ZOMBITUDINE – di Emanuela Ferrauto
ZOMBITUDINE
Ci perseguitano da giorni. Ci scrivono. Ci osservano. Ci alitano sul collo. Non possiamo fare a meno di vederli, di ascoltarli, di essere presenti. Campagna pubblicitaria e diffusione massiccia, Daniele Timpano ed Elvira Frosini non ci lasciano scampo. Hanno invaso Napoli da giorni, contendendosi in maniera amichevole il Teatro Bellini: loro nella sala del Piccolo, mentre nell’altra sala, durante gli stessi giorni ( 3-8 febbraio), le urla di Polifemo e di Ulisse, “intervistati” dall’acclamata Emma Dante, rimbombano tra le parole dei nostri “zombie”. Dei loro zombie. Perché gli zombie, in effetti, siamo noi. Il sentore lo avevamo avuto da tempo, spesso avevamo anche denunciato l’apocalittica stasi del popolo italiano, e forse dell’umanità intera. Ed in effetti attraverso questo spettacolo ci sentiamo davvero degli imbecilli. Ci spronano, ci pungolano, ci spingono a reagire, ma niente. Siamo davvero morti? Alcuni spettatori rispondono, ma ridere è davvero la cosa più consona in questo contesto? L’ironia di Frosini e Timpano non ci lascia scelta, bisogna sorridere. Ma ridere apertamente, davanti ad una dolorosa descrizione di noi stessi, forse è davvero troppo. Pensavate di trovare ambientazioni cimiteriali, corvi, dark atmosphere, fantasmi, spiritelli e zombie? Ma no!
Le parole dei due autori-attori sono una cascata, un vortice in piena. Un doppio palcoscenico: l’idea geniale di un semplice tendone rosso che divide la scena. Al di qua la platea, noi, e loro che si affannano a salvare il mondo. Al di là il buio e il mondo reale. Insomma, i due “supereroi made in Italy” ci spiegano la situazione. Serrati dentro un teatro, luogo in cui ci ritroviamo anche noi, si attende la fine di tutto o la rinascita, immaginario Godot simbolico. Gli zombie sono là fuori, arrivano ( o no?). Il riferimento esplicito ai più famosi film americani è evidente, ma diventa ancora più ridicolo proprio perché parliamo di ciò che viviamo quotidianamente. Ci ritroviamo ad assistere alla più crudele satira su noi stessi. Avete mai pensato quanto possa essere terrificante?
L’intera costruzione del testo e della messinscena ricorda i cartoons, le macchiette, gli sketches comici americani, i film muti, “Lost” e le serie televisive, i predicatori ed i comizi politici, ma soprattutto ricorda i giochi che si fanno da bambini. I due attori sono due falsi giovincelli che si ostinano a credere ancora nella guerra contro la stasi mentale e culturale, due attori che vivono e vivranno di teatro, fino alla morte, come unica salvezza del mondo. E si affannano per farcelo capire in tutti i modi, disperati, dolorosi e comici insieme, e a volte anch’essi dubbiosi. La missione appare come un gioco: sparatorie finte – le pistole sono le mani – morti finte, quinte oscure, torce, immaginazione. Lo spettacolo è necessariamente costruito sulla reazione del pubblico ed è davvero complesso, e paradossale, evitare che gli spettatori reagiscano eccessivamente, altrimenti sarebbe inutile additarli come “zombie”. Escamotage è la distinzione: “quelli come noi”, cioè come i due protagonisti, per distinguere coloro che reagiscono, “zombie” coloro che invece non lo fanno. Ma sembra che i due attori vadano sul sicuro: qualche risata, qualche accenno, qualche risposta dalla platea.
