TEMPO CHE FU DI SCIOSCIA – di Rocco Maffongelli

Recensione al volume:
Enzo Moscato,Tempo che fu di Scioscia, Napoli, Tullio Pironti Editore, 2014.
 
Dopo la raccolta Occhi gettati (1989), Enzo Moscato torna a pubblicare una silloge di racconti con la casa editrice Tullio Pironti. Questa raccolta focalizza l’attenzione sulle Quattro Giornate di Napoli, sul cui sfondo bellico si svolgono le vicende di una Napoli ormai scomparsa.

Innanzitutto occorre soffermarsi su due aspetti: il primo appartiene alla cifra stilistica dell’autore partenopeo, che, ancora una volta, mostra la sua predilezione di narratore sperimentatore di vari campi linguistici. A prescindere dall’uso frequente di espressioni propriamente dialettali, non è raro l’inserimento di termini di origine tedesca, inglese, francese, nel primo caso utilizzati anche per i titoli delle singole narrazioni, come accade per Zwài Taiblèk Waìse e Scheiße. A tal proposito, è opportuno precisare che l’autore non vuole mettere in pratica il suo abile plurilinguismo per un mero desiderio virtuosistico, in quanto quest’espediente sembra avere, spesso, il compito di non compromettere il ritmo di una scrittura che a tratti pare presentare le caratteristiche della versificazione poetica. È il caso, ad esempio, di alcuni incipit dei vari racconti, tra cui quello che apre la raccolta: “Il tuono, col più grosso dei fragori, tra non molto arriverà. Lo so, ne sono certo. Lo sento sotto pelle e anche dappertutto nelle vene”. Quest’incipitappare come l’inizio di una lirica, segno tangibile dell’influenza che questo genere, senza dubbio, ha avuto nell’attività letteraria di Enzo Moscato.

A proposito di influenze, altra caratteristica importante del libro è quella di associare ad ogni racconto la citazione da un testo di un autore famoso, da cui è stata tratta l’ispirazione per le rispettive narrazioni. Si va da Pasolini a Guy de Maupassant, passando per il Melville di Moby Dick. Moscato, infatti, rielabora, con grande originalità, uno degli insegnamenti più importanti di questi modelli letterari: lo stravolgimento, l’allineamento e a volte il capovolgimento dei dualismi bene-male, vittima-carnefice. In ognuna di queste storie tedeschi dominatori e italiani dominati vengono posti sullo stesso piano; tutti i personaggi appartengono ad una stessa famiglia, che è quella del genere umano tutto, la cui psiche è analizzata attraverso risvolti comportamentali spesso inaspettati, in cui un ruolo fondamentale è giocato dalla componente della pulsione sessuale, spesso usata, come per il protagonista de L’Incroyable, come vero motore rivoluzionario, o addirittura salvifico. Non di rado avviene che a concludere una delle brevi vicende narrate vi sia un colpo di scena che potrebbe sembrare la soddisfazione di un sotteso rigurgito partigiano, di una presa di posizione che in realtà l’autore non effettua mai. Sia la suora di Palla di Stocco che il Fulmine dell’ultimo racconto, aiutano i propri concittadini semplicemente spinti da un bisogno personale, istintivo: nel primo caso, a scatenare la vendetta della religiosa originaria di Marano è il cambiamento di atteggiamento dei soldati stranieri, che prima di questa svolta erano anzi ben voluti dalla protagonista; nel secondo caso, invece, dietro al gesto eroico del protagonista si colloca un bisogno di tipo carnale, quindi ancor più personale ed istintivo del precedente. Anche quando l’autore sembra mettersi dalla parte dei suoi concittadini, pertanto, ciò è vero solo in minima parte, perché in realtà egli continua a perseguire l’obiettivo primario del suo narrare, tra l’altro chiarito dallo stesso Moscato nella breve Prefazione. Vincitori e vinti non esistono. Anzi, se possibile, queste sono storie di soli sconfitti, sommersi insieme dal «diluvio ’e terra nera e calcinacci» prodotto dalla guerra.

Rocco Maffongelli