BOLLARI. MEMORIE DALLO JONIO – di Emanuela Ferrauto

Napoli

Lunedì 14 settembre 2015, alle ore 20.30, presso la sede della nostra Associazione (Via Matteo Schilizzi, 16 – Napoli) CARLO GALLO ha proposto ai Soci il suo spettacolo BOLLARI. Memorie dallo Jonio. Scritto e interpretato da Carlo Gallo e con la collaborazione artistica di Peppino Mazzotta.
 
Recensione dello spettacolo
 
Un attore, un’ombra, una voce, un racconto, il tutto su una terrazza, sopra i tetti del centro di Napoli, vicino al porto. La magia del teatro può rivivere fuori dal teatro, improvvisamente? Ebbene sì, basta una storia da raccontare e da recitare per regalare la magia ad un pubblico  scelto: pochi spettatori, quanti una terrazza napoletana possa ospitarne, durante una fresca serata di metà settembre. Il Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo ha ospitato, il 14 settembre scorso, lo spettacolo del giovane  calabrese Carlo Gallo.  Dopo il successo della rassegna primaverile, ideata e condotta da Vincenzo Albano, socio del Centro Studi, – con la consulenza della sottoscritta – evento dal titolo GeoGrafie. Teatri della contemporaneità, Carlo Gallo torna in Campania. L’idea di un’analisi, seppure ancora superficiale ed incompleta, della produzione drammaturgica contemporanea nel Sud Italia, ha caratterizzato la rassegna salernitana, a maggio scorso, e ha toccato, durante la prima tappa, proprio la Calabria. Grazie alla presenza non solo di Carlo Gallo, ma anche di Lorenzo Praticò e di Gaetano Tramontana, di Saverio Tavano e di tutta la compagnia di Patres, fino a Rosario Mastrota e a Dalila Cozzolino, i giovani autori e attori calabresi vengono acclamati dal pubblico, insieme ai loro colleghi meridionali, perché in fondo gli spettatori sembrano aver bisogno di storie semplici. Carlo Gallo, dunque, viene a trovarci a Napoli, durante un viaggio di lavoro che tocca altre province campane. Ci permette, così, di ricordare e di ripetere non solo l’esperienza positiva della primavera scorsa, ma il suo racconto viene presentato anche ad una parte di pubblico napoletano che non era riuscita a conoscerlo a maggio, durante la rassegna salernitana. Mentre il cielo si colora dei toni del tramonto e la brezza di mare soffia tra gli angoli dei palazzi, lo scorcio del Vesuvio e delle grandi navi da crociera, ormeggiate nel porto, fanno da sfondo teatrale. Due piccole luci illuminano dal basso verso l’alto il giovane attore e autore, la cui ombra si proietta, ingigantita, sul muro di un angolo della terrazza. E proprio quell’ombra, che  sdoppia e triplica il nostro narratore, sembra modificarsi ad ogni soffio di vento settembrino, assumendo le fattezze dei numerosi personaggi citati ed interpretati. Da Crotone – dove Gallo e altri collaboratori gestiscono la Compagnia della Maruca – il racconto corre veloce, come se fosse davvero una barca che scivola sul mare. Ed in effetti  parliamo di barche, di mare e di storie vere, di racconti semplici di alcune famiglie calabresi, durante l’avvento del Fascismo. La contestualizzazione storica non sembra essere una scelta primaria dell’autore il quale, in realtà, raccoglie, per caso o volontariamente, le storie narrategli dagli anziani del paese, coloro, cioè, che davvero hanno vissuto quel periodo storico, in quei luoghi, e che ritroviamo, seppur attraverso una certa rielaborazione, all’interno dello spettacolo Bollari. Storie fatte di nomignoli, di leggende e veri aneddoti, come la storia del cammello ripescato in mare, di domande cantilenate, tipiche delle terre del Sud, fino all’urlo “Bollari!!”. Bambini e pescatori urlano la parola misteriosa non appena scorgono le acque delle Jonio ribollire e rivivere: il pesce ritorna in un determinato periodo. Più si pesca, più si guadagna, più si mangia. La storia nella storia, quella degli umili, di quel padre pescatore senza braccio, il quale ha bisogno del figlio per remare e per gettare le bombe a mare cosicché i pesci vengano a galla, è un esempio di quella drammaturgia meridionale costruita su un filo conduttore comune: l’assenza, o la presenza effimera della madre, il padre che tramanda il suo sapere, il futuro corrotto dalla guerra e dall’oblio, il figlio, solitamente sempre il maschio, che a volte sopravvive al padre, altre lo rifiuta. Ed il mare, elemento che unisce la varie generazioni,  trasporta con sé le storie, come i corpi, quelli dei pesci e degli uomini, ai quali dà sostentamento. La lingua utilizzata in questa suggestiva narrazione drammaturgica è, appunto, il crotonese, portato in scena attraverso le sue tipiche sonorità; l’attore utilizza soprattutto  una sorta di metrica naturale che rende scorrevole il racconto, e quindi la recitazione, accelerando e decelerando quando la narrazione lo richiede. Anche la gestualità è fortemente curata poiché il movimento delle braccia e delle mani, l’inarcarsi del corpo, il mimare l’azione del remare, il fumare la sigaretta invisibile ma sempre presente, sono tutte azioni indispensabili per interpretare e caratterizzare i personaggi così diversi. Attore e narratore insieme, Gallo, utilizza incessantemente questa gestualità tanto da ricreare in scena una sorta di danza antica, riprodotta attraverso movimenti fluidi. Ogni gesto, inoltre, permette una comoda e precisa identificazione del personaggio da parte dello spettatore, indicandone e descrivendone le caratteristiche peculiari. La storia della miseria e del mare, luogo di ricchezza e di fame, riporta in scena la semplicità della vita, la memoria orale, il rapporto atavico tra padre e figlio: un microcosmo specifico, quello della costa jonica calabrese, all’interno della grande Storia italiana. Il contrasto tra questi due elementi rende ancor più evidente l’importanza artistica, psicologica e cognitiva del racconto degli umili, nato da aneddoti e rivalutato attraverso la drammatizzazione e la scrittura scenica. La rinnovata attenzione al valore della scrittura drammaturgica e al ritorno al racconto diventa monito per i giovani autori, meridionali e non, proprio come Carlo Gallo, del quale attendiamo le nuove e future scritture.
 
Emanuela Ferrauto