EDUCARE ALLA PACE

L’ALTRO SGUARDO
EDUCARE ALLA PACE
di Mario Corbo
Quando l’utopia diventa realtà [1]
1. Premessa
Tutto è possibile in una città come Napoli.
La ricchezza della proposta culturale che da essa proviene può meravigliare solo chi la guarda dall’esterno attraverso la lente deformante del pregiudizio, che offusca la vista e copre i colori con una coltre di nebbia. L’opacità, presente nello sguardo di chi valuta la realtà solo in base a stereotipi, ammanta il mondo esterno e, di conseguenza, anche la città dai ‘mille colori’ diventa grigia e perde la brillantezza della sua natura geneticamente policroma. Attraverso un processo di reductio ad unum, logicamente indebito, si assolutizzano i dati negativi e spesso si dimentica il patrimonio di bellezza, in tutte le sue forme, che la città è in grado di donare, laddove entri in gioco la creatività che rende vitale la cultura, affrancandola dalle sabbie mobili dell’omologazione: del già detto e del già visto.
Creatività e bellezza, dono inestimabile che costantemente Napoli fa a noi, sono, a loro volta, un dono, ricevuto dall’incontro con l’altro che, nel corso della storia, ha plasmato il DNA del popolo di questa città, crocevia di popoli. Napoli e il suo popolo hanno costruito lentamente, nel tempo, la loro identità accogliente attraverso processi di contaminazione, metabolizzando il novum, in modo da restituirlo segnato dall’impronta inconfondibile della propria terra, come si evidenzia dal proliferare di progetti, di grande interesse, in ogni settore della cultura, dell’arte e della formazione.
Pertanto, non mi sembra retorico, né pleonastico affermare che, in un tale contesto, l’utopia talvolta possa diventare realtà, perdendo il proprio carattere di sogno irrealizzabile.
Nello specifico, per quanto concerne i progetti formativi e le attività di volontariato indirizzate al sociale, proprio l’apertura verso l’altro e la creatività – insieme alla generosità, alla determinazione e alla fiducia nelle possibilità del cambiamento – hanno dato vita ad una miriade di esperienze di riscatto e di promozione umana, soprattutto nelle periferie (prima tra tutte Scampia), stimolando la presa di coscienza di cosa sia il ‘male’ (etico e sociale) e come possa essere eradicato perché si affermino i valori della giustizia e della legalità.
Questo articolo intende raccontare la storia emblematica di un’esperienza di accoglienza, che, trent’anni fa, ha scommesso sulla possibilità di trasformare in realtà un’istanza che sembrava avere tutti i caratteri dell’utopia: educare alla pace in una Scuola di pace, dove sperimentare in modo diretto questo fondamentale valore, dando vita a relazioni autentiche tra tutte le componenti in essa operanti e dove approfondire l’idea e la cultura della pace, nelle loro sfaccettature storico-sociali e teoretiche.
La Scuola, adottando e coltivando un’idea di pace come valore positivo, alla luce del quale orientare le scelte e i comportamenti umani in uno spettro amplissimo di situazioni, ha significativamente contribuito al superamento della definizione in negativo della pace come mera assenza di guerra, prevalente nell’immaginario comune e certamente riduttiva e poco flessibile.
La pace autentica non è assenza, ma presenza, che investe gli aspetti fondamentali del nostro essere nel mondo (il lavoro, la salute, il cibo, l’acqua, l’istruzione, l’uguaglianza, la giustizia, la libertà, la nonviolenza, la solidarietà, l’accoglienza, i diritti umani, ecc.). Ha una dimensione locale, ma anche globale. È un sentimento individuale, ma pure un comportamento collettivo; ha una dimensione personale, ma anche una politica. Essa richiede il superamento dell’individualismo e della competizione selvaggia – tipici della nostra epoca – e una piena disponibilità al dialogo: l’abbandono dell’autoreferenzialità e l’adozione dell’ottica della reciprocità e della cooperazione.
