AMORE – di Emanuela Ferrauto

Ph Paolo Galletta

AMORE di Spiro Scimone
Il matrimonio è la tomba dell’amore: questo è il primo pensiero che sorge spontaneo nella mente dello spettatore non appena si comincia a dipanare il meccanismo ossessivo, insito nel nuovo spettacolo del duo siciliano Scimone/Sframeli.
Testo di Spiro Scimone e regia di Francesco Sframeli, AMORE è insignito del duplice premio UBU 2016: “Miglior allestimento scenico” per Lino Fiorito, “Novità o nuovo progetto drammaturgico” per Spiro Scimone.
Cominciamo, dunque, proprio dall’allestimento scenico di questo spettacolo, evento che riempie la sala dello storico Teatro Nuovo di Napoli, dall’8 al 12 febbraio. Due talami nuziali, due lapidi: scena scarna, completamente vuota ed occupata al centro da due lastroni di marmo, con crocette- abat jour, corredate da catenina per accendere e spegnere, e due enormi cassetti che contengono le lenzuola, bianche, candide, come quelle degli obitori.
La storia di due amori differenti ma giunti al termine della loro intensità, non perché le due coppie siano in procinto di lasciarsi, ma perché la vita, come è naturale, sta per terminare. Se nel corso degli ultimi anni il teatro ha raccontato le difficoltà dell’amore e le incomprensioni delle coppie mature – come dimenticare il bellissimo Clôture de l’amour –  se il teatro contemporaneo ha dimenticato gli amori adolescenziali, perché i giovani sono impegnati a morire o a sopravvivere, allora Scimone Sframeli decide di descrivere cosa significa amarsi mentre si muore. Morte naturale, si intende, non dettata da malattia o tragedia. Il corso della vita si spegne e l’allegoria del pompiere che irrompe in scena per spegnere costantemente il fuoco amoroso è grottesca, inaspettata, fastidiosa, e disorienta.
Perché rappresentare in scena quattro anziani che provano ad amarsi ma non ci riescono? Perché ripercorrere le strade della giovinezza attraverso gli ostacoli della memoria labile e i vuoti della malinconia? Perché riprendere due storie, una eterosessuale ed una omosessuale?
Perché riportare in scena qualcosa di cui abbiamo sentito già parlare? Sono questi gli elementi che hanno giovato il premio come “novità o nuovo progetto drammaturgico”? Assolutamente no. Il fulcro dell’analisi di questo spettacolo sta nella reazione del pubblico:  ride apertamente, sconsideratamente, dolorosamente. Il grottesco ha funzionato. Non possiamo, dunque, considerare l’innovazione drammaturgica legata ai contenuti, bensì dobbiamo tener conto di un’originalità che si basa su una drammaturgia statica, ripetitiva, strutturata  sul cantilenante incastro delle battute, tipico del duo siciliano, attraverso cui ogni frase riprende parte della frase precedente, in una sorta di flusso che si trasforma in un vortice di ripetitività, dettato dalla dicotomia “dimenticanza/ossessione” che caratterizza gli anziani protagonisti.
In scena Scimone, Sframeli, Gianluca Cesale e, per la prima volta, una donna, nell’ottima interpretazione dell’angusta Giulia Weber.
Il pubblico si divide: molti spettatori ridono, soffermandosi sull’iperbole infantilistica che vede l’attore dentro un carrello della spesa, metaforicamente camion dei pompieri. I tre protagonisti maschili retrocedono al ruolo di adolescenti inconsapevoli e di neonati ai quali  bisogna cambiare il pannolino. La donna è moglie/madre, patologicamente avida di amore, fino alla morte.
Un’altra parte di pubblico, invece, rimane ammutolita: non ride, non si commuove. Percepisce con maggior intensità il fastidio del dolore profondo, radicato nell’ingenuità che caratterizza i personaggi, volutamente ed eccessivamente ridotti alla decadente fanciullezza pre mortem, e proprio perché l’altra parte di pubblico ride continuamente, gli spettatori silenziosi si indispettiscono, si stancano, vorrebbero fuggire.
L’aura mortuaria pervade scena e dialoghi, il fetore della decadenza amorosa e corporale rende fredde le labbra che aspettano un bacio. L’appellativo “amore” è ripetuto stancamente e diventa parola ridicola in bocca ad una donna-scheletro che anela passione dal corpo di un marito-neonato, mentre i due omosessuali ricordano il silenzio e la velocità degli amplessi amorosi del passato. Tutti, alla fine, rimpiangono ciò che si è evitato di fare pur di vivere coerentemente il tempo.
Il duo siciliano ci prende a schiaffi, ci prende in giro, ci ridicolizza, porta sulla scena un discorso forse non innovativo, ma lo fa con quella, paradossalmente consueta, modalità grottesca che è caratteristica di questa particolare produzione drammaturgica. Questo testo non arriva da nessuna parte, tende alla morte come i suoi protagonisti, e alla fine lascia impressa, nell’animo dello spettatore,  una lieve ed amara tenerezza.
di EMANUELA FERRAUTO

AMORE 
Teatro Nuovo Napoli
8-12 febbraio 2017
Compagnia Scimone Sframeli
in collaborazione Théâtre Garonne Toulouse
presenta
Amore
di Spiro Scimone

con
Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber
scena Lino Fiorito
disegno luci Beatrice Ficalbi
regia Francesco Sframeli