Pandemia, crisi e ripartenza dei piccoli teatri

L’ALTRO SGUARDO

Pandemia, crisi e ripartenza dei piccoli teatri

di Antonio Grieco

Segnali di ripresa dentro la crisi

Il rallentamento della diffusione del Covid-19 e la riapertura delle sale in presenza,  potrebbe finalmente far sperare in una ripresa generale dello spettacolo dal vivo, ma l’impressione è che la crisi causata dalla  pandemia non sia  ancora finita e rischi di avere effetti negativi di lungo periodo soprattutto per i piccoli teatri, che in quest’anno e mezzo di lockdown si sono sentiti letteralmente abbandonati dalle istituzioni. Ciò che è venuta meno è stata infatti una incisiva politica culturale per l’intero comparto, e gli stessi ristori, del resto, arrivati spesso in ritardo, sono apparsi insufficienti a sostenere le migliaia di lavoratrici e lavoratori (quasi sempre precari), che con grandi sacrifici, e utilizzando spesso inedite piattaforme virtuali, hanno comunque consentito al teatro di esistere e resistere. Da qui le manifestazioni dei lavoratori del settore in tutto il Paese, che hanno avuto il merito di aver acceso  le luci dei riflettori su un mondo ai più sconosciuto. Ora, si spera nel Green Pass e nei provvedimenti del governo che consentono di riempire completamente   cinema, teatri, sale da concerto, ma per molti attori, artisti, registi, scenografi, tecnici, operai, non sarà facile uscire da questo lungo periodo di crisi senza una più generale svolta culturale negli indirizzi politici programmatici, tenendo conto, tra l’altro, come ha affermato in più occasioni Mario Gelardi, direttore artistico del Nuovo Teatro Sanità – che «il ministero non sostiene le sale con meno di cento posti».  Occorre qui non dimenticare che in questo terribile anno pandemico anche a Napoli la protesta si è fatta sentire, coinvolgendo soprattutto quelle comunità teatrali che negli ultimi decenni hanno operato in simbiosi con il difficile contesto territoriale; a questi gruppi si sono aggiunti vivaci Centri sociali presenti in città (come ad esempio l’ex Asilo Filangieri e l’Ex Opg) e gli operatori dei più importanti teatri cittadini, che hanno denunciato l’estrema precarietà della loro condizione e gli irrisolti, storici problemi strutturali del comparto. Certamente, per aiutare i piccoli teatri si poteva fare di più anche a livello locale. Ci si aspettava, ad esempio, che il programma del Campania Teatro Festival – che prima si chiamava Napoli Teatro Festival Italia e solo l’intenzione di dare ulteriore visibilità all’istituto regionale e al suo Presidente spiega il cambiamento di un nome legato, come è noto, alla partecipazione della città, nel 2006, al bando ministeriale per un evento teatrale di respiro internazionale – offrisse spazi ancora maggiori ai numerosi gruppi teatrali sperimentali presenti nel territorio metropolitano e regionale. Invece, nella sua vasta  programmazione, il Campania Teatro Festival, in generale, sembra abbia poco avvertito l’urgenza di dare visibilità e sostegno ad esperienze teatrali “ai margini” che continuano ad operare nell’assoluto isolamento istituzionale in molti piccoli centri della Campania; come pure, anche in questa occasione, non si è pensato di ricordare almeno alcuni degli autori e artisti napoletani – come, giusto per citarne  qualcuno, Roberto Bracco, Gennaro Pistilli, Leo de Berardinis, Antonio Neiwiller, Gennaro Vitiello , Annibale Ruccello – che in periodi diversi del Novecento hanno fatto grande il nostro teatro. Insomma, ancora una volta – pur se consideriamo di indubbio interesse la seconda fase della programmazione del Campania Teatro Festival 2021 con la presenza di personalità di riconosciuto valore internazionale – abbiamo la sensazione che si sia persa un’importante opportunità per contrastare quell’oblio che negli ultimi decenni non ha risparmiato nemmeno quelle esperienze, uniche per la loro originalità, che continuano a parlare a nuove generazioni di attori di un altro modo  di intendere e di vivere la scena.