Intesa in tal senso, allora la pace può essere appresa e può essere oggetto di insegnamento, in una Scuola che sia essa stessa spazio reale nel quale vivere relazioni gratificanti secondo la logica e le dinamiche del dialogo, della collaborazione e dell’arricchimento reciproco. Una Scuola nella quale i processi formativi non siano unidirezionali – dall’insegnante all’allievo – secondo la tradizionale immagine asimmetrica dell’insegnamento come travaso del sapere, ma procedano anche in direzione inversa, nella certezza che dall’altro c’è sempre qualcosa da imparare, in quanto nessuno è autosufficiente e possessore della verità in modo esclusivo, neppure il docente più preparato, la cui preparazione, sempre in fieri, dovrà costantemente perfezionarsi tramite il feedback con gli allievi, soprattutto se appartenenti a culture ed etnie diverse dalla sua.
L’educare alla pace implica quindi, nello stesso tempo, l’educarsi alla pace, attraverso un processo dinamico nel quale la funzione docente e quella discente risultino intercambiabili nella sostanza, pur nel rispetto formale dei ruoli. Di conseguenza, in un’esperienza scolastica ‘laboratoriale’ ed aperta – quale intende essere quella della Scuola di pace napoletana – la pace non è una disciplina tra le altre che si aggiunge a quelle curriculari, ampliando quantitativamente il piano dell’offerta formativa, ma è il substrato di ogni materia e di tutto il processo formativo, che incide qualitativamente sul modo di essere e di fare scuola, declinando i diversi contenuti secondo un’ottica orientata alla realizzazione del bene comune. L’idea della pace è il valore sotteso ad ogni ambito disciplinare che segna l’esperienza didattica nel suo complesso, sia nella forma che nel contenuto, attuando una sorta di rivoluzione copernicana all’interno dell’attività formativa. I ruoli dei protagonisti, infatti, si ridefiniscono in vista di una vera e propria riappropriazione dei contenuti del sapere, che perde il suo connotato di estraneità alla coscienza del discente, il quale, da ricevitore passivo, diventa protagonista nel processo di insegnamento/apprendimento, che si svolge con una metodologia attiva e laboratoriale, fondata sulla cooperazione e sulla reciprocità. Il docente, pronto a donare, deve essere pronto anche a ricevere, nella consapevolezza che il confronto tra linguaggi e culture diverse possa arricchire tutti gli attori dell’esperienza, favorendo il raggiungimento di livelli di conoscenza più maturi e consapevoli inerenti al proprio patrimonio culturale e linguistico.
2. La Scuola (1991 – 2021)
Ebbene, ha da poco compiuto trent’anni la Scuola di pace di Napoli.
Un lungo arco temporale nel quale essa ha perseguito, con creatività e tenacia, l’obiettivo originario di educare alla pace, prospettando nuovi orizzonti ermeneutici, alternativi a quelli attualmente prevalenti nel nostro pianeta, ferito da conflitti sanguinosi e colpito al cuore dalla dissennatezza di chi, credendo inesauribili le sue risorse, le ha sfruttate senza alcun limite, sino a compromettere i fragili equilibri di un sistema complesso e delicato, nella sua perfezione.
In generale, il progetto di educazione alla pace risponde all’esigenza – oramai non più procrastinabile – di redigere un patto tra le generazioni presenti e quelle future per la salvezza del pianeta, le cui sorti sono indissolubilmente legate alle scelte che gli esseri umani faranno nell’immediato presente e nei prossimi anni, sul versante economico, politico ed ecologico.
Nello specifico, il progetto educativo della Scuola di pace napoletana si rivolge, in primis,ai più giovani perché facciano da volano nei processi di cambiamento. Si immagina che essi, sensibilizzati alle tematiche della pace e della nonviolenza possano innescare un circolo virtuoso che lentamente coinvolga settori sempre più ampi della popolazione, nella speranza che i mutamenti inerenti al piano delle idee e della coscienza si riverberino poi gradualmente all’esterno, incarnandosi in comportamenti conseguenti. Al riguardo, per quanto concerne le tematiche ecologiche e dello sviluppo sostenibile, mi pare si possa dire che stia avvenendo proprio qualcosa del genere attraverso i discorsi e le azioni promosse dai movimenti legati alla giovane attivista svedese Greta Thunberg e da quelli nati in seguito alla pubblicazione, nell’anno 2015, dell’Enciclica sulla cura della casa comune, Laudato si’, da parte di papa Francesco. Si tratta di movimenti ancora allo stato embrionale, la cui evoluzione è oggi difficile prevedere, ma che costituiscono, comunque, un segno di speranza per tutti quelli che si impegnano nella costruzione di un mondo migliore.
