a cura di Gius GARGIULO
Il mio giornale parigino di cui sono critico cinematografico mi ha inviato alla festa del cinema di Roma dove ho visto moltissimi film e documentari che ho recensito per i miei lettori transalpini mentre per il sito del Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo segnalo qui di seguito i film e i documentari di prossima uscita nelle sale su Napoli e sul teatro. La pandemia ci ha abituati a riscoprire il senso del Tempo in una dimensione corale di gruppi in isolamento. Questo tema, tendenza o tarlo, chiamatelo come volete, del Tempo (maiuscolo, sì) lo porta in luce efficacemente la 17esima edizione della Festa del cinema di Roma (13-23 ottobre) con film, serie tv, masterclass, incontri all’Auditorium e in tanti altri luoghi della città. In particolare nei tanti film italiani presentati alla rassegna capitolina, la Storia riavvolge il nastro, confonde i piani e sconfina nel futuro come ogni pratica scientifica e creativa dovrebbe fare. Anche in questa edizione della festa di Roma il cinema napoletano si ritaglia il suo spazio con La cura di Francesco Patierno che si avvale della partecipazione dello scrittore, jazzman e attore Peppe Lanzetta oltre a Francesco di Leva, Alessandro Preziosi, Francesco Mandelli, Cristina Donadio, Andrea Renzi, Antonino Iuorio. Corso Umberto, il rione Sanità, le Terme, la stazione di Mergellina, l’Hotel Oriente, la prefettura, strade, angoli, per lo più deserti: Napoli in pieno lockdown. Una città spettrale e fuori dal tempo per la rilettura contemporanea di Francesco Patierno di La peste di Albert Camus, dove i sentimenti, le paure, i conflitti del libro scivolano armoniosamente dentro il disorientamento generato dalla pandemia, e pezzi di realtà rimandano al testo dello scrittore francese come un uomo disperato che urla di notte per strada afflitto da una pandemia dell’anima che va ben oltre quella contingente del virus. Un ospedale e i suoi medici e volontari, i funzionari, i commercianti, le persone normali, tutti si mescolano con una troupe che sta girando un film sulla peste, in una coralità drammatica asciutta e coinvolgente. Chi vuole scappare. Chi decide di restare. Ma da soli non si resiste alla paura. A sedici anni da Quijote, Mimmo Paladino,uno dei più grandi artisti contemporanei torna al cinema con La divina cometa, un film che incrocia l’Inferno della Divina Commedia con la tradizione del presepe napoletano, evocata dalla battuta di Natale in casa Cupiello: «Te piace ’o presepe?». E come nel presepe, c’è spazio per personaggi noti e nuovi (dal Conte Ugolino a Giordano Bruno), che ogni volta si incarnano in modalità imprevedibili, attraverso un uso creativo delle location (campi sportivi, cave, stazioni abbandonate) e un attento lavoro sulla lingua (con Dante spesso tradotto in dialetto napoletano) con in filigrana altri viaggi celebri del cinema italiano, da quelli di Pasolini a quelli dei Magi randagi di Sergio Citti. Malgrado la presenza di grandissimi attori quali Peppe Servillo, Toni Servillo, Nino D’Angelo, Enzo Moscato, Francesco de Gregori, Cristina Donadio, Alessandro Haber, Sergio Rubini, Tonino Taiuti che ci regala una magistrale prova di attore straniante, dimostrando come farsi la barba e dispensare saggezza ben oltre la lezione di Eduardo, diventa una inedita creazione estetica del quotidiano dal teatro al film, avremmo voluto più spazio per questi poliedrici e versatili magi che portano in dono il teatro, la poesia, l’arte. Inoltre, lo sforzo dello sceneggiatore Maurizio Braucci che insiste su forme espressive del teatro delle avanguardie degli anni Settanta del secolo scorso, ha come risultato di appannare nel corso del film queste forme espressive facendole apparire ormai logore sullo schermo di oggi. Più vivo e palpitante il teatro di strada di Daniel Pennac che racconta Maradona: il mito, l’icona, “San Diego” il santo profano, un capro espiatorio come il suo Malaussène, in una indagine creativa e surreale, tutta ambientata a Napoli, per mettere in scena uno spettacolo teatrale con la sua compagnia MIA, nel documentario italospagnolo, Daniel Pennac: Ho visto Maradona! di Ximo Solano. In questo viaggio, Pennac ci racconta anche molto di sé e del suo approccio alla scrittura. Con la partecipazione straordinaria di Maurizio De Giovanni, Roberto Saviano e Luciano Ferrara. Reduce dal successo di Nostalgia, presentato a Cannes, Mario Martone ha incontrato gli studenti di cinema e il pubblico