Annie Ernaux e il tradimento della scrittura

a cura di Federica Caiazzo

Il premio Nobel per la letteratura è stato assegnato quest’anno a Annie Ernaux con il consenso e l’entusiasmo di critici, intellettuali, lettori che conoscono e amano la scrittrice francese. Le ragioni di una tale generale approvazione ‒ lo scorso anno il Nobel a Abdulrazak Gurnah, scrittore nato a Zanzibar e naturalizzato britannico, aveva destato alcune perplessità ‒ sono contenute nella motivazione fornita dal Comitato di Stoccolma, che coglie la ricchezza e le specificità dei romanzi della Ernaux: «Per il coraggio e l’acutezza clinica con cui scopre le radici, le rimozioni e i vincoli collettivi della memoria personale. Nella sua scrittura, Ernaux in modo coerente e da diverse angolazioni, esamina una vita segnata da forti disparità di genere, lingua e classe. Il suo percorso verso l’autorialità è stato lungo e arduo». 

Ciò che colpisce e convince il lettore, nei romanzi di Annie Ernaux, è un profondo ed elegante accordo tra forma e materia, tra stile e contenuti, vòlto alla ricerca di un genere letterario che oltrepassa i confini dell’autobiografia. Ne deriva una scrittura originalissima, densa nella sua essenzialità, personale eppure fortemente politica, con la quale vengono trattate tematiche quali la morte del padre, la malattia della madre, la vita matrimoniale, l’aborto clandestino, vissute in prima persona dall’autrice ma sublimate in un orizzonte collettivo proprio attraverso la forma letteraria.

Per provare a tracciare questo percorso «lungo e arduo verso l’autorialità», potrebbe essere interessante partire da uno dei primi romanzi della scrittrice, Il posto, pubblicato in Italia da L’orma editore nel 2014 (da allora L’orma editore ha tradotto la gran parte delle sue opere, l’ultima delle quali, Il ragazzo, è stata pubblicata a novembre 2022).

Al centro della storia c’è la morte del padre dell’autrice, avvenuta nella cittadina di Y*, in Normandia, durante un «giugno soffocante». Partendo da quell’evento e andando a ritroso nel tempo, Annie Ernuax racconta la vita di suo padre: l’infanzia vissuta in una fattoria nel Pays de Caux, dove la raccolta delle mele e il segno della croce prima dei pasti scandiscono un’esistenza semplice e laboriosa, il lavoro in fabbrica, il trasferimento in un tranquillo quartiere nel nord della Francia, la gestione di un bar-alimentari insieme alla moglie fino alla fine dei suoi giorni. Dalla nascita della piccola Annie la storia del padre si trasforma inevitabilmente nella storia della relazione tra padre e figlia. La scrittrice racconta quanto si sentisse estranea, distante per cultura, desideri, idee da quell’uomo instancabile, dedito al lavoro, incolto, grossolano, e, divenuta a sua volta adulta, quanto siano stati vani e frustranti i tentativi di colmare quella distanza cercando una forma condivisa di comunicazione. 

Sebbene il romanzo racconti una storia intima e autobiografica, la scrittura non appare né intimistica né lirica, il conflitto generazionale, che si fa poi conflitto di classe, non è raccontato in pagine di lacrimevoli e facili sentimentalismi, la narrazione è essenziale, sommessa, priva di fronzoli, pienamente aderente alla semplicità della vita del padre e, in ragione di questo, meno personale. A tal proposito, è la stessa autrice, nelle prime pagine del romanzo, a rivolgere al lettore una vera e propria dichiarazione programmatica: «Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sommessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a fare qualcosa di “appassionante” o “commovente”. Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io». L’autobiografia viene, pertanto, trasfigurata e superata, assumendo contorni e forme nuove, a metà tra diario e cronaca dei fatti; non c’è divisione in capitoli ma brevi paragrafi si susseguono a ritmo crescente, alcuni di essi sono brevissimi, quasi telegrafici, come appunti o chiose di un ragionamento silenzioso. In questo modo le emozioni vengono rimandate al lettore nella loro nuda autenticità, la parola si fa potente, scuote, indigna, affatica, commuove. 

Attraverso Gli anni (2015), L’altra figlia (2016), L’evento (2019), La donna gelata (2021), solo per citare alcuni tra i titoli più noti, si dipana il percorso dell’autrice che segue la strada già tracciata da Il posto: gli avvenimenti della propria vita sono raccontati con una scrittura così lucida e pungente da trasformare l’esperienza individuale in narrazione corale, il racconto personale in racconto della dignità degli esseri umani, delle disuguaglianze sociali, dei diritti delle donne come accade ad esempio ne L’evento, probabilmente il romanzo di maggior successo, che racconta la storia dell’aborto clandestino vissuto da Annie Ernaux in giovane età attraverso la potenza di una parola scarna e asciutta: «Sono tornata dal dottor N. Dopo un esame meticoloso mi ha detto sorridente e soddisfatto, quasi complimentandosi, che me l’ero «cavata bene». Senza saperlo, mi stava spronando anche lui a trasformare in vittoria individuale la violenza subita». Ecco, dunque, quel «coraggio» e quell’«acutezza clinica» riconosciuti e premiati, a buon diritto, a Stoccolma.  

Pertanto, per iniziare a percorrere il cammino della memoria personale di Annie Ernaux, si potrebbe partire proprio da Il posto che rappresenta un possibile manifesto programmatico per conoscere e apprezzare la straordinaria arte della scrittrice. «Azzardo una spiegazione: scrivere è l’ultima risorsa quando abbiamo tradito (Jean Genet)» recita l’esergo del volume che contiene, come spesso accade nei testi della Ernaux, una dichiarazione illuminante attorno a due concetti chiave, ‘scrivere’ e ‘tradire’. In particolare, il termine ‘tradire’ rimanda al tradĕre, al ‘consegnare’ alla memoria delle pagine tasselli di un percorso esistenziale complesso e doloroso. Sull’elegante copertina color ocra (a tal proposito si segnala l’equilibrata eleganza delle copertine dei romanzi della Ernaux editi da L’orma editore) è raffigurata la silhouette di un uomo con la carriola che proietta un’ombra che non è la sua, ma quella di una bambina con uno zaino sulle spalle e un libro tra le mani. Allora, forse, il tradimento è proprio questo: crescere come ombre difformi rispetto alle proprie radici. Pertanto Il posto racconta proprio questo: quelle radici tradìte e tramandate per sempre al patrimonio permanente della letteratura.