Guida Galattica per i lettori | Febbraio 2022

Contenuti:

  • AMICO ROMANZO
    Il romanzo-documentario di Raffaele di Stasio, a cura di Carmen LUCIA
  • SIPARI APERTI
    Gli archivi giornalistici e la storia di un grande attore siciliano: Turi Ferro, a cura di Emanuela FERRAUTO
  • COME SUGHERI SULL’ ACQUA
    La linea intera, la linea spezzata di Milo De Angelis, a cura di Ariele D’AMBROSIO


AMICO ROMANZO

Il romanzo-documentario di Raffaele di Stasio

a cura di Carmen LUCIA

Raffaele  Di Stasio,
Non c’è più paese,
Caffèorchidea Editore, 2020
199 pagine

Il romanzo Non c’è più paese di Raffaele Di Stasio è un documento narrativo sulla drammatica tragicità  del terremoto, che colpì l’Irpinia la sera del 23 novembre del 1980. 

Le pagine di questo testo, che si iscrive nel genere della non fiction novel, diventano la metafora di un debito d’amore dell’autore per una terra che appartiene a un’Italia di confine, un’Italia ferita a morte prima dal terremoto, poi dalla speculazione edilizia e dagli appalti, gestiti da costruttori e amministratori.

In questo romanzo-documentario la storia recente  diventa fonte d’ispirazione intima e solleva alla superficie della pagina mondi segreti e  sconosciuti, che la consapevolezza intima e la testimonianza dell’autore restituisce alla verità storica. Giannino, il protagonista è il filtro diegetico del romanzo: mentre i vigili del fuoco scavano tra le macerie,  vede i  resti dei cadaveri lasciati dal terremoto  e cammina  fra le macerie di Sant’Angelo. I frammenti del paese, i segni della morte e i presagi della fine, dell’oblìo diventano però come frammenti a cui legare i più segreti ricordi, che l’intensità del sisma sembra aver risvegliato: «Accussì nun tengo cchiù nienti, faceva Giovanni, mentre attorno a lui, animate da una vena di calore, apparivano altre ombre. Tra esse  riconosceva Rosinella, quando aveva vent’anni e sudava a ruotare la manovella per passare i pomodori nella macchinetta, e accantp a lei vedeva Michelina, che l’aiutava a preparare la salsa fatta in casa, e la caldaia sul tripode di ferro, il fuoco vivo che si mangiava i tizzoni. Michelì, provava a gridare, mmmesca le pummarole, e quedde re coppa iècchele rind’a la macchinetta! Michelina, girati i pomodori col mestolo, li tirava dall’acqua per gettarli nell’imbuto della macchinetta, poi Rosinella li passava, il sugo cadeva nel secchio sotto la tavola, e Giovanni guardava la salsa densa riempire le bottiglie di vetro. Ma quei ricordi gli tremavano dentro, con gli occhi fissi sulle bottiglie gettate a bollire nei bidoni di ferro sentiva che niente avrebbe fermato la morte » (pag. 142).

 I ricordi vibrano nella memoria, suscitando evocazioni simboliche e suggestioni di un universo femminino, custode di riti antichi, che sopravvivono nella memoria, come in un tempo durativo (domina l’imperfetto nel romanzo), che però si avvia verso una “ fine cosciente”, “la fine del passato, la mutazione delle cose, delle persone che –  il protagonista – aveva colto in tutta la sua realtà”  (p. 144).

 Il romanzo ricostruisce  un itinerario  morale  e culturale di un popolo e  diventa un romanzo d’identità, per la  realtà sociale politica ed ideologica che disvela. Centrale appare il tòpos della ricerca della verità e dell’analisi mnestica, come a riscoprire tra le macerie del terremoto le tracce di un passato che non c’è più eppure resiste.  Dopo il trauma del terremoto  avviene la sublimazione nella scrittura,  nella cui funzione trasfiguratrice l’esperienza vissuta può essere trasmessa più di quanto possa fare la testimonianza storica. Qui, come in altre testimonianze simili, pensiamo all’opera Le mani sulla città di Francesco Rosi, o al monologo di Paolini sulla tragedia del Vajont, lo strumento della testimonianza della letteratura, così come del teatro,  trasmette la verità dell’esperienza storica, più della documentazione cronachistica, come Manzoni ci ha insegnato.