L’entusiasmo e la tenacia che hanno sorretto, sin dai momenti iniziali, i promotori della Scuola di pace a Napoli, non hanno mai offuscato la consapevolezza delle difficoltà insite nel cammino da percorrere e nelle mete da conseguire. Consapevolezza che, invece di spegnere la fiamma dell’entusiasmo, moltiplica le energie dei protagonisti, spingendoli a trasformare in realtà un progetto che può apparire come mera utopia: a) contribuire a realizzare una graduale inversione di rotta nelle relazioni inter-umane e in quelle inter-nazionali, in modo da ridurre le disuguaglianze sussistenti tra le varie aree del pianeta e arginare la povertà che attanaglia in una morsa letale milioni di esseri umani; b) spingere verso un mutamento sostanziale delle politiche inerenti all’ambiente, al fine di garantire la sopravvivenza stessa del pianeta, a noi affidato in custodia perché le future generazioni possano continuare a goderne pienamente la bellezza.
La Scuola di pace di Napoli, cercando di realizzare concretamente tali obiettivi nel corso di un trentennio, ha mostrato che la pace, nel significato più autentico, non è un concetto astratto o un ideale utopico, oggetto di mera speculazione filosofica o di fede religiosa, ma un modo peculiare e concreto di guardare la realtà, una categoria vitale, pienamente laica, alla luce della quale vivere le relazioni tra gli individui e tra i popoli per affrontare in modo funzionale al bene comune le più urgenti questioni economiche, politiche e ambientali del nostro pianeta.
Essa, pertanto, ha diffuso e testimoniato un’idea della pace dal contenuto pregnante e multiforme, legato a tutti gli aspetti nei quali si esplicano le relazioni tra gli esseri umani. Basta dare uno sguardo ai temi scelti e approfonditi dalla Scuola, in questi trent’anni, per rendersi conto di ciò: l’economia, la politica, l’ambiente, le religioni, la questione femminile, la giustizia e la democrazia, la Costituzione, la differenza come valore, il sé e gli altri, la cittadinanza consapevole, le periferie, il lavoro e la qualità della vita, lo straniero, i testimoni della nonviolenza, i linguaggi dell’odio e le pratiche dell’accoglienza, gli spazi di confronto nella società plurale, ecc. Si tratta di una scelta accurata e articolata di tematiche fondamentali profondamente correlate tra di loro, da cui appare evidente come l’idea di pace, affinché perda la sua connotazione astrattamente irenica, debba essere calata nella realtà effettuale, quale criterio valoriale dirimente, e declinata in tutte le sue molteplici sfaccettature.
Ed è proprio questo ciò che, con coerenza e passione, la Scuola ha cercato di fare nel primo trentennio della sua storia.
Come è stato già detto, l’obiettivo primario è quello di sensibilizzare la coscienza delle giovani generazioni circa le emergenze sociali e ambientali che affliggono il pianeta, nella speranza di porre un freno alle discriminazioni che rendono il nostro mondo attuale profondamente ingiusto, con una distribuzione non equa della ricchezza tra le sue aree geografiche che, alimentata da un meccanismo di sviluppo ineguale e dipendente, condanna una parte prevalente dei suoi abitanti alla povertà più o meno assoluta, riservando, invece, ad una minoranza di esseri umani una privilegiata condizione di opulenza. Tali eclatanti e inique divaricazioni tra gli abitanti di uno stesso pianeta – che non ha padroni, ma solo ospiti/custodi – innesca il meccanismo incontrollabile dei flussi migratori, con lo spostamento di milioni di esseri umani, che, non avendo nulla, sono alla disperata ricerca di condizioni accettabili di vita, divenendo in tal modo doppiamente ‘stranieri’, sia nella loro terra di origine, abbandonata per necessità, sia nei paesi di accoglienza, spesso impreparati o restii a favorire un’integrazione dei nuovi arrivati che non sia solo assimilazione passiva, ma partecipazione attiva ai processi di crescita interna. Pertanto, ad un certo punto della sua storia, la Scuola di pace decide di rivolgersi proprio agli uomini e alle donne migranti, gli ultimi e gli scartati della nostra epoca, portatori di culture diverse e di bisogni urgenti e disparati a cui bisogna dare una risposta che non sia di tipo caritatevole, ma tenda ad offrire strumenti cognitivi perché lo straniero gradualmente riesca a ritagliarsi spazi di autonomia in una realtà a lui estranea e spesso ostile.
