di Antonia LEZZA
Lo studio di Michela Marano affronta con grande abilità di indagine e forte senso critico l’attività pittorica di Carlo Levi in rapporto alla scrittura. C’è nello studio della Marano un “rapporto gemellare tra pittura e narrativa” come mette molto bene in evidenza Francesco d’Episcopo nella pertinente introduzione (Le visioni di Levi ) senza tralasciare il forte interesse dello scrittore, comune ad altri intellettuali coevi, verso la fotografia perché -come scrive la Marano- facendo riferimento agli Scritti di critica d’arte di Levi, “la fotografia ha avuto una forte influenza sulla pittura non soltanto come materiale documentario […] ma anche come suggestione formale, come realtà già elaborata, già sottoposta a un vaglio e a una ricreazione, un po’ come se essa fosse qualche cosa di simile a quello che nel processo industriale si usa chiamare un prodotto semilavorato[…]. Ora la fotografia è stata ed è uno degli elementi essenziali in questo mondo di oggetti capace di ispirare gli artisti moderni”[….]( p.86). Il volume è costituito da tre ampi capitoli preceduti da una ricca e documentata biografia in cui Michela Marano descrive i momenti più salienti della vita di Levi attraverso i quali non solo è possibile evidenziare la molteplicità di interessi dello scrittore, ma ricostruire una parte della storia civile e culturale italiana. Dopo un’ampia attenzione rivolta al paesaggio nella Letteratura del ‘900, nel capitolo intitolato I luoghi di una vita la studiosa si sofferma sulle tre località (Torino, Alassio e Parigi) frequentate dall’artista. “Cospicue” definisce la Marano le riflessioni di Levi sul paesaggio dell’Italia sia nelle stesure pittoriche che nelle opere letterarie in un interessante percorso che tocca tra l’altro opere come Le parole sono pietre, Il futuro ha un cuore antico o ancora Tutto il miele è finito. Ma è nel paragrafo intitolato Il paesaggio del Cristo si è fermato ad Eboli che Michela Marano si sofferma sul valore del romanzo e sull’importanza del paesaggio lucano completamente diverso rispetto ai luoghi precedentemente dipinti. C’è un passaggio davvero significativo dello studio della Marano su cui occorre soffermarsi: “In tutta l’opera Cristo si è fermato a Eboli si osserva che la scrittura di Carlo Levi ha molti punti in comune con la sua pittura e che la minuzia descrittiva, tipica della pittura, rappresenta uno dei percorsi narrativi privilegiati del libro, in cui si descrivono con i colori e le parole, la realtà quotidiana, le tradizioni secolari, le terre malariche fuori dalla civiltà e dalla storia”( p.54). Allo stesso modo anche nel ritratto si rispecchiano lo stile, la forma, il carattere del pittore che sembra voler ricercare e rintracciare nell’altro le proprie caratteristiche : il volto, il sorriso, l’espressione della bocca. Questi aspetti sono analizzati dalla Marano che fa riferimento, a ragione, ad alcune date importanti come il 1926, a quest’anno risalgono i ritratti dei familiari e gli autoritratti, quelli degli antifascisti della Torino degli anni ‘30, poi i ritratti del confino lucano e quelli di tanti letterati frequentati a Firenze agli inizi degli anni ‘40. Ma, alla fine, fra tutti emerge un ritratto, quello di Giulia la Santarcangelese, Giulia la strega contadina cui la Marano dedica alcune pagine significative. Possiamo affermare tranquillamente che i ritratti del confino sono quelli più pregnanti.
Nel capitolo terzo del suo originale volume la studiosa esamina gli aspetti salienti della fotografia, la sua influenza sulle altre discipline, la sua importanza soprattutto dopo la caduta del Fascismo. Su questo aspetto la Marano si sofferma giustamente citando alcuni fotografi in particolare e quegli intellettuali che se ne sono occupati come Alberto Savinio, per esempio. Ma è nel capitolo intitolato Carlo Levi in Lucania con Mario Carbone che la studiosa analizza l’opera In Lucania con Carlo Levi, edita nel 1980 per conto della casa editrice Lerici di Cosenza che si compone delle fotografie di Mario Carbone, un commento di Gino Melchiorre, uno scritto di Carmine Benincasa (p.103, n.). Che cosa fa Carbone? Da profondo conoscitore della realtà del Mezzogiorno ed esperto fotografo narra una realtà parallela, ugualmente efficace rispetto al romanzo di Levi. Scrive la Marano: “Le fotografie sono il prodotto dell’attento sguardo di Mario Carbone che insieme a Carlo Levi riscopre la pervicace e fiera ostinazione dei contadini lucani, è lo sguardo su oggetti e persone della realtà quotidiana, che appartiene ad un presente che si sovrappone al ricordo di anni trascorsi e alla memoria del passato in Carlo Levi e nella sua stessa produzione letteraria e pittorica”(p.105). All’esperimento fotografico di Carbone Levi si sentiva molto legato -scrive la Marano- tanto è vero che per il padiglione della Lucania dell’esposizione torinese “ Italia 61 – Mostra dell’Unità d’Italia”, Carlo Levi creò un pannello ad olio di ampie dimensioni che aveva come modello i negativi delle fotografie di Carbone. La Marano, inoltre, nel saggio ricorda che “ Lucania 61” è il grande telero popolato da centossessanta figure con al centro Rocco Scotellaro sindaco-poeta di Tricarico(pp.108/109, n.).
E’ evidente che Levi , sia durante il confino, sia durante il suo ritorno in Lucania abbia voluto identificarsi con la silenziosa e ricca civiltà di quella terra divenendo l’ambasciatore indiscusso del mondo contadino. “ I dipinti e l’opera letteraria Cristo si è fermato a Eboli, entrambi di Levi, ben testimoniano la cruda condizione di quei luoghi” -osserva Michela Marano chiudendo il suo lavoro critico- “senza alcun abbandono idillico, mentre, di converso, le fotografie di Carbone tendono a ragguagliare l’osservatore sulla differenza tra la Lucania del ’35 e quella del’60” […](p.109).
E in linea con questa attenta e originale analisi il volume si chiude con un’Appendice, intitolata Dalla Lucania dipinti di Carlo Levi fotografie di Mario Carbone che conferma il valido percorso critico indicato dalla studiosa.