 L’esercizio della scrittura, nel flusso affabulatorio del racconto,  diventa analisi del trauma e sublimazione, ricerca e compassione.



SIPARI APERTI

Gli archivi giornalistici e la storia di un grande attore siciliano: Turi Ferro

a cura di Emanuela FERRAUTO

TURI FERRO, IL PRIMATTORE. CATANIA E IL MONDO PER PALCOSCENICO,
a cura di Giorgio Romeo, DOMENICO SANFILIPPO EDITORE, 2021, €6,50.
(il volume è stato venduto a dicembre 2021 in edizione speciale, insieme al quotidiano La Sicilia. Oggi è acquistabile sul web o in libreria)

Cominciamo a parlare di questo volume partendo dalla fine, cioè dai ringraziamenti. Attraverso i nomi e gli enti citati tra le righe dei ringraziamenti comprendiamo quale processo di recupero delle fonti e quali collaborazioni sono intervenute in questo studio che è stato intrapreso dall’autore e curatore Giorgio Romeo, giornalista che collabora da tempo con La Stampa e La Sicilia, elegante musicista e fondatore del giornale on line Sicilian Post.

All’interno del volume compaiono nomi noti e di prestigio del giornalismo e dell’Università, firme che caratterizzano i contenuti di capitoli e paragrafi; la firma di Romeo compare solo in copertina e si specifica che i capitoli senza nessuna apparente attribuzione sono curati dall’autore stesso.

La stesura di questa pubblicazione nasce dalla commemorazione dei cento anni dalla nascita del grande attore siciliano Turi Ferro, attore non solo regionale, ma soprattutto nazionale ed internazionale. Non poteva mancare, dunque, all’interno dei ringraziamenti, il riferimento al Teatro Stabile “G. Verga” di Catania, luogo in cui nasce lo stesso Ferro, lasciando una speciale discendenza artistica a Catania, e luogo che ha visto riuniti attori, giornalisti e studiosi per organizzare un piano di lavoro che recuperasse delle fonti importanti e di natura eterogena per ricostruire in maniera originale la carriera di un attore contemporaneo.

All’interno dei ringraziamenti – ma è evidente anche all’interno dell’intero volume – l’Archivio del giornale La Sicilia diventa la fonte preziosa da cui attingere: recensioni, articoli, interviste, documenti che parlano di Turi Ferro e degli spettacoli e progetti di cui fu protagonista.

Siamo felici, dunque, di evidenziare un percorso di studi, di ricerca e di approfondimento che tenga conto delle fonti giornalistiche e televisive per ricostruire e dare lustro agli attori: queste fonti, un tempo considerate marginali o poco incisive in una ricerca sistematica, oggi emergono preponderanti, preziose e soprattutto numerose e ricche di informazioni.

All’interno dei ringraziamenti ritroviamo due nomi a noi noti: l’ex Direttrice dello Stabile catanese, Laura Sicignano, e la prof.ssa Simona Scattina, docente del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Catania, che hanno contribuito agli studi su Turi Ferro e che il Centro Studi Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo ricorda con affetto per la splendida accoglienza a Catania, a novembre 2021, durante la presentazione del volume Antologia Teatrale. Atto secondo, curato dalla prof.ssa Antonia Lezza, dalla sottoscritta e dalla dott.ssa Federica Caiazzo.

I ringraziamenti, dunque, appaiono come un vero e proprio contenitore di informazioni: un invito al lettore affinché cominci a leggere questo volume partendo proprio dalla conclusione per avere un quadro completo del lavoro svolto, prima di approfondire la lettura scorrendo tutti i capitoli.

