ELVIRA (ELVIRE JOUVET 40) – di Emanuela Ferrauto

Teatro Bellini Napoli

ELVIRA  (ELVIRE JOUVET 40)
 
Dopo il debutto nel 2016 e la tournée nazionale e internazionale, lo spettacolo diretto da Toni Servillo, ispirato alle parole dell’attore francese Louis Jouvet, torna sul palcoscenico napoletano del teatro Bellini. La storia del testo drammaturgico, presentato nella traduzione italiana firmata da Giuseppe Montesano, spettacolo diretto, oltre che interpretato, da Toni Servillo, inizia proprio nel 1940, data indicata nel titolo, o sottotitolo che ci fornisce alcune delle informazioni fondamentali. Andiamo, dunque, con ordine, partendo dalla prima metà del Novecento per approdare, poi, alle scelte interpretative e registiche di Servillo e dei giovani attori che lo accompagnano. Proprio nel 1940 Jouvet tenne sette lezioni di recitazione, interpretazione, e quindi di analisi del testo, presso il Conservatoire National d’Art Dramatique, rivolgendosi ad una giovane attrice di nome Paula Dehelly, allieva del terzo anno. La natura orale delle informazioni diffuse da Jouvet fu fissata su carta grazie al lavoro della stenografa Charlotte Delbo, assistente dell’attore, poi deportata e salvata da Auschwitz. Le lezioni, così trascritte, nel 1986 diventarono testo drammaturgico, grazie al lavoro di Brigitte Jaques-Wajeman, che immaginò un dialogo scenico tra Jouvet, attore, regista, capocomico, e tre allievi. Tra questi, la ragazza diventa Claudia nella versione italiana, interpretata da Petra Valentini, mentre i due allievi, Octave e Léon, sono interpretati rispettivamente da Francesco Marino e Davide Cirri.
L’ambientazione anni ’40, dunque bellica, è evidenziata solo attraverso gli abiti e la presenza di una radio, interlocutrice tra gli attori e la realtà storica esterna che è elemento apparentemente assente all’interno di un ambiente serrato, atemporale e onirico, tanto da trasportare attori e spettatori lontano da ogni contatto con gli eventi reali. La regia sceglie di interagire con la platea, muovendo gli attori solo sul proscenio, o attraverso le scale di collegamento e sulla prima fila di poltrone, ricoperta quest’ultima da un telo bianco. L’immagine di un teatro chiuso in cui si svolgono le prove è chiara, ma è ancor più evidente la lezione metateatrale e di sfondamento della quarta parete che pervade questo spettacolo, segno della cultura teatrale della metà del Novecento. Si mantiene, inoltre, una certa ambivalenza su ciò che è reale e su ciò che è finzione: situazioni, personaggi e ambientazioni sono doppi, dagli attori che interpretano gli allievi di un’accademia teatrale, impegnati a loro volta nelle prove, al regista/attore che a tratti sembra rivolgersi realmente al pubblico presente in sala, invitando i suoi giovani allievi a concentrarsi sullo scopo principale, ossia la comunicazione agli spettatori attraverso una profonda immedesimazione nel sentimento del personaggio. In questo caso Jouvet si sofferma sull’analisi e sull’interpretazione del monologo di Elvira all’interno del Don Giovanni di Molière, connotando il testo di un ulteriore parallelismo che rende l’analisi drammaturgica complessa e ricca: dalle lezioni teoriche e tecniche di Jouvet si passa trasversalmente ad un testo teatrale più antico, per poi rielaborare il tutto attraverso la drammaturgia contemporanea di Brigitte Jaques, per arrivare infine alla versione italiana, mai pubblicata, rielaborata a sua volta dalla visione scenica della regia di Toni Servillo. Lezioni, dunque, rivolte agli attori – per questo motivo questo spettacolo è molto apprezzato da coloro che operano in questo settore -, e drammaturgia utile e interessante anche per il pubblico, o per quella fetta di studiosi e appassionati dell’evoluzione del testo teatrale o degli adattamenti. Gli spettatori apprezzano l’interpretazione dell’intera compagnia italiana, applaudendo ripetutamente ad ogni cambio scena, non riuscendo, però, a cogliere fino in fondo l’evoluzione interpretativa, la crescita dell’allieva, l’analisi psicologica del personaggio. Si percepisce, infatti,  una reiterata dilatazione del tempo, funzionale ad evidenziare la crescita dell’attrice e gli effetti della tecnica del maestro, ma la ripetizione della scena allenta, in alcuni momenti, l’attenzione degli spettatori. La prova di uno spettacolo, insieme alla tecnica della ripetizione, diventano a loro volta spettacolo e ogni cambio di scena, evidenziato con il buio e con l’indicazione della data, rispetta la natura “cronachistica” della stesura stenografica delle lezioni.
L’intensità della gestualità e della voce sembra crescere o decrescere lungo lo svolgimento dello spettacolo. Da un lato Toni Servillo sembra utilizzare un accentuato movimento delle mani, che accompagna la recitazione e le indicazioni agli allievi, come se ci trovassimo davanti ad un direttore d’orchestra con i suoi musicisti. Anche i giovani attori, dall’altro lato, ridimensionano man mano la gestualità e l’irruenza, rallentando i loro interventi a favore di lunghi monologhi/lezioni da parte di Servillo/Jouvet. 
Il progressivo aumentare dell’eloquenza di Servillo e del silenzio dei giovani allievi è bruscamente interrotto, soprattutto nel corso delle ultime scene, dalle voci che provengono dalla radio. La scena vuota accoglie il vociare delle masse durante i comizi nazisti: questo sottofondo spinge verso un accelerazione dei tempi, simbolica ovviamente, che zittisce i due allievi e fa evolvere l’attrice verso una compiutezza nell’immedesimazione che non giunge mai all’obiettivo preposto. La guerra e la violenza sembrano bloccare, come i Giganti pirandelliani, l’arte teatrale, l’analisi introspettiva dettata dai tempi, il riconoscimento del sentimento di un personaggio affinché questo diventi tutt’uno con l’attore. La stessa recitazione non è più declamatoria, ma il naturalismo, sebbene ancora affettato e rigido agli occhi dei nostri spettatori, stava attraversando il nuovo confine del teatro novecentesco, apparentemente lontano da quegli eventi che influenzarono direttamente la vita di Jouvet.
Emanuela Ferrauto
 
ELVIRA
(Elvire Jouvet 40)
Teatro Bellini Napoli
8-20 gennaio 2019
di Brigitte Jacques © Éditions Gallimard
da Molière e la commedia classica di Louis Jouvet
traduzione Giuseppe Montesano
con Toni Servillo, Petra Valentini, Francesco Marino, Davide Cirri
costumi Ortensia De Francesco
luci Pasquale Mari
suono Daghi Rondanini
aiuto regia Costanza Boccardi
regia Toni Servillo
coproduzione Teatri Uniti, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa