dall’opaco, la Liguria, stretta tra mare e monti, costituisce il mondo originario e archetipico da cui egli trasse le coordinate mentali e di cui percepì i mutamenti, rapportandoli alla sua esperienza biografica, come se il paesaggio fosse una controparte delle storie narrate, quasi un personaggio. Giustamente i capitoli Dall’alto degli anni 1, 2 , 3 ribadiscono la complessità del suo rapporto con questa parte di mondo di cui, nel tempo, avvertirà la mancanza e il rimorso per le inadempienze generazionali verso la natura. Si potrà allora parlare della vena ecologica di Calvino, confermando l’ineusaribilità dei suoi interessi e la sua disponibilità a coniugare scienza e immaginazione visiva nell’andare a ritroso nel tempo per descrivere la meraviglia di chi veda un cielo stellato per la prima volta e immagini altri tipi di occhi sull’universo per continuare a meravigliarsi. Attento alla storia ed ai suoi fallimenti, egli non esita a farsi “scrutatore” di forme e destini diversi lungo la catena della evoluzione, assumendo su di sé l’angoscia dell’imperfezione e della sofferenza, nella “città nascosta” del Cottolengo, o il disagio della solitudine esistenziale, intravista in uno zoo, di fronte ad un gorilla albino. Mercuriale e Saturnino allo stesso tempo, Italo sa di vivere in un universo dinamico, sa che onde gravitazionali trasportano messaggi dal cosmo profondo e che gli astrofisici ormai possono cogliere in segnali infinitesimali la prova di cataclismi stellari avvenuti in un remoto passato. Nel confronto con miti elaborati da antiche culture (quella classica, quella precolombiana…) il suo sguardo si sposta dal passato al futuro che gli pare sempre più compromesso da prospettive di rovina e di fatale entropia. Non arretra, ma, come sempre, affronta a modo suo l’imprevedibile “mondo non scritto”; da esso, ancora una volta, cerca di strappare frammenti per tradurli in pagine di trasparente bellezza. Ci convinciamo così, a fine lettura, che il pensiero del caos sia stato dominante presupposto della sua idea di armonia e che a fronte della  perenne dialettica ordine/disordine si sia fondata la forza di tanti libri, ancora oggi vincenti sul tempo.