OTELLO – di Emanuela Ferrauto

OTELLO DI LUIGI LO CASCIO
Rileggete Shakespeare e, poi, tuffatevi nelle parole dell’Otello di Luigi Lo Cascio. Il monito utilizzato come introduzione a questa recensione è indispensabile, poiché è rivolto al lettore ed allo spettatore attento. Queste parole maturano dopo lunghi giorni di riflessione e studio sul testo di Lo Cascio, che, in scena al Teatro Quirino di Roma, dal 17 al 29 marzo, si radica fortemente negli occhi, nelle orecchie e nella mente. La Sicilia entra nelle viscere di questo testo, lo deforma, lo rende poesia, lo fagocita avidamente. Al diavolo la velocità nel recensire un prodotto artistico del genere! Impossibile farlo in pochi giorni, in poco tempo e superficialmente. La maturazione sensoriale, psichica e mentale di uno spettacolo del genere, e soprattutto di un tale testo, ha inevitabilmente bisogno di tempo. Non una recensione, quindi, ma una riflessione questa, a distanza di quasi quindici giorni dalla visione dello spettacolo, affinché chi non ha visto potrà e dovrà vedere, chi non ha ascoltato, potrà rileggere.
Luigi Lo Cascio crea un libero adattamento dell’Otello shakespeariano. Come? Utilizzando il suo dialetto, il siciliano. Ma attenzione: la lingua in cui i personaggi maschili (solo tre!) vengono presentati in scena, non è “banalmente” siciliana, bensì palermitana. Sonorità e costruzioni diverse, rispetto al messinese ascoltato frequentemente in scena negli ultimi anni, o alla cadenza altalenante del catanese. I linguisti e  i dialettologi avrebbero un bel da fare e godrebbero di questa lettura e visione. Interessante, appunto, constatare l’affermazione dello stesso Lo Cascio che, nell’introduzione al testo pubblicato dalla casa editrice messinese Mesogea, afferma il suo avvicinarsi in età adulta al dialetto, raccontando le difficoltà di scrittura di una lingua così complessa, ritenendo indispensabile, soprattutto in questo lavoro, la collaborazione con Vincenzo Pirrotta e Giovanni Calcagno (rispettivamente nei panni di Otello e del Soldato). Ma non parliamo solo della lingua, quella che caratterizza voracemente gli uomini in scena, stridendo fortemente, e poeticamente, con l’italiano musicale e puro della voce dell’attrice Valentina Cenni, la giovane, commovente, sorprendentemente moderna, “Desdemona dalla dizione perfetta”, per dirla con lo stile degli gli epiteti omerici.
Non immaginate la stolta mielosità melodrammatica della Desdemona di altri tempi, l’amore e l’onore, il tema politico – qui allontanato –, ma sprofondate nelle viscere oscure del peccato e delle debolezze umane, perché vi ritroverete davanti alla Storia e all’Uomo. Ecco perché le sonorità dialettali hanno senso soprattutto nell’analisi specifica di alcuni modi di dire, di alcune parole, scelte non a caso – come per esempio “buttana” – che spingono alla riflessione i parlanti e gli ascoltatori siciliani. Ma lo spettacolo viene assorbito profondamente anche dal pubblico non siciliano, poiché il racconto dell’Umanità intera avvolge tutti, profondamente, inesorabilmente. E qui sta la straordinarietà di questo testo.