Fino al 2008, la Scuola di pace, nata a Napoli nel 1991, ha trattato temi particolarmente significativi, attinenti all’impegno per la pace, su cui coinvolgere e far lavorare gli studenti di alcune importanti scuole superiori della città. Le tematiche diventano oggetto di approfondimento sia attraverso l’apporto di esperti durante incontri generali aperti agli studenti, chiamati ad animare, a loro volta, il dibattito suscitato dalle relazioni, sia attraverso un’attività laboratoriale, svolta dai ragazzi nelle rispettive sedi scolastiche insieme ai docenti coinvolti nel progetto, sperimentando una metodologia attiva in cui essi siano gli autentici protagonisti del processo di apprendimento, attraverso percorsi non convenzionali di grande interesse (laboratori musicali e teatrali, di scrittura collettiva, di fotografia, di giochi di ruolo e dinamiche relazionali, di storia dell’arte, ecc.).
Dall’anno 2008 la Scuola di pace decide di affiancare a tale proposta educativa, che continua a sussistere anche negli anni successivi, un’attività didattico-formativa peculiarmente rivolta agli immigrati, che sempre più numerosi sono presenti sul nostro territorio, con enormi difficolta di partecipazione e integrazione. È innegabile che le innumerevoli necessità materiali che essi hanno, giungendo in una realtà profondamente estranea a quella di provenienza, vengono rese più acute dalla non conoscenza della lingua utilizzata nel paese di accoglienza. Pertanto, la Scuola decide di attivare corsi finalizzati all’insegnamento della lingua italiana agli stranieri, dando vita ad un’esperienza non solo didattica, ma di vita in senso pieno, che presto diventerà un punto di riferimento sia in ambito cittadino che nazionale, come attestano i numerosi riconoscimenti da essa ottenuti per l’eccellenza del lavoro svolto.
La Scuola di italiano per immigrati – che ha visto il costante incremento negli anni dei suoi iscritti, provenienti da ogni parte del pianeta – svolge materialmente i suoi corsi nei locali della Chiesa battista di via Foria a Napoli: segno tangibile di cosa sia il vero dialogo interconfessionale, quando diventa concreta occasione di crescita per gli ultimi e i deboli. Un rapporto, quello con la Chiesa battista, che non è solo di mera ospitalità, ma di coinvolgimento pieno e durerà ininterrotto nel tempo sino all’anno 2019/2020: un anno davvero particolare per i problemi che man mano si sono presentati, a cominciare proprio dalla indisponibilità della sede di via Foria per inagibilità dei locali.
La temporanea indisponibilità dei locali della Chiesa battista ha offerto, comunque, l’opportunità di sperimentare non solo un ulteriore incontro interconfessionale con la Chiesa valdese di via dei Cimbri, resasi disponibile ad accogliere la Scuola, ma anche l’apertura degli Enti locali, nella fattispecie della terza Municipalità, che ha messo a disposizione gli ambienti dell’ex mensa universitaria di via Mezzocannone. Nonostante tali difficoltà, ad ottobre del 2019 la Scuola di italiano per immigrati riprende i suoi corsi con dieci classi su tre turni di lezioni suddivisi in due sedi, fino a Natale. Alla ripresa, all’inizio del nuovo anno, la Scuola ritorna nella sua sede originaria, ma, dal mese di marzo 2020, come è noto, cominciano le limitazioni per la pandemia di coronavirus, che costringe alla sospensione di ogni attività per tre mesi, benché il contatto con gli allievi sia mantenuto vivo, utilizzando le opportunità offerte dalla rete, per iniziativa spontanea dei docenti, pur con i limiti connaturati a tale modalità comunicativa, non a tutti accessibile e non in grado di offrire gli stimoli che possono scaturire solo dalla realtà concreta e diretta dei rapporti interpersonali.