 Luoghi e funzione del teatro sociale

Questo per ciò che riguarda una grande area metropolitana come quella napoletana, ma la crisi dei teatro messa a nudo dal Covid-19, come dicevamo, è ben più profonda e ha investito anche quei centri lontani da più rilevanti  aree metropolitane, dove talvolta associazioni e piccole compagnie teatrali vanno in scena con la sola intenzione di divertirsi e avvicinare un pubblico che difficilmente avrebbe la possibilità di raggiungere città dove il teatro rientra nella quotidianità di una parte non esigua della comunità. Si tratta di un tessuto teatrale comunitario omogeneo che svolge una importante funzione sociale: per la sua capacità aggregante, per il suo spirito inclusivo, e per la volontà – senza alcuna intenzione di entrare in concorrenza con il professionismo teatrale – di mantenere un filo aperto, diretto, tra la scena e gli spettatori,  in luoghi dove, appunto, sembrerebbe impossibile dare continuità all’attività drammaturgica. C’è poi un altro aspetto di cui tener conto in relazione all’impegno di queste compagnie teatrali informali. Attraverso la pratica teatrale e la formazione artistica, abbiamo oggi un vitale bisogno di “rinascere”, di opporci alla deriva mercantile delle nostre società messe in ginocchio dal Covid.  In tal senso, queste associazioni senza scopo di lucro, pur con i loro innegabili limiti, possono aiutarci a riconoscere il valore del gesto creativo all’interno dei poco rassicuranti processi socio-culturali che investono il mondo globalizzato.  Ciò è in qualche modo possibile perché, come  sosteneva Meldolesi, «l’impegno del teatro respira di un respiro più profondo della società contingente» (Claudio Meldolesi, Ai confini del teatro e della sociologia, in Teatro e Storia , ottobre 1986). Naturalmente, non sono mancate critiche ad un settore, dove le rappresentazioni sono spesso “volontaristiche” e lontane da standard professionali, anche se – crediamo sia giusto ricordarlo – in questi gruppi non mancano pregevoli eccellenze artistiche.

Forme partecipate di resistenza creativa

Ma il punto non crediamo sia questo. Riguarda invece la volontà di queste associazioni di mantenere viva la memoria collettiva del teatro in realtà periferiche dove chiudersi in casa e assistere passivamente a stucchevoli talk-show televisivi, costituirebbero le uniche alternative alla scena. Nel constatare la loro diffusa presenza nel territorio campano e meridionale, si resta innanzitutto colpiti da un elemento che viene talvolta trascurato: il legame sociale, vale a dire la possibilità, attraverso il teatro, di aprirsi all’incontro con l’Altro. Ora, per capire quanto rilevante sia la loro diffusione nel nostro Paese, basta fare un piccolo esperimento: indirizzare – come per un gioco – la punta di una matita a caso sulla cartina geografica di una delle nostre regioni. E allora scopriremo che anche nel più piccolo borgo montano esiste una compagnia teatrale attiva, e che non di rado sotto l’etichetta di associazioni amatoriali o dilettantistiche, si celano realtà di notevole interesse artistico: si pensi, in particolare, alle numerose “officine teatrali” di periferia, dove si tengono periodici laboratori interdisciplinari con la partecipazione di giovani sottratti alla strada; oppure, alle storiche compagnie dialettali che continuano a proporre testi di autori attori della nostra tradizione – da Eduardo a Scarpetta, da Petito a Viviani.  Anche scorrere con attenzione l’elenco delle compagnie associate alla UILT (Unione Italiana Libero Teatro -Teatranti per Passione),  ci consente  del resto di riflettere sulla  inaspettata presenza di gruppi teatrali che hanno come scopo una ricerca interdisciplinare che guarda con interesse alle espressioni più vive delle avanguardie storiche del Novecento. Così, in aree ai margini della scena ufficiale, incontriamo esperienze, come ad esempio quella della “Compagnia Collettivo Acca” (Arte e Cultura Comuni dell’Agro) di Pagani, sorta per volontà di Carmine Califano, che portano avanti da decenni un’intensa attività – si legge nella scheda programmatica – di laboratorio d’avanguardia dei linguaggi performativi per giovani artisti in uno spazio autogestito. Sulla stessa linea, e al di là del «Teatro per passione», scopriamo gruppi territoriali poco noti, come l’associazione teatrale “I Giovani della Piazza” di Terzigno, guidata dal regista Nando Zanga, che in questi mesi ha ripreso l’attività con spettacoli itineranti, quasi ripercorrendo l’idea di decentramento artistico che caratterizzò il “Giugno Popolare Vesuviano”, diretto negli anni Settanta-Ottanta con lungimiranza da Gennaro Vitiello (si veda al riguardo, Rosaria De Angelis, Il Giugno Popolare Vesuviano, Libreria Dante e Descartes e centro studi sul Teatro napoletano, meridionale ed europeo, 2013).  L’associazione, ci dice Zanga, ha incontrato difficoltà oltre che finanziarie anche logistiche (il teatro di San Giuseppe Vesuviano dove si appoggiava il gruppo è stato abbattuto per far posto ad un supermercato) ma continua ad operare con entusiasmo dando vita a diversi progetti, tra cui particolarmente significativo quello (ancora in itinere) di un video sul femminicidio; di particolare interesse, sempre nella zona vesuviano-nolana, è anche l’esperienza dell’associazione teatrale “La Carrozza d’oro -Teatroarte” di Scisciano, nata dall’incontro tra Luana Martucci, Pasquale Napolitano, Alfredo Giraldi, Leonardo Mazza e Daniela Rossetti, che da oltre dieci anni lavora sulla formazione e pedagogia teatrale,  mettendo in scena in Italia e all’estero spettacoli molto  originali,  come Radio Libertà,   da un testo dello storico Giuseppe Aragno. Tra l’altro, ci piace segnalare la costante attenzione di questo gruppo – recentemente entrato a far parte dei Soggetti accreditati dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero della Cultura per la promozione dei “Temi della Creatività” – all’opera di Roberto Bracco, il grande drammaturgo napoletano oggi quasi dimenticato dalla sua città. Se poi ci allontaniamo dalla Campania, incontriamo al Sud  esperienze non meno sorprendenti, come “Il Teatro delle Bambole”: un piccolo gruppo barese nato nel 2003 – più volte a Napoli anche in residenza alla Fondazione Morra, dove è conservato l’archivio della propria produzione artistica – che lavora da anni a una ricerca sul suono, sulla voce e sul canto applicata all’arte drammatica,  guardando alle esperienze più radicali del Novecento europeo, come la poetica di Hermann Nitsch, tra i massimi esponenti dell’Azionismo viennese.