I temi trattati in questo lavoro spaziano dalla politica, ricordando i riferimenti alla Destra, alla Sinistra e al Centro, attraverso l’invocazione <<prendete una posizione!!!>>, di cui naturalmente molteplici sono i significati ( giocando sul concetto di “posizione”, sopra una valigia-sgabello, unico oggetto di scena, oltre al microfono), fino alla crisi economica e culturale. Argomenti, dunque, di cui sentiamo parlare quotidianamente e che spesso ritornano in scena. Questo potrebbe far storcere il naso o diventare un’arma a doppio taglio: il pubblico è stanco di pensare alla crisi e di vederla rappresentata, seppur simbolicamente, anche a teatro. Lo spettacolo cerca, quindi, di non divagare eccessivamente sul tema politico, ma si concentra insistentemente sul teatro, indicato come luogo di salvezza, e sugli effetti comportamentali della nostra società, dai selfie al vestiario.
I due protagonisti scelgono di rinchiudersi in un luogo in cui nessuno probabilmente riuscirà a trovarli: terribile ironia!!! Inoltre, semmai i rappresentanti del mondo esterno dovessero cercarli, e poi trovarli, sarebbe un ulteriore disastro, poiché gli Zombie entrerebbero in un luogo sacro e contagerebbero anche loro. Pare che non esista soluzione alcuna a questa apocalisse metropolitana. La morte appare comunque ed inesorabilmente positiva, proprio perché letta attraverso gli occhi di una società che non “prende posizione”. Uno spettacolo costruito sul paradosso.
Che cos’è dunque Zombitudine? È uno status della nostra contemporaneità, è un “non essere”, è un non vivere e un non morire, è una malattia. Siamo vivi o siamo morti? La soluzione ci è svelata alla fine dello spettacolo, in cui i due protagonisti si arrendono alla Zombitudine, continuando ad anelare vita ma perdendo i pezzi, poiché vanno in putrefazione e si disintegrano. La comicità si scioglie nell’amarissima immagine di una vita e di un amore, di un ideale e di un pensiero, mai morto, mai vivo, ma putrefatto. Il testo sembra dividersi in due parti, o meglio in tre: una prima in cui si stimola soprattutto la reazione del pubblico, una seconda in cui la lotta culturale e sociale contro il mondo diventa missione vera e propria, una terza più intima, seppur caratterizzata da ironia. Gli attori e i personaggi sono quegli esseri eterni che l’eternità conquistano sul palcoscenico e che poi, a causa nostra, zombie ormai incalliti, marciscono.
Nonostante alcuni momenti appaiano ripetitivi e conditi da luoghi comuni, cadendo quindi in quello stesso vortice contro cui ci si oppone nel corso dello spettacolo, l’originalità sta soprattutto nell’idea di riflessione bambinesca e fumettistica sul disastro culturale e sociale della nostra contemporaneità. Pensare che fra molti anni, qualora si leggesse e si venisse a conoscenza che già nel 2013 il pubblico sia stato ironicamente definito “affetto da zombitudine”, fa riflettere. Fisicamente faticosa l’ interpretazione dei due protagonisti, che riportano sulla scena lo stile “Frosini- Timpano”, caratterizzante non solo la recitazione, ma soprattutto le movenze corporee. Poetica ed intensa la Frosini, disarmante, sarcastico, giullare e dai movimenti bambineschi, Timpano.
EMANUELA FERRAUTO
ZOMBITUDINE
Progetto, testo, regia, interpretazione Elvira Frosini e Daniele Timpano
produzione
Frosini/Timpano – amnesiA vivacE, Kataklisma
in coproduzione conTeatro della Tosse di Genova, Fuori Luogo – La Spezia, Teatro dell’Orologio – Roma
col sostegno del Teatro di Roma nell’ambito del progetto “Perdutamente”
testo, regia, interpretazione Elvira Frosini, Daniele Timpano
scene e costumi Alessandra Muschella
ideazione e realizzazione tecnica luci Marco Fumarola, Daniele Passeri
collaborazione al disegno luci Matteo Selis
luci Martin Palma, Omar Scala, Valeriano Solfiti
aiuto regia Francesca Blancato
assistente scene e costumi Daniela De Blasio
organizzazione e distribuzione Daniela Ferrante
ideazione e regia teaser video Emiliano Martina, Alessio Rizzitiello
progetto grafico Antonello Santarelli
disegni Valentina Pastorino
foto di scena Gianluca Zonza, Piero Tauro, Andrea Luporini, Sefora Delli Rocioli