3. L’utopia diventa racconto
Le difficoltà vissute dalla Suola di pace nell’anno 2019/2020 (anno trentesimo di vita), alle quali si è fatto cenno, hanno determinato, d’altra parte, la maturazione di un’esigenza importante, quella di raccontare e di raccontarsi, per non disperdere il lavoro svolto, ma soprattutto per capire meglio il senso di quanto fatto in questi anni e le possibili prospettive future. Un racconto che non nasce da un intento autocelebrativo, ma solo dal bisogno di comprensione profonda, che la narrazione sa dare quando è finalizzata a mettere ordine nelle esperienze già fatte, per coglier pienamente il loro senso, che solo uno sguardo critico e retrospettivo può restituire. Raccontare, dunque, per capire e per capirsi, ma anche per condividere una storia ricca e stimolante, emblematica nei suoi risvolti sociali, etici e pedagogici.
La Scuola di pace napoletana, dunque, mossa da tale esigenza, nel corso dell’anno 2020, anno così buio per tutti noi, accende una luce, segno di vita, pubblicando uno splendido volume dal titolo: Scuola di pace a Napoli, Quaderno speciale per i 30 anni di attività, Marotta&Cafiero Editori, Napoli 2020, pp. 289.
In copertina non sono indicati gli autori perché si tratta di un’opera di scrittura collettiva, alla cui stesura hanno partecipato tutte le componenti protagoniste del progetto, che, raccontando la stessa esperienza da prospettive diverse, ma complementari, forniscono al lettore la possibilità di capire le motivazioni e gli scopi di un’attività di volontariato che, fondata sulla gratuità e sul disinteresse, è riuscita a sopravvivere all’inesorabile trascorrere del tempo, diventando segno di speranza per tutti quelli che l’hanno conosciuta.
Il libro (Quaderno 27) rivela, anche al primo sguardo, una struttura unitaria.
La pluralità degli autori non incide sulla coerenza della narrazione, che procede piacevolmente scorrevole, avvincente come un romanzo e stimolante come un saggio.
Si coglie, in ogni pagina, lo spirito che ha animato la Scuola sin dai primordi, nel lontano 1991, quando nacque formalmente l’Associazione Scuola di pace, spirito che si è conservato nel tempo, nonostante il mutare dei protagonisti e l’evoluzione della proposta formativa, divenuta, negli anni, sempre più ricca e composita [2].
Il volume si articola in quattro sezioni.
La prima sezione si intitola: Speciale 30 anni. La seconda: Alterità e alternative. La terza: Allegati. La quarta: Brochures.
Le prime due raccontano temi e contenuti. Le altre due propongono documenti e immagini.
La prima e la seconda sezione sono la narrazione di un’idea divenuta realtà in un trentennio di ricerca e di impegno. La seconda e la terza sezione raccolgono i documenti scritti e le immagini che rendono ‘storia’ la narrazione, restituendola al lettore nella verità del suo articolato spessore.
In questa sede non è possibile approfondire l’analisi delle singole sezioni del volume. Rinvio, pertanto, alla lettura diretta del testo per quanto concerne le ultime tre sezioni, invece aggiungo qualche dettaglio esplicativo inerente alla prima sezione, la più ampia e articolata. Essa ricostruisce, in prima istanza, attraverso il racconto e la testimonianza dei protagonisti, le vicende e le attività dell’Associazione nella fase embrionale e nel periodo precedente alla nascita della Scuola di italiano per immigrati, che rappresenta una sorta di ‘svolta’ nella qualità dell’offerta formativa.
A partire dal 1995 inizia la pubblicazione dei Quaderni della Scuola di pace, destinati a raccogliere, anno per anno, i contenuti sviluppati negli incontri generali con gli esperti e gli spunti di riflessione da essi scaturiti, in modo che nulla vada perduto e si conservi traccia della ricchezza del dibattito avvenuto: “un piccolo scrigno” per non disperdere il meglio delle attività svolte e per offrire la possibilità a coloro i quali in futuro si avvicineranno all’esperienza della Scuola di avere materiale di riflessione sui temi trattati.
La prima sezione del volume raccoglie, quindi, in una sorta di ideale antologia, un contributo per ogni annualità, tratto dai Quaderni, in grado di avvicinare il lettore alla tematica discussa in quell’anno. L’insieme degli articoli proposti, estrapolati da un contesto più ampio, appaiono complementari a chi legga il testo con attenzione, in quanto risulta facilmente individuabile il filo conduttore unitario che negli anni ha ispirato la scelta delle tematiche da affrontare e soprattutto la cifra ermeneutica adottata, quella della pace e della nonviolenza, in grado di offrire prospettive di indagine inattese, attraverso percorsi formativi particolarmente stimolanti.