Un patrimonio artistico e culturale da non disperdere

Abbiamo insomma l’impressione che – come suggerì Paolo Ricci al convegno regionale Per una nuova politica dello spettacolo, che si tenne a Napoli nei primi anni Settanta dello scorso secolo (Cfr. Paolo Ricci, Partecipazione popolare, condizione per un teatro libero, in Una politica per lo spettacolo.Atti del I Convegno Regionale, Villa Pignatelli – 27-28 ottobre 1972) – un discorso sui circuiti del teatro non possa prescindere da un censimento  delle forze culturali e artistiche che hanno il merito di aver promosso una vita teatrale diffusa nell’area campana e meridionale.  In definitiva, anche questa nostra breve inchiesta – inchiesta molto parziale che sarebbe opportuno ulteriormente sviluppare  – ci conferma che anche queste compagnie fuori dai circuiti ufficiali – di cui si conosce poco e che in genere non rientrano nei sostegni del Fus (Fondo Unico dello Spettacolo) – debbano, anch’esse,  in qualche modo essere aiutate a superare le difficoltà di questa fase, sia per l’importante funzione sociale che svolgono (sostituendosi non di rado ad uno Stato assente) nelle aree più depresse del nostro Paese, sia perché il teatro genera conoscenza (di noi stessi e del mondo in cui viviamo); questa funzione del teatro, che possiamo in qualche modo definire terapeutica, viene talvolta poco considerata, ma noi, proprio qui a Napoli, oltre ai numerosi teatri sperimentali presenti in ogni quartiere, nell’attività del gruppo “Scena delle donne” di Forcella (guidato da Marina Rippa) abbiamo un esempio particolarmente emblematico di un modo diverso di concepire l’azione performativa; un’esperienza che dal basso, e a partire dall’autodeterminazione femminile, continua da anni a dar vita a un inedito processo relazionale e creativo. Per evitare, insomma, che dopo questa tragica emergenza sanitaria, si dissolva un così importante e variegato patrimonio artistico e culturale, pensiamo che i lavoratori dello spettacolo debbano continuare a far sentire la propria voce elaborando proposte comuni per la difesa dei propri diritti e per favorire dovunque la ripresa dal vivo delle attività teatrali. Nello stesso tempo, un  accurato censimento delle compagnie presenti nei piccoli come nei grandi centri urbani, siamo convinti possa aiutare le nostre stesse istituzioni a comprendere in quali condizioni (e con quali risorse e strumenti) queste comunità possano continuare a trasmettere l’antica arte della scena alle nuove generazioni, provando a contrastare con la loro appassionata «resistenza creativa», degrado e marginalità sociale, regalandoci talvolta emozioni con pochi mezzi e tanta passione per il teatro.