I ringraziamenti si concludono ovviamente con il riferimento alla casa editrice, Domenico SanFilippo Editore e relativa Fondazione, ma si citano anche alcune studentesse che hanno stilato le loro tesi di laurea dedicando i loro studi a Turi Ferro.

Pubblicato ad ottobre 2021, il volume presenta questo titolo: Turi Ferro, il primattore. Catania e il mondo per palcoscenico. Una lettura, dunque, che allarga la visione all’internazionalità reale e simbolica della carriera di Ferro, una vera e propria scuola che parte dal concetto di “primattore”, riferimento antico ma fondante.

Il volume conta 123 pagine, alcune finali non numerate, ma lasciate in bianco con in calce il riferimento Annotazioni, dando al lettore la possibilità di annotare alcune citazioni importanti, così come allo studioso e allo studente; è diviso in nove capitoli, con relativi paragrafi, e si apre con una prefazione, firmata da Masolino d’Amico, e con una premessa affidata alle parole di Giorgio Romeo, chiudendosi con postfazione firmata da Simona Scattina.

La prefazione di d’Amico sembra essere il riferimento-guida per comprendere come si organizzerà il lavoro: «Turi Ferro fu attore di teatro e anche di cinema. Ma parlare del suo cinema può essere superfluo: chi si vuole documentare ha i film a disposizione. Lasciamola qui. Rievocare l’attore di teatro è invece, ovviamente, molto più difficile. Sì, ci sono pezze d’appoggio, reperti filmati, critiche di spettacoli scritte a caldo, con l’immediatezza del reportage. Ma in definitiva bisogna affidarsi a chi ha visto e ricorda. Molti lo hanno fatto, e fortunatamente esistono parecchie testimonianze».

Non solo articoli e recensioni, dunque, non solo filmati, ma anche le interviste più antiche o le recenti, per recuperare numerose testimonianze.

La premessa del curatore Giorgio Romeo aggiunge alcuni particolari e svela alcune scelte, attraverso una Nota metodologica: gli articoli tratti dall’archivio de La Sicilia sono citati attraverso estratti; nel caso di interviste e pezzi di approfondimento si è scelto di inserire il tutto integralmente; sono riportati contributi inediti del giornalista Filippo Arriva che seguì in tournée Turi Ferro; si cita, inoltre, Laura Cavallaro e i suoi studi sull’esperienza televisiva dell’attore siciliano.

Sebbene emerga costantemente un taglio cronologico che segue il percorso artistico di Turi Ferro nel corso della sua vita, ogni capitolo e relativi paragrafi si soffermano su blocchi di approfondimento ben definiti, che vanno dagli esordi radiofonici alla televisione, attraverso i grandissimi successi teatrali, arrivando al cinema. Si comincia dal racconto dei debutti catanesi fino al successo nazionale teatrale, ma soprattutto lo straordinario successo televisivo in cui si recuperano macchiette e personaggi fortemente caratterizzati che erano solamente immaginabili attraverso la voce radiofonica e poi riconosciuti attraverso le immagini televisive. Personaggi, dunque, in cui lo spettatore e l’ascoltatore si riconoscevano, grotteschi ed esagerati, ma memori di una tradizione antichissima che ci ricorda la scrittura di Petito, di Scarpetta e De Filippo e che in Sicilia, hanno creato un filone teatrale, recuperato in qualche modo da attore come Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina, per citarne alcuni, formatisi allo Stabile, ma di grande successo grazie alle televisioni locali. Oggi anche Enrico Guarneri con il suo personaggio di Litterio Scalisi, il paesano ignorante che vive disavventure fantozziane e che risolve con una filosofia di vita antica, comparso sulle tavole del palcoscenico e poi diffusosi attraverso le televisioni locali siciliane, ha raggiunto un cospicuo successo. Oggi è lanciato anche su youtube e sul web, contando qualche replica anche nei teatri nazionali. Tendenza al personaggio ripetitivo, popolare, fortemente caratterizzato e comico è costante in tutti i comici siciliani che oggi traggono successo attraverso trasmissioni televisive molto seguite, simili al modello “Zelig”, ma partono dalla radio e dai teatri minori attivi in tutta l’isola, ispirandosi ai maestri del passato e a modelli di antica genialità teatrale isolana.