Sempre nella prima sezione si racconta, inoltre, la nascita della Scuola di italiano per immigrati, fin dalla sua fase embrionale, con tutti i dubbi propri di chi sta per imboccare una strada non ancora esplorata, che si percepisce ardua, nonostante la buona volontà e le competenze professionali dei docenti volontari. Un momento germinale, non privo di incertezze, durante il quale era del tutto imprevedibile il successo che l’iniziativa avrebbe avuto in rapporto alla crescita reciproca di discenti e docenti, frutto del confronto tra culture ed etnie diverse e lontane; successo che, nella pratica, ha finito con il confermare la fecondità dell’idea, in astratto tante volte sostenuta, che la differenza sia un valore e una risorsa inestimabili.
Va ricordato, infine, che il successo della proposta formativa rivolta agli immigrati ha stimolato i docenti della scuola a pubblicare, nel 2012, un eccellente testo didattico per l’insegnamento della lingua italiana agli stranieri: Nuovi Italiani[3], espressione dell’esperienza maturata sul campo dai docenti che ha arricchito, in modo significativo, le loro pregresse competenze professionali.
In conclusione, riprendendo la metafora del dono, mi pare che anche la pace possa essere considerata un dono, che, in quanto tale, interroga in profondità la nostra coscienza, svegliandola dal sonno e dall’inerzia in cui spesso, quasi senza volerlo, essa precipita. La ricezione di un dono risveglia e gratifica, stimola e genera il bisogno di rispondere e restituire, innescando la dialettica della reciprocità che è alla base delle relazioni interumane costruttive, finalizzate al bene e alla crescita comuni. Se consideriamo la pace un dono prezioso, avvertiamo immediatamente l’esigenza di tutelarla e migliorarla, rendendo più profonde le sue radici, irrobustendo il suo tronco, in modo da arricchire la sua chioma con rami e foglie sempre più fitte e intrecciate. Un dono del genere non può trovarci passivi, ma metterà in moto le nostre migliori energie creative affinché, da ideale astratto, diventi valore concreto e dirimente, in base al quale avviare quei processi di cambiamento necessari per orientare le sorti del pianeta verso nuovi orizzonti.
Mi pare che la Scuola di pace napoletana abbia saputo accogliere il dono della pace e, nello stesso tempo, abbia attivato tutte le sue potenzialità creatrici perché questo dono diventi dono anche per altri, in un percorso di ricerca e di azione che, benché già trentennale, conserva intatta la sua freschezza e vitalità.
Mario Corbo
[1] Sull’esperienza della Scuola di pace napoletana rinvio anche al mio Scuola di pace a Napoli, 1991 – 2021, in “Il Tetto”, n. 346, Napoli 2021, pp. 81 – 89.
[2] Si rinvia alla lettura del testo per i dettagli storici sugli eventi che hanno preceduto la nascita della Scuola di pace vera e propria e per la conoscenza degli innumerevoli volontari che hanno partecipato al successo dell’iniziativa. In questa sede mi limito a ricordare solo gli autori della prefazione e della postfazione al libro, tra i fondatori della Scuola, testimoni, sin dalla prima ora, della sua storia, artefici e protagonisti della sua evoluzione: Aldo Bifulco (che ha curato la prefazione) e Corrado Maffia (autore della postfazione), che (mi sento di affermarlo senza alcuna retorica) incarnano, col proprio impegno instancabile e disinteressato, le istanze più nobili del volontariato, portando la testimonianza di una vita spesa per gli altri, che nutre e sa dare gioia, come traspare dai loro volti e dal loro carattere. Aldo Bifulco, oltre all’impegno nella Scuola di pace, dedica gran parte del suo tempo soprattutto al quartiere di Scampia, dove abita, dando vita ad iniziative di grande respiro sociale ed ecologico. Corrado Maffia, Presidente della Scuola, è da sempre la vera anima dell’Associazione, a cui dedica il meglio delle sue energie, coordinando le numerose attività nei loro risvolti programmatici e burocratici: ‘simbolo’ e punto di riferimento, sia all’interno che all’esterno, della Scuola e delle sue finalità.
[3] Nuovi Italiani, C. Maffia e M. Maffia (a cura di), Maarotta&Cafiero8 Editori, Napoli 2012, pp. 343 (prefazione di A. Zanotelli).