della Festa per celebrare il trentennale di Morte di un matematico napoletano. Per Martone questo film è una meditazione su persone e vicende a lui vicine. Case e strade, aule e osterie, i luoghi di Caccioppoli rappresentati sono una parte della Napoli che oggi viene ancora vissuta e abitata. Forse è anche per questa sopravvivenza di luoghi, che la modernità vorrebbe scomparsi per sempre, che la figura dell’esile matematico dal trench è ancora così viva a Napoli. Il film restaurato ha permesso di apprezzare l’interpretazione pienamente riuscita di grandissimi attori tra i quali Antonio Neiwiller, Licia Maglietta, Toni Servillo, Vincenzo Salemme e Tonino Taiuti. Lady Macbeth in Puglia, in una villa imponente e pacchiana invece di un oscuro castello scozzese del Seicento, con delinquenti e capi della Sacra Corona Unita al posto di re e aspiranti al trono, tutti con la stessa sete di potere sporca di sangue, è la scommessa riuscita di teatro nel cinema operata da Giulio Base con Il maledetto. La tragedia scozzese (The Tragedy of Macbeth) scritta da Shakespeare tra il 1605 e il 1608, torna a far balenare le sue ombre e le sue profezie (vedi il recente film di Joel Coen). Giulio Base (anche alla sceneggiatura) la rielabora in chiave contemporanea e visceralmente nostrana, con un protagonista straripante e sanguigno e una Lady Macbeth carnale e fatale. Il Tempo della creatività artistica, fatto di storia, finzione, realtà e teatro lo ritroviamo in modo emblematico nella Stranezza di Roberto Andò in cui Toni Servillo è un insolito Pirandello molto umano, quasi comico in cerca di ispirazione, che recita in sintonia con i comici siciliani Ficarra e Picone nei panni di scalcinati autori ed interpreti delle loro farse per dare inconsapevolmente l’idea dei Sei personaggi in cerca d’autore al grande drammaturgo nella Girgenti (Agrigento) del 1920. Dopo Una storia senza nome, Andò continua a mescolare invenzione e storia, facendo interagire attori amatissimi dagli spettatori ma che finora non si sono mai incontrati: Toni Servillo nella parte di Pirandello, Ficarra e Picone in quelle di Onofrio e Sebastiano, al centro di un cast eccezionale. Un documentario che ci porta al cuore della dimensione teatrale è Dario Fo: L’ultimo Mistero buffo (Italia, 2022, 90 min. documentario) di Gianluca Rame, Con Dario Fo e Franca Rame. Manca poco all’entrata in scena. L’anziano attore si alza, si porta lentamente dal camerino alle quinte e, dopo un accenno di esitazione, entra in scena mettendo fine all’attesa. Il 1° agosto 2016 a Roma, il grande attore, drammaturgo e Premio Nobel Dario Fo, novantenne e al termine della carriera, sta per andare in scena con uno dei suoi cavalli di battaglia, Mistero buffo, una pièce rivoluzionaria, censurata al debutto.Il film segue gli attori in un continuo confronto nel quale il teatro di Fo diventa spazio di riflessione sulla condizione umana e sulle distorsioni del potere, superando differenze linguistiche, geografiche e culturali. La magìa del suo teatro si compie per un’ultima volta ancora.
Anche la musica trova la sua dimensione teatrale nelle prime trasmissioni di Studio Uno della RAI in bianco e nero con Souvenir d’Italie (Italia, 2022, 94 min. Documentario) di Giorgio Verdelli con e su Lelio Luttazzi. Seguendo lo swing, negli anni ’50 e ’60, il regista ricostruisce il fascino e la genialità dell’impareggiabile ed « unico portatore sano di smoking » secondo l’umorista Vaime. Lelio Luttazzi compose canzoni come Legata a uno scoglio, Rabarbaro Blues, Vecchia America (per il Quartetto Cetra), Una zebra a pois (per Mina), Souvenir d’Italie, forse il suo maggior successo, che sbarcò anche in America, incisa da Perry Como. Oltre che musicista, pianista e interprete delle proprie canzoni, fu direttore d’orchestra, attore (L’avventura di Antonioni, L’ombrellone di Risi) ed eccezionale conduttore radiofonico e televisivo, da Hit Parade a Studio Uno e Doppia coppia: Lelio Luttazzi, uno degli showman più eleganti e poliedrici apparsi sui nostri schermi, nato con lo smoking, con un’anima jazz e un umorismo affiliato e bonario. Dopo i ritratti di Ezio Bosso, Pino Daniele, Paolo Conte, Giorgio Verdelli ricostruisce la carriera di Luttazzi, il clamoroso errore giudiziario che la interruppe bruscamente nel 1970 (a lui è ispirato Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy) e, soprattutto, lo charme e l’intelligenza con cui rinnovava la musica e lo spettacolo italiani.