Due elementi sembrano costanti in questo percorso: la presenza della moglie e attrice Ida Carrara, il successo di Liolà e lo splendido Giganti della montagna del 1966, in cui Turi Ferro interpretava Cotrone per la regia di Giorgio Strehler.

Si inseriscono in questo lungo lavoro, che si sofferma anche sul successo americano di Turi Ferro, alcuni nomi come Domenico Tempio (discendente del famoso poeta Micio Tempio, ma anche giornalista affermato e primo direttore della fortunata rete televisiva Telecolor), Tony Zermo (storico inviato speciale de La Sicilia), Ombretta Grasso (giornalista de La Sicilia), Domenico Danzuso (critico teatrale), Filippo Arriva ( giornalista professionista catanese, critico teatrale e cinematografico, ha collaborato con il Teatro Stabile di Catania.  Ricordiamo tra le sue scritture teatrali Il caso Notarbartolo e Vita, miseria e dissolutezza di Micio Tempio), Piero Isgrò (giornalista, saggista e scrittore catanese), Maria Lombardo (critico cinematografico presso il giornale La Sicilia e docente di giornalismo culturale presso l’Università degli Studi di Catania).

Il volume si chiude con la firma della prof.ssa Simona Scattina che, all’interno della postfazione ritorna, e ne siamo felici, sull’importanza della natura eterogenea del documento storico sottolineando l’importanza di questo archivio giornalistico e degli archivi in generale.

Recupera, inoltre, un percorso imprescindibile nello studio dell’attore, ossia la costante contestualizzazione storica, l’evoluzione sociale e culturale di un determinato luogo, elementi che possono essere analizzati anche attraverso lo studio della vita e della carriera di un artista. Nel caso di Turi Ferro, Scattina sottolinea il concetto di primattore, di modello, di maestro, di discendenza artistica e soprattutto di “Scuola”, intesa non solo come disciplina e studio, ma anche come punto di riferimento e guida costante anche per le generazioni future.

Concludo traendo spunto dalla conclusione della stessa Scattina: «Attenzione per la drammaturgia, assunzione del personaggio, intelligenza nelle questioni organizzative e legislative, curiosità per i nuovi media, e soprattutto amore per il pubblico: sono molte le linee in cui inseguire Ferro per costruire un ritratto d’artista a partire anche dalle immagini esterne (testimonianze, cronache, episodi vari redatti da testimoni, spettatori, conoscenti)».

(il volume è stato venduto a dicembre 2021 in edizione speciale, insieme al quotidiano La Sicilia. Oggi è acquistabile sul web o in libreria).



COME SUGHERI SULL’ ACQUA

La linea intera, la linea spezzata di Milo De Angelis

a cura di Ariele D’AMBROSIO

Milo De Angelis
 
LINEA INTERA,
LINEA SPEZZATA
 
MONDADORI – Lo Specchio
2021, Milano
Pagine 112
euro 16,00
 
Info:
https://www.oscarmondadori.it/cerca/?_s=milo+de+angelis&type=sw_book&posts_per_page=12

La linea intera, la linea spezzata di Milo De Angelis

a Peppino Lancellotti

a cura di Ariele D’AMBROSIO

Mentre alcuni addetti ai lavori, alcuni eruditi del settore e del fare poetico, cianciano, cincischiano ancora e a ondate nei tempi rituali delle polemiche, del “chi è e chi non è”, coi tentativi di organizzare gruppi ed ‘ismi’ ideologicamente più o meno sostenuti, la poesia, quella seria e convincente continua noncurante a riprodursi, malgrado il suo mare di scorie.

Mentre la polemica reiterata dal tempo dei tempi, fa ogni volta capolino con la tediosa e amara conclusione del “tutto già fatto dal cervello alla macchina”, come exitus mortifero della poesia, insieme alla sua “oramai inutilità antropologica, culturale e sociale”, la poesia, quella seria e convincente continua noncurante a riprodursi, malgrado il suo mare di scorie.