Ambientazioni dark, collocazione quasi atemporale, proiezioni sul fondo del palcoscenico, ciò che colpisce è di certo il simbolo, il fazzoletto, unico elemento bianco, insieme alle vesti della Desdemona delle scene finali, all’interno di una profonda voragine oscura, attraverso cui si contorce la vicenda, trascinanta a fondo dall’amore, dalla gelosia, dalla disperazione, dall’ottusità. Otello in Shakespeare appare protagonista visibile soprattutto alla fine del testo, poiché il discorso principale viene riportato attraverso le parole degli altri personaggi, posizionando il generale e l’amata al vertice irraggiungible della perfezione, da cui vengono, poi, scaraventati nell’abisso.  Luigi Lo Cascio pone Otello al centro della vicenda, e soprattutto del palcoscenico, protagonista al pari di Iago, come due facce di una stessa medaglia. Il generale appare come un uomo comune che della politica e del potere non ha più bisogno, poiché adesso si trova davanti alla lacerazione dell’anima. Se nel testo shakespeariano siamo costretti a sbirciare fuori dalle porte delle stanze regali, qui siamo ospiti del talamo nuziale. Entriamo nelle stanze segrete, non solo fisiche ma anche mentali e sentimentali, assistendo alle probabili e private conversazioni amorose tra Otello e Desdemona, all’inizio della loro storia, ai loro litigi, al dramma, apprendendo il passato di personaggi di cui Shakespeare non ci racconta nulla. Invenzione, fantasia e libero adattamento, portano allo sconvolgimento del testo originale, soprattutto nella prima parte ed in quella conclusiva, ricongiungendo, invece, scene, parole e luoghi dal momento in cui Otello schiaffeggia Desdemona pubblicamente. Ed in medias resinizia lo spettacolo firmato da Lo Cascio, dove tutto  è raccontato a ritroso, e non solo per “sentito dire”, ma ogni personaggio ha la possibilità di mostrare il proprio “cunto”. Parola che si ripete incessantemente nel testo adattato in siciliano, che scorre attraverso versi endecasillabi e settenari: il “cunto”, il cui significato ha una valenza profonda in tutta la letteratura del Sud Italia, dai cantastorie alle favole, fino al Teatro dei Pupi, serve a “cuntari”, a raccontare ciò che si è tramandato, ciò che è vero o presunto, ciò che si dice in giro (come nell’espressione tipca siciliana “dice che…” nel senso di “si racconta”, alla latina) e ciò che si è saputo. E pupi sono questi personaggi che, marionettisticamente, si muovono su un palcoscenico, in cui le sedie e gli oggetti vengono calati con funi evidenti, simbolo allegorico dell’intera umanità e di una tradizione artistica antica e specifica, manipolati dalla gelosia e dalla sete di potere. Emergono paesaggi fantastici, in cui il deserto e le favole delle Mille e una Notte si mescolano all’Orlando Furioso, raccontato attraverso i quadri dell’Opera dei Pupi. Sonorità misteriose in sottofondo e lingua antica, come quell’aggettivo “alicante: elegante”, che ricorda i nomi dei guerrieri delle gesta medievali. Il soldato racconta il cunto, serve da coro greco, anticipatore, chiarificatore, collante e descrittore insieme degli eventi e dei personaggi. Il soldato “cunta” ciò che è successo, occhio esterno e osservatore onnisciente, racconta a posteriori, e dice che forse gli avrebbe fatto piacere essere “in confidenza” con il generale Otello. Il soldato “cunta” che Jago “cunta” ciò a cui furono destinati Otello e Desdemona. Otello, a sua volta, “cunta” il suo amore per la donna, i primi pensieri, le prime poesie, impresse sui fazzoletti, messaggi impalpabili, volatili, d’amore. Il simbolo del fazzoletto ricamato, che ricorda le favole medievali e la tela di Penelope, riporta l’immagine della maga egizia che impone l’antico sortilegio d’amore, racconto nel racconto,  che, a differenza del testo shakespeariano, apre lo spettacolo di Lo Cascio, donando allo spettatore un’atmosfera mistica. Iago “cunta” il suo passato e descrive il tradimento della madre, Otello “cunta” l’uccisione del fratello, Desdemona “cunta” la sua passione per la guerra e l’amore per un guerriero, ricordando le eroine delle Chansons de geste. Questo