Carlo Guitto

CARLO GUITTO

Pozzuoli, Na

Presentare un giovane collaboratore del proprio ambito di lavoro, teatrale o non, è sempre un’impresa un po’ ardua, e, più che ardua, rischiosa, se si pensa di mantenersi nell’oggettivo, nell’imparziale, scevri da esagerazioni o da proiezioni soggettive, nel descriverne il profilo, artistico, professionale o semplicemente umano. Dirò che il trentenne Carlo Guitto (in alcune mie rappresentazioni ribattezzato anche – come un suo doppio o controfigura – Jonny Suerte, perché proprio per sorte, per caso, per un’alea del destino, venne in contatto con noi, quasi cinque anni fa) è, a mio avviso, su un cammino molto interessante e meritevole di commento, per quel che attiene alla costruzione della sua figura, a tutto tondo, di giovane regista-attore-animatore-commutatore di sceniche energie dei nostri tempi.

Veniva giù dal Nord, dalla “lontanissima” Torino, dove da emigrante, lui, nato a Pozzuoli, vi si era trasferito a lavorare e a studiare per cinque anni buoni, quando noi lo abbiamo “catturato”. In un bar: dove allegramente serviva cappuccini e cornetti… Ricordo che in quel bar vi entrai assieme a un altro mio collaboratore e che entrambi restammo stupefatti dal cumulo ragionato di informazioni sul teatro di ricerca – quello mio compreso – che quel giovane e umile cameriere ci serviva ai tavolini. Da allora fino ad oggi, egli ha partecipato con noi, da attore e da collaboratore, a parecchie, e direi importanti, rappresentazioni mie: Sull’ordine e disordine dell’ex-macello pubblicoLingua, carne, soffioCo’ Stella’zioniOrfani veleni… E ha fatto tutto questo senza smettere di studiare e di lavorare nel suo “proprio” come regista, e questo suo “proprio”, questo suo “metodo”, io lo definirei un’intrigante melange di spontaneità e di rigore; un intreccio – od ossimoro – d’anarchica libertà scenica, di gesto o di parola, coniugata a disciplinosa-razionalizzante formalizzazione degli stessi. Che è senz’altro vicina a quanto io stesso concepisco e pratico nel mio specifico teatrale, ma con un tocco in più di personale ed originale, perché attingo solamente a lui, a Carlo, alla sua soggettivissima vita (e maniera di intenderla/sentirla).

Enzo Moscato

[Pubblicato sul Notiziario, n. 15, giugno – settembre 2004]