Mentre, già da tempo, anche e purtroppo, con l’”aiuto” di Fernanda Pivano, si cerca di sostituire la poesia con la poeticità dei testi di canzone dei cantautori, per una visibilità pop, ormai già passata dell’una, ed una rilevanza culturale degli altri ancora mostrata, tentando di recuperare un mondo occitano estinto e fantasma e che il più delle volte non gli appartiene, la poesia, quella seria e convincente continua noncurante a riprodursi, malgrado il suo mare di scorie.

Ma perché cominciare con questa, che potrebbe sembrare una piccola “arringa” che usa l’epifora come figura retorica? Perché penso sia sempre possibile parlare della poesia entrando volta per volta nel vivo della poetica del singolo autore, delle sue singole poesie pubblicate in quel determinato tempo, in quel determinato libro, e che le si studi senza preconcetti, per almeno tentare di “collocarle” e “definirle”, con tutte le difficoltà che si presentano in questo periodo storico-politico, nazionale e globale, di parcellizzazione, frantumazione e frammentazione di ogni cosa. E qual è il libro serio e convincente che desidero presentare ai lettori? È quello di Milo De Angelis intitolato Linea Intera, linea Spezzata.

Ma perché un’ulteriore recensione a Milo De Angelis, poeta già ampiamente storicizzato ed editato da una casa editrice come la Mondadori? Perché malgrado la sua notorietà di poeta, e la “forza” di diffusione che può avere un’editrice maggiore come la Mondadori, questo tipo di scrittura dimora all’interno di una letteratura che definirei d’essai. Perché la poesia di autori persino classici, resta oramai solo all’attenzione dei pochi, al mercato del nulla, alla lettura degli esigui, e dove solo un certo orgoglio fa del poeta un antimercato, con l’urlo silenzioso che ancora contraddice la merce come uso e consumo dell’effimero.

Si potrà ricorrere a wikipedia per rintracciare subito la sua consistente produzione, le definizioni della sua poetica, la sua biografia, la sua bibliografia critica a cui afferire per una più colta consapevolezza del suo fare di poeta, – https://it.wikipedia.org/wiki/Milo_De_Angelis – ma preferisco, per questa recensione, soprattutto immergermi in questo suo libro che mi incuriosisce cominciando dal titolo Linea intera, linea spezzata.

Quattro capitoli I II III IV che accolgono sessantasette poesie, con titoli sempre in lettere maiuscole. Scelta del poeta o della grafica editoriale? Non so se, leggendo man mano, riuscirò a rispondermi. Versi quasi sempre molto lunghi, e si entra più che uscire da una forma di poesia prosastica.

Non mi meraviglia che in questo clima, e nella migliore delle ipotesi, di poesia d’essai, come dicevo, l’epigrafe “archeologica” al quarto capitolo è di Arrigo Boito che così ci dice “… corre elevando impetuosi gridi / una pallida giostra / di poeti suicidi”.  E tutto mi pare coerente con quanto detto fin’ora. Ma è il titolo del primo capitolo su cui voglio soffermarmi: Linea intera, linea spezzata, che poi dà il nome a tutta la silloge. Cos’è una linea intera? Un orizzonte? Ed una linea spezzata non è una vita che muore? Una speranza visionaria che ignora la verità di una curva o che si rincorre nel cerchio illusorio dell’eterno  e che utopicamente si oppone alla realtà dell’indefinito e della sparizione?

Piccole storie, luoghi precisi, circoscritti, piccoli segmenti di vissuto e di ricordi, e che mentre leggo, sussurro come fossero monologhi sulla piattaforma di legno di un teatro vuoto, e non è una prova d’attore, ma una richiesta d’ascolto intimo, pudico, casto. 