spettacolo, e naturalmente il suo testo, rappresentano un tesoro prezioso per la cultura italiana. Pensate come un testo inglese possa subire un’evoluzione tale da essere trasformato in un’immensa biblioteca linguistica e visiva che contiene gran parte della cultura e della tradizione del Sud Italia, pur nella sua immensa universalità. Operazione eroica quella di Lo Cascio, in cui la filologia e lo scritto dialettologico imperversano, per sfociare in una colossale interpretazione scenica. Otello è bianco e siciliano, la differenza non è la razza, ma la lingua. La rabbia e la gelosia di Otello sfociano in una corsa drammatica, animalesca, in un’esplosione di voce, in cui il Ciclope tuona dalla viscere dell’Etna. La metateatralità shakespeariana viene rispettata, non solo nell’entrata in scena attraverso la platea: Iago è incatenato a delle funi, briglie che trattengono un animale scalciante, tirate dallo stesso Soldato. Iago parla agli spettatori (“Chi ci taliati? ’Un sugnu ccà pi darivi spittaculu. Unn’è pi vuatri stu tiatru. ’Unn’è p’u vostru saziu”: che guardate? Non sono qua per darvi spettacolo. Non è per voi questo teatro. Non è per il vostro divertimento”; “ […] ddu nenti ca ntà vita cu mascari, custumi e pantumimi avìamu fattu finta di scurdari”: quel niente che nella vita con maschere, costumi e pantomime avevamo fatto finta di dimenticare), facendo subito volgere il pensiero a Pirandello, citato anche in una lettera di Otello (“Doppu nu scontru orribili cu li giganti d’a muntagna ’ncantata[…]), fino al ricordo di Marinetti e  il suo teatro “igiene del mondo” (“Ah turtura, turtura! Turtura igieni di la menti!), passando attraverso le scene dell’Iliade (la morte di Ettore) e del lungo peregrinare di Ulisse.
E come non ricordare gli altari sacrificali delle tragedie greche: Desdemona-Polissena-moderna Giovanna D’Arco, dedita ad un Dio-Otello, uccisa sul talamo nuziale dalle bianche lenzuola, eretto, in scena, in posizione sopraelevata, scalato dai protagonisti, come una pira funeraria. La follia, prodotta dalla gelosia, porta Otello a correre in tondo sul palcoscenico, a delirare, producendo l’effetto dello sparagmos, tipico delle tragedie greche. Questo spettacolo porta in scena un cast d’eccellenza. Attori come Luigi Lo Cascio, Vincenzo Pirrotta, Valentina Cenni, Giovanni Calcagno, presentano tutto ciò che ci si aspetterebbe da un ottimo prodotto artistico: bravura attoriale, corporeità, intensità, emozioni, professionalità (anche quando, purtroppo, Otello-Pirrotta si ferma e sgrida il pubblico per il continuo suonare dei cellulari), il tutto costruito con uno straordinario allestimento scenico e registico. Un libero adattamento che non tradisce l’originale, bensì lo arricchisce di trasformazioni consone ai tempi, e soprattutto culturalmente pertinenti. La visione di questo spettacolo deve essere necessariamente potratta nel tempo, quindi ripetuta dallo spettatore, e coadiuvata da un’attenta lettura non solo del testo shakespeariano, ma soprattutto di quello firmato da Lo Cascio. Non avremmo mai immaginato di veder scorrere sulla scena, un’intera enciclopedia artistica, teatrale, letteraria e linguistica. La conclusione? Otello va sulla luna accompagnato dal Soldato. Naturalmente si tratta di un sogno di quest’ultimo, “tradendo” la morte del personaggio, come previsto nel testo originale. Lo Cascio, così, riporta sulla scena non solo l’Astolfo che va sulla luna, personaggio dell’Ariosto, cercando di recuperare il senno di Orlando (qui Otello vuole recuperare il fazzoletto di Desdemona, dopo aver capito l’errore commesso),  ma anche Il Barone Rampante calviniano, fino al più esplicito riferimento pasoliniano a “La terra vista dalla luna”.

EMANUELA FERRAUTO

OTELLO
Teatro Quirino Roma
17-29 marzo 2015

di Luigi Lo Cascio
liberamente ispirato all’Otello di William Shakespeare
scenografia, costumi e animazioni Nicola Console e Alice Mangano
musiche Andrea Rocca
luci Pasquale Mari
regia Luigi Lo Cascio
personaggi e interpreti
Otello Vincenzo Pirrotta
Iago Luigi Lo Cascio
Desdemona Valentina Cenni
Il soldato Giovanni Calcagno