IL FIORE CHE TI MANDO L’HO BACIATO – di Stefania Tirone

San Lorenzo Maggiore – Congrega di Sant’Antonio

 
 
Terzo appuntamento di TEATRO IN CAPPELLA
 
“La Storia siamo noi” canta De Gregori in un brano del 1985. Ed ha ragione.
Le nostre scelte, le nostre azioni e le nostre interazioni, per quanto insignificanti possano sembrare, convergono in quel flusso inarrestabile del presente che gradualmente si trasforma in passato per poi, sicuramente, tornare ancora e ancora.
Per la regia di Antonio Grimaldi, Anna Rita Vitolo è in scena all’interno della Congrega di Sant’Antonio con Il fiore che ti mando l’ho baciato.
Nato nel 2015 in occasione delle Celebrazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale, lo spettacolo è stato precedentemente ospitato a Sessa Aurunca (presso l’abitazione privata di Rosa Fusco e presso la sede dell’associazione ARTI E MESTIERI), a San Giuseppe Vesuviano (presso la sede dell’associazione FIDAPA) e a Salerno (presso il Piccolo Teatro del Giullare).
Siamo negli anni della Prima Guerra Mondiale e due amanti sono divisi proprio dal conflitto: lei è Stamura Segarioli, maestra di scuola elementare a Carano di Sessa Aurunca, lui è Francesco Fusco, tenente medico al fronte.
La costruzione dello spettacolo, che rimaneggia drammaturgicamente e scenicamente un materiale inedito di contenuto storico custodito presso la Biblioteca del Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo, è stata fortemente incoraggiata da Rosa Fusco, nipote ed erede di Stamura, e da Antonia Lezza, presidente dell’associazione.
Una corrispondenza amorosa, per l’esattezza, le cui righe conservano traccia di un dramma personale e familiare che, al di là del tempo, è anche traccia di una memoria collettiva. 
Nelle lettere effusioni di vita: patimenti, gioie, dolori, preoccupazioni e speranze sgorgate dall’animo insieme al getto d’inchiostro che ancora oggi ricopre decine di fogli bianchi. Gli stessi in cui chi scrive cerca l’immagine del volto di chi è lontano, ne immagina la presenza prefigurandosi l’espressione nel ricevere le proprie parole.
Con un atto che è metaforico e tangibile allo stesso tempo, Stamura e Francesco scrivono la loro storia: si dichiarano reciproco amore, si scambiano la promessa di prendersi cura l’uno dell’altra e programmano un futuro che non si realizzerà. Scrivono Stamura e Francesco cercando di ridurre, in pochi centimetri, le ben più ampie distanze che tra loro intercorrono.
Stamura è in abito bianco lungo, le sue spalle ricoperte da una seta semitrasparente, il suo collo avvolto in un morbido nodo del tessuto, le sue gambe coperte da una gonna con giri di delicato merletto, i suoi piedi adagiati in scarpe bianche. Ricorda una sposa, semplice, una di quelle viste in una foto in bianco e nero su carta lacera che qualcuno conserva con gelosia nel portafogli tra i ricordi più cari. Stamura è immortalata sulla scena come in quella fotografia.
La Guerra porta Francesco ancora più lontano, dove non può più scrivere; il giorno atteso non arriva e a Stamura non restano che un cofanetto piano di lettere, una coccarda, una valigia, una rosa, un elmetto ed infiniti ricordi. Rivive ogni attimo mentre legge, sorride di fronte alle parole che l’uomo indirizza alla sua amata rimproverandola per non essersi affacciata alla finestra nel momento di commiato da uno dei loro rari incontri, legge e rilegge con la voce tremante di chi tradisce ancora incredulità per tutto quanto è accaduto ed allo stesso tempo mostra la forza e la determinazione ad andare avanti per continuare ad alimentare il suo sogno d’amore sapendo che il figlio che porta in grembo è fonte di quella forza.
Anna Rita Vitolo utilizza toni estremamente delicati e restituisce la dimensione intima di una confessione che si riesce ad esternare solo sussurrando; una recitazione che non lascia spazio a patetismi o eccessi di enfasi ma che si protrae come in un’unica lunga poesia.
Tra il pubblico presente, alcuni hanno conosciuto direttamente Stamura, altri l’hanno conosciuta indirettamente attraverso i ricordi ed i racconti della famiglia o dei concittadini, altri l’hanno conosciuta in scena, attraverso la voce di Anna Rita Vitolo, la quale, con grazia, presta corpo e voce alla maestra di Carano di Sessa Aurunca. Un lungo e delicato applauso, sentito, partecipato, ma quasi timoroso di irrompere nell’atmosfera intima e fragile tanto faticosamente costruita dalla bravura dell’attrice, chiude lo spettacolo.
L’ intera drammaturgia curata da Antonio Grimaldi, Anna Rita Vitolo ed Elvira Buonocore, è realizzata per sintesi e assemblaggio delle lettere senza quasi nulla aggiungere, se non che pochi e brevi passaggi, alle parole della corrispondenza.
Lettere che hanno toccato il pubblico per il garbo, la discrezione e l’eleganza in esse contenute; lettere che hanno spinto a riflettere anche i giovani presenti in sala su quanta poesia esista in ciò che è “all’antica”; lettere che hanno condotto giovani e meno giovani in un mondo tutt’altro che passato.
Lettere che con forza ricordano ancora oggi che la Storia siamo noi, e “attenzione! Nessuno si senta escluso”: la Storia non esime nessuno dai suoi condizionamenti, entra nelle nostre case, ci costringe ad agire e vivendo, ad impugnare la penna e scrivere la nostra pagina.(Stefania Tirone)
 
 
IL FIORE CHE TI MANDO L’HO BACIATO
dal carteggio tra Stamura Segarioli e Francesco Fusco (1913-1915)
Con
ANNA RITA VITOLO
Regia di
ANTONIO GRIMALDI
 
Si ringraziano:
Elvira Buonocore per aver collaborato alla scrittura drammaturgica
Cristina Milito Pagliara per il missaggio sonoro
Elena Parmense Animazione ’90 per il costume di scena
Elena Scardino Franco Alfano per gli oggetti di scena
Anna Paola Montuoro per le foto di scena