Il titolo in alto, la poesia in basso, dalla metà pagina in giù. Del I capitolo LINEA INTERA, LINEA SPEZZATA e da T.E.C. «… E allora corri verso il trentuno, / luce di tutti i portoni e di tutte le dimore, / solitario numero primo che arresta /  il tuo cammino e ti bisbiglia “tra poco scorderai, / scorderai queste parole, scorderai tutto / di te stesso”.»; ed ancora SALA VENEZIA «… e allora entri in questa sala di via Cadamosto, / saluti gli ultimi giocatori di biliardo, / pronunci lentamente un commento preciso sulle sponde / o sull’angolo di entrata, fai una piccola scommessa / e sorridi e ti acquieta il panno verde / come un prato dell’infanzia, ti acquietano i bordi / …»; ancora, e qui il verso si accorcia in STILLE NACHT che scrivo per intero  «Hai invocato il sonno, ma il sonno / era acqua che si spezza, / un’alba sottoterra / e ancora quel / terrore di chiudere la porta. Pregavi. / Ma non per risorgere o per un altro / sogno celeste. Chiedevi un’altra giornata. / Chiedevi di non compiere adesso / il volo deciso dai lampi, / chiedevi d’illuminare l’ora solitaria, /  chiedevi un’arte più serena di te, / un tenero negozio umano / dove troverai le stagioni / perdute che rinascono stasera. / Oh congiungere il respiro / al tuo segno zodiagale, / appoggiare la tua storia / a una cittadinanza, vivere per sempre / la notte silenziosa!».

Un innovatore certamente, anche “imitato” poi da tanti epigoni ed epigonici che ancora fanno capolino qua e là. Ma non è questa la sede per parlare di “dis-connessioni”, di “sperimentalismo rovesciato”, di “spostamento dei rapporti poetici dalla funzione sostantivale a quella aggettivale”, non è questa la sede per spiegarne i passaggi e le innovazioni che ha apportato nella poetica del secondo novecento. Qui desidero soltanto percepirne i ponti, le interconnessioni, i cortocircuiti che si collegano al mio sentire, nella speranza di poterli comunicare al lettore.

Ebbene, prima nei due frammenti e poi nella poesia per intero non mi sfugge lo spiritualismo di questo poeta di grande spessore. La storia dei distacchi è sempre presente, e non a caso la poesia a pagina ventinove è dedicata a Piero Bigongiari: «… e il tempo scolpisce il nostro incontro, / trasalimento di rime contro il nulla, / e noi vediamo i nostri versi / in un cumulo di sassi, portiamo / il destino in un esametro.».

Non è mai una narrazione narrativa, ma è un raccontare il ricordo, raccontare il sentire del momento come se si attraversasse il silenzio che si fa un interiore sonoro. Mentre, la sapienza delle spezzature crea minime sospensioni, attimi di spaesamento che ti spingono all’interno di una nebbia che cerca. I versi si succedono nella fluidità dei significanti per questa straordinaria capacità di organizzare gli inciampi: in un cumulo di sassi, portiamo / il destino in un esametro.

Non trovo mai metafore, ma solo un dire concreto di cose e fatti, quadri che si vedono, sculture che si toccano. C’è un rigore formale che lascia stupefatti, un rigore in cui perdersi, in cui emozionarsi senza nemmeno sapere perché. Ma il perché c’è, e non è retorica, è il perché del vivere umano all’interno del mistero che ti penetra e ti fa suo.

In NOVE TAPPE DEL VIAGGIO NOTTURNO, Milo De Angelis scrive lettere. Ne copio una «E poi li hai visitati tutti, uno per uno, i cinema sperduti / nelle periferie, i poveri locali di quartiere / quelli che davano due film per centoventi lire / e una vecchia cassiera dalle labbra viola / strappava per te il prezioso bigliettino e tu entravi / e c’era sempre un uomo con le caramelle in mano / e una fanciulla di un’altra età, smarrita in quella sala / che ti parlava di giostre e tamburelli e ti diceva / lui non è tornato, lui non è tornato e io sono / la voce del tempo, la voce del tempo e del distacco / che si ripete in ogni tempo e mi appoggiava la testa / sulla spalla e intonava una canzone / dalle parole scure e a lungo durò la melodia, a lungo, / e alla fine divampò la solitudine.».

Continua a scrivermi lettere, lettere di nostalgia, per ciò che è sparito o sparirà inesorabilmente. Credo che questo libro sia sorprendentemente romantico, e non me vogliano i letterati di turno. Romantico e misterioso, come misteriosa ma non criptica è stata ed è per alcuni versi la sua poesia. Romantico per il desiderio amorevole di vita che diventa triste andando via. Un cortocircuito temporale, che pur utilizzando un lessico assolutamente semplice, si amplifica in un tempo visionario che mi riporta ad un quadro preciso di Balthus. Un quadro in cui si vede una strada di botteghe e persone fermate nell’attimo: un giovane che agguanta alle spalle una ragazza con forza, un cuoco con il toque sul capo ed un signore che passano camminando nella stessa direzione, una bambina che gioca con racchetta e palla, due donne, una dietro l’altra in prospettiva, una con un copricapo crociato, che vanno nella direzione opposta del signore e del cuoco, un operaio di traverso, che tagliando in diagonale lo spazio trasporta in spalla una tavola di legno, un bambino sullo sfondo che s’arrampica con cappellino e pompon. Ma quello che meraviglia, e con un ponte mi riconduce nella poesia di De Angelis, sono le prospettive incantate, cristallizzate nei colori caldi e vivaci, il desiderio di fermare il tempo con la consapevolezza del suo scorrere inesorabile fino alla sparizione di quelle prospettive e di quei colori. Insomma una poesia visionaria, come dicevo, ma che trova le sue immagini nella realtà. E siamo ai DIALOGHI DELLE ORE CONTATE, il III capitolo, da cui mi piace estrarre frammenti e segmenti di frammenti: «… le uova di luce scossa.»; «… dall’inutile / casa elegante alle spine della bellezza rigorosa. …»; «… “Siamo su un confine tremendo, / tra un nulla e l’altro nulla, e non possiamo abbracciare / il sacro cuore e i trafficanti della fede.” …»; «… da che parte stai da che parte stai e io ti dicevo / sorridendo che la poesia non sta dalla nostra parte / ma in un luogo tremendo e solitario, dove nessuno / resta intatto. …»; «… “Non lo so, prima devo scordare / tutto, tutto deve essere scordato.”». E questo dove nessuno / resta intatto si avvolge nel desiderio impossibile dell’oblio, di nomi di uomini e donne non dimenticati.

Non c’è mai l’uso di un lessico ambiguo o generico, ma sempre preciso nell’azione e visionario nell’espressività emotiva.

Siamo all’ultimo capitolo AURORA CON RASOIO. Sarà il rasoio che avrà spezzato quella linea intera? E questa frattura avrà mai ricondotto il pensiero all’aurora? «… E poi il giallo. Sentivi ogni alito del giallo. / E il giallo, lo dicevi sempre, non è solo un colore. / Il giallo grida. Il giallo entra / nei morti e li dissolve, è il capogiro che non torna / più da noi. …»; «… la serietà / della morte, ora ci attende con le sue mani oscure e un fermaglio / di legno nei lunghi capelli e ora usciremo dal teatro / e cammineremo da soli nel buio fino al luogo cruciale, / fino alla casupola vicino al fiume, dove finiremo / attenti a non sporcare nulla di sangue, / costringeremo il nulla a svelarsi.». Il giallo della morte, qui, è uno stupore luminoso, perché il giallo è del sole, capace di riflettersi anche sulla luna, sul nulla, sul distacco. È lo spiritualismo che si meraviglia alla vita, e se la tiene accanto e dentro e la coltiva. Ed allora per un attimo andiamo a ritroso: «… “Perché c’è un’armonia invisibile / e potente dove sei accolto anche tu, / anche tu che hai scelto il nulla” …».

Ariele D’Ambrosio

Napoli